Archivio di luglio 2013

I RITUALI E LE IMPRESE DEI CAVALIERI TEMPLARI DELLA DAGA DORATA.

L’ORDINE SEGRETO CHE TORNA DOPO 700 ANNI.

RITROVATO “LE LIVRE OCCULTE”,

I RITUALI E LE IMPRESE DEI CAVALIERI TEMPLARI DELLA DAGA DORATA.

 

Guglielmo d’Orleans, Cavaliere della Daga Dorata, ci ha lasciato “Le Livre Occulte”,le sue memorie. Ecco come descrive il difficile lavoro compiuto dai fratelli, e le sofferenze patite.

Nonostante fossero molte le limitazioni che ostacolavano le nostre opere, abbiamo sempre compiuto tanti, tanti sacrifici, in nome e per conto della bandiera della Verità. Perché molti furono coloro che, per applicare i nostri sani principi, sono stati uccisi e torturati.

Nella Chiesa corrotta e corruttibile si celavano uomini che per pura sete di potere, di prestigio, di vanità, hanno compiuto azioni nefande e nefaste. Anche nei confronti di questi esseri miseri abbiamo emanato invii di luce per essere aiutati nelle loro colpe. Sia reso sempre omaggio ai veri pionieri del pensiero puro, immolatisi per la realizzazione dei nostri ideali e sia concessa pace ai cuori degli ingrati di allora e delle epoche successive, che per vanità o calcolo, sottomettono forze sane che lottano per redimere l’uomo. Per esaltare il meglio, nella idealità, nella purezza dei cuori, nell’applicazione dei veri principi di Amore e di trasformazione di tutta l’umanità, per condurla verso nuove strade evolutive”.

Acquista un valore unico, per la conoscenza e per la storia, la recente scoperta  che all’interno dell’Ordine Templare, ha operato un gruppo segretissimo, che i Templari stessi non conoscevano. E che quindi costituisce un segreto che ha resistito 700 anni. E che ora è finalmente svelato.

L’esistenza dei 33 Cavalieri Templari della Daga Dorata, dotati di un loro sacro sigillo (che oggi ricorda la bandiera d’Europa), scelti e conosciuti soltanto dal Gran Maestro, e che ricercavano, detenevano e occultavano tutte le conoscenze scientifiche, esoteriche, rituali, economiche, commerciali ed agrarie che rivoluzionarono la società del Medioevo.

Oggi grazie al ritrovamento di un antico documento “Le Livre Occulte”, scritto da uno dei Cavalieri della Daga Dorata e rimasto occultato fino ad oggi, è stato possibile squarciare il velo che per tanto tempo ha nascosto straordinarie Verità, che finalmente ci permettono di conoscere molti dei segreti e dei misteri che hanno avvolto l’Ordine del Tempio. Verità che a quel tempo erano state difese fino alla morte.

Gian Marco Bragadin ha raccolto e raccontato nel libro “I Cavalieri Templari della Daga Dorata” (Melchisedek Edizioni), queste Verità, attingendo a fonti mai svelate prima ed a riscontri, verifiche ed approfondimenti, storici ed intuitivi, che gli hanno permesso di ricostruire la storia di quel gruppo segreto, sacrificatosi per il bene comune.

Ed è straordinario e sorprendente il risultato di questa ricerca, per gli interessati alle vicende dei Cavalieri del Tempio, studiosi, storici, esperti ed i particolare gli appassionati di Società segrete e Ordini Templari, perché potranno apprezzare gli insegnamenti e la fede dimostrata, anche nell’avversa fortuna, per la costruzione ideale di una società fondata sul benessere comune, l’armonia e la federazione degli Stati d’Europa. Non solo. Hanno operato per creazione di un mondo basato sulla pace, per la riunificazione delle religioni, sotto la figura del Cristo. Le ritualità venute alla luce, mostrano la profondità spirituale dei Cavalieri e le loro conoscenze esoteriche volte a superare le barriere tra le dimensioni.

Chi vive con il cuore aperto proverà una profonda commozione nel leggere queste memorie,

e – come è già successo – la sua anima potrebbe “ricordare l’appartenenza ai 33 Cavalieri della Daga Dorata”.

Grazie a queste Verità, è davvero possibile dire oggi che “I Cavalieri Templari sono tornati”.

Questo può essere definito il “vero Tesoro”, perché rivoluziona del tutto l’immagine dei Cavalieri. Certo sempre monaci e guerrieri. Ma con un gruppo interno segreto, di cui mai nessuno storico ha potuto parlare, perché nessuno ne aveva mai avuto conoscenza.

Sono tante le Verità originali che emergono dalla lettura del “Livre Occulte”.

Esisteva un Ordine Templare femminile “Le Sorelle di Maddalena”, vere sacerdotesse che compivano complessi rituali, tra i quali quelli in morte dei Cavalieri.

La donna per loro aveva esattamente lo stesso valore dell’uomo, in una società che le considerava poco più che fattrici, come animali. Praticavano regolarmente “contatti con le altre dimensioni”, tramite fratelli dotati di poteri sensitivi, che chiamavano “i vasi di Dio”. Conoscevano rituali e tecniche esoteriche per liberare l’anima dal corpo dopo la morte, e consideravano il compimento della vita del Cavaliere, un viaggio, con il trasferirsi esotericamente in punto di morte, fino al luogo che nasconde l’Arca dell’Alleanza, in Etiopia, la cui potenza vibrazionale era in grado di proiettare l’anima del Cavaliere oltre il mondo astrale.

Avevano scoperto grazie ai contatti con gli arabi, in particolare con la setta definita degli “Assassini”, riti di iniziazione che praticavano in svariate occasioni, ad esempio quelli prima dell’inizio di ogni missione, ma anche rituali di riequilibrio tra femminile e maschile, perché già conoscevano l’androginia sacra.

Con questo libro, che è storia, una storia mai raccontata, l’Autore ha voluto mantenere lo stile ed il ritmo dei suoi precedenti romanzi “L’Eredità dell’Ordine di Melchisedek” e “Melchisedek, il Sempre Veniente”, in modo da sorprendere il lettore con continue scoperte, colpi di scena, sorprese, per rendere il testo avvincente e scorrevole.

Ecco ancora un altro stralcio dal documento che illustra come operava il gruppo segreto.

La missione principale da affrontare per i Cavalieri dell’Ordine della Daga Dorata era quella di raccogliere indicazioni di natura estremamente importante e segreta, per poi elaborarle e lasciar

discernere a chi si assumeva tale compito, di proseguire l’indagine per un ulteriore approfondimento o meno.

Vaste quindi erano le operazioni, perché vaste erano le notizie che andavano raccolte. Come tutte le conoscenze segrete relative alle coltivazioni di prodotti alimentari, con tecniche nuove, ricavate da viaggi in Terre lontane.

Ma durante quei viaggi, l’incontro con popolazioni sconosciute, portava anche all’approfondimento degli aspetti esoterici della loro religione. All’analisi di oggetti ritualistici di grande forza ed energia, che quei popoli utilizzavano per il richiamo di forze spirituali, di riti propiziatori o divinatori utili e così via.

Poi, rientrati nelle proprie sedi, i Cavalieri riferivano ciò che avevano scoperto, in modo che i fratelli designati potessero approfondire e divulgare quanto di buono avevano scoperto.

Questo sistema di conoscenza aveva permesso di comprendere chiavi di sapere occulto notevole, quali l’elaborazione di mappe nautiche, disegnate esclusivamente da un fedele dell’Ordine, nel più assoluto isolamento, fino alla elaborazione finale di una intera mappa geografica, consegnata poi solo ed esclusivamente al Gran Maestro.

Queste mappe segrete riguardavano anche percorsi oltre il bacino europeo e africano, che solo due galeoni compivano in gran segretezza, e avevano lo scopo di verificare direttamente le rotte che erano state tracciate sulle carte geografiche.

Era un lavoro di grande segretezza all’interno dell’Ordine Templare. In pratica ogni Cavaliere, nell’esecuzione delle sue missioni esplorative o di presidio nei paesi europei nel bacino del Mediterraneo, e lungo coste sconosciute, aveva permesso la tracciatura di mappe geografiche, che nessun Ordine o potenza del tempo, poteva vantarsi di possedere”.

Ecco come si conclude il “LIVRE OCCULTE”:

“Tempo verrà, e affido al tempo l’onda di pensiero ottimale perché nelle epoche future sia divulgata la nostra conoscenza. Perché noi Cavalieri ci reincarneremo in ogni luogo della Terra, per riprendere e svolgere il nostro cammino evolutivo, e ci riuniremo per formare un nuovo, potente Ordine di giustizia, di amore, di pace. Tutti verrete allora chiamati al grande incontro con la Gerarchia Cosmica, che vi parlerà mentalmente, affidando a ognuno il giusto, l’equo e saggio compito.

La pace, la serenità a tutti voi che leggete queste mie parole, che a nome di migliaia di compagni vi dono in unione di intenti. Perché i nuovi Cavalieri di ogni dove, di ogni tempo, sesso, razza e religione, siano domani, com’è stato per noi, sempre uniti nella Luce, per la Luce”.

 

 

L’AUTORE

Da anni ricercatore spirituale ed infaticabile viaggiatore nelle località sacre in tutto il mondo, è noto per la diffusione della “Segni-Analisi”, l’antica tecnica che insegna a interpretare le coincidenze ed i segni che ci accadono.

Studioso delle origini del Cristianesimo, ha scritto i romanzi esoterico – spirituali “L’Eredità dell’Ordine di Melchisedek”, “Melchisedek il Sempre Veniente” e il “Testamento Segreto di Gesù”, anche DVD. Con Annamaria Bona aveva già scritto anche “Cristo e Maddalena, l’Unione Cosmica”. Ora rivela le “LE LIVRE OCCULTE DES CHEVALIERS TEMPLIERS DE LA DAGUE DOREE.

Musulmani e Cristiani

MUSULMANI E CRISTIANI

Religione e meta-storia: Invito alla comprensione

di Eduardo Ciampi ©

Introduzione

Dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001 accaduti a New York, il clima di tensione che è andato crescendo ci ha indotto ad approfondire la conoscenza della tradizione religiosa islamica. Da ciò, ne sono scaturite pagine di riflessione che vogliono offrire al lettore contemporaneo un approccio un po’ diverso da quello che emerge quotidianamente dai mass media, fornendo al contempo alcuni strumenti utili per sapersi orientare nel dibattito e reagire quindi a tanta informazione che tende invece – paradossalmente proprio in questi turbolenti tempi, così delicati per le questioni politiche internazionali – a gettare benzina sul fuoco fomentando, in modo indiscriminato e irresponsabile, diffidenza e avversione tra esseri umani, che appartengono a culture, razze e religioni diverse, ma sono tutti figli dello stesso Dio.[1]

Oltre ad alcune informazioni di base sull’Islam e i suoi rapporti col Cristianesimo, abbiamo provato ad individuare quella Verità metastorica, quella Tradizione di fondo, che accomuna tutte le grandi religioni. Comunque, non abbiamo trascurato d’evidenziare anche quelle norme etiche comuni, che nella loro essenziale bontà, possano andare al di là della particolare diversità dogmatica, rituale e teologica, risultando condivisibili anche con una buona parte di coloro che si  definiscono atei.

Nel nostro percorso di riflessione ci siamo affidati all’autorevolezza dei commentari dei maggiori studiosi della tradizione e abbiamo tratto utilissime informazioni da studi di validissimi scrittori – musulmani e non, riportati in bibliografia, considerati rispettosi esegeti della Sophia perennis[2] – i quali da anni hanno contribuito, a livello internazionale, al dialogo tra Cristianesimo ed Islam. Ci auspichiamo quindi che il nostro breve studio possa aiutare il lettore occidentale a comprendere questo particolare momento storico per riuscire ad accogliere l’altro, il diverso, il prossimo d’evangelica memoria, come se stessi, così come ha insegnato Gesù Cristo – il Logos incarnato il quale entra nel tempo e nello spazio, e alla luce della sua funzione messianica rende evidente la relatività della storia.[3]

 

 

Affinità e differenze

Sarà necessario accennare sinteticamente alle principali regole e caratteristiche della religione musulmana prima di affrontare quelle che sono le fondamentali affinità che la rendono religione sorella al Cristianesimo – come anche al Giudaismo – e che ci permetteranno di sviluppare un dialogo costruttivo e di stabilire una fruttuosa intesa.

In senso letterale, la parola Islàm significa ‘sottomissione’ (la radice etimologica allude anche alla pace e soprattutto all’umiltà),[4] ovvero obbedienza a Dio, al Progetto divino che concerne l’umanità intera e che l’uomo non può conoscere per la sua intrinseca limitatezza; tuttavia esso vi si dovrà abbandonare, fiducioso della bontà e della misericordia divina (il Cristiano direbbe che deve essere fatta la volontà di Dio). L’Islam è una religione monoteista sorta a Mecca nel VII secolo dopo Cristo in seguito alla predicazione di Muhammad (volgarizzato in Maometto)[5], considerato l’ultimo e definitivo Profeta,[6] inviato al genere umano da Dio (in arabo Allāh, ovvero ‘Il Dio’) al mondo intero, cioè a tutti i popoli e a tutte le comunità religiose precedenti.[7]

Il credo dell’Islam è riassunto nella Shahādah: “Non v’è altro dio eccetto Dio. Muhammad è l’Inviato di Dio”, dove viene esaltata l’unicità di Dio, proprio come recita la testimonianza di fede cristiana Credo in unum Deum. Quel che è invece molteplice, nell’Islam, è la modalità dell’espressione divina, ovvero i tanti profeti che nel mondo – che è per l’appunto molteplice – hanno rappresentato quell’unità attraverso più rivelazioni.[8] Da ciò si evince che la prospettiva islamica è assai aperta ad un serio approccio ecumenico, dal momento che la molteplicità delle religioni è voluta da Dio, e si rivela necessariamente quale riflesso della ricchezza della Natura Divina.[9]

I doveri fondamentali per ogni musulmano osservante sono definiti i Pilastri della fede, e sono:

- la Shahādah, o ‘testimonianza di fede’.

- la Zakāt, o versamento di un’imposta di ‘purificazione’ della ricchezza (la cosiddetta decima).

- la Salāt, preghiera canonica da effettuare cinque volte al giorno.

- il Ramadān, o digiuno in un particolare mese del calendario islamico, per chi sia in grado di sostenerlo.

- l’Hajj, pellegrinaggio canonico a Mecca, per chi sia in grado di sostenerlo fisicamente ed economicamente.

Oltre a questi obblighi,[10] ogni musulmano ha il diritto-dovere di assolvere al Jihād, l’‘impegno sulla strada di Dio’, che si esprime – nella sua forma principale (detta ‘maggiore’) nella lotta contro le pulsioni negative del corpo e dello spirito; come ‘jihād minore’ s’intende invece la necessità di difendere i confini fisici e spirituali della Ummah (ovvero del mondo mussulmano), e nel periodo iniziale della storia dell’Islam, anche in quella di estenderla, ma solo nei confronti di quelle popolazioni arabe politeiste, prive della sapienza del Libro: quindi né contro Ebrei, né contro Cristiani, entrambi parte della medesima radice spirituale d’Abramo.

Le correnti principali dell’Islam non ammettono né riconoscono clero, dal momento che si crede non possa esistere alcun intermediario fra Dio e le Sue creature. Ognuno è quindi sacerdote di se stesso e responsabile dei suoi errori. Questo fa sì che la discriminazione fra quanto è considerato consono all’Islam e quanto gli è contrario potrà scaturire solo dall’approfondito dibattito fra esperti ‘dottori’ (ulamā’).[11] Esiste pertanto un pluralismo di scuole giuridiche e teologiche, con numerose diverse interpretazioni di una stessa fattispecie (salvo, ovviamente, nel caso degli assetti dogmatici che non sono discutibili e contestabili). L’Islam, comunque, si propone come una religione wusta, cioè ‘mediana’ fra gli estremi, equilibrata, perché aborre gli eccessi e il fanatismo.

I testi fondamentali a cui fanno riferimento i musulmani sono, in ordine

d’importanza:

- il Corano (Al-Qur’ān, che significa ‘la Recitazione’), considerato dai Musulmani come Parola di Allāh, il quale attraverso l’Arcangelo Gabriele l’ha affidato a Muhammad, rivelandoglielo direttamente in lingua araba.[12]

- la Sunna (letteralmente ‘consuetudine’), basata sugli hadīth (tradizioni o detti)[13] di Muhammad; consta di Sei libri, e raccoglie gli episodi della vita del Profeta dell’Islam, le sue parole e i suoi atti.

Il Vangelo, i Salmi, la Torah (e persino i Veda induisti), sono considerati dai musulmani d’ispirazione divina, ma corrotti dal tempo o dagli uomini. l’Islam dichiara di discendere dalle tradizioni religiose del patriarca biblico Abramo, che fu considerato da Muhammad come suo più autorevole predecessore. Il primo profeta islamico è Adamo e, dopo di lui, si ricordano tra gli altri Noè, Abramo, Isacco, Ismaele, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Davide, Salomone, Giovanni Battista, e Gesù di Nazareth, figlio di Maria, considerata quest’ultima come esempio sublime di devozione femminile a Dio.

La Sharī’ah, letteralmente ‘la via’, ovvero la Legge Divina, è il fondamento della società islamica. Dal momento che Cristo non promulgò alcuna legge – ma venne ad infrangere la lettera della legge in nome dello Spirito – nel mondo occidentale la legge religiosa ha preso una piega differente rispetto a quella islamica, che invece considera le leggi della Sharī’ah come espressione della volontà divina. È la Shari’ah, la Legge Divina derivata dall’insegnamento del Corano e dall’esempio del Profeta, che codifica la guida onnicomprensiva di cui gli esseri umani hanno bisogno se vogliono ottenere la felicità. Nell’Islam la parola non si è fatta carne come nel cristianesimo, ma si è fatta libro e tale discesa non è connessa con la rigenerazione della natura umana, dal momento che l’uomo non viene considerato decaduto, ma il suo problema fondamentale è la sua persistente dimenticanza, di qui la necessità di una guida costante.

I Musulmani vengono differenziati in due gruppi: i sunniti e gli sciiti.     Il Sunnismo, orientamento nettamente maggioritario dell’Islam – quasi il 90% dell’intero mondo islamico – prende il suo nome dal termine arabo Sunna (consuetudine), riferita al profeta dell’Islam Muhammad e ai suoi Compagni. Il Sunnismo si differenzia essenzialmente dallo Sciismo per il suo netto rifiuto di riconoscere la pretesa degli Sciiti che la guida della comunità islamica debba essere riservata alla discendenza del profeta Muhammad attraverso suo genero Alī. Col tempo gli Sciiti si sono differenziati dai sunniti anche su alcuni istituti giuridici, ma il fatto che non abbiano deviato negli aspetti dogmatici non consente che si possa parlare di eresia. Comunque, nonostante le frammentazioni, le differenze teologiche, e le distinzioni etniche, c’è un forte senso d’unità nella comunità islamica (Ummah), anche se manca una vera coesione politica.

Il sufismo rappresenta infine l’elite spirituale islamica[14] – o una forma di misticismo, come altri l’hanno definito – dedita allo studio dei testi sacri ed alla pratica spirituale, ma esiste anche un approccio popolare al sufismo che permette una partecipazione passiva di molte persone alla grazia ed alle benedizioni dei sufi.

Per l’Islam il dovere dell’uomo è di riconoscere la suprema autorità di Dio al fine di ottenere la salvezza nella vita dopo la morte, la pace interiore e la concordia nei rapporti interpersonali. Il modo di realizzare questi obiettivi secondo l’Islam è quello di mettere in pratica il Corano, non associare Dio a nessun altro e sottomettersi alla sua volontà, assecondando la propria natura primordiale.[15] La seguente esternazione di Seyyed Hossein Nasr (Ideali e realtà dell’Islam) ci fa intendere quanto la religione islamica sia vicina, nell’essenziale, a quella cristiana:

 

Le rivelazioni del Corano non sono finalizzate a creare una società basata su smodata competizione ed egoismo, ma sulla consapevolezza che per ottenere la felicità interiore ed essere degno della misericordia e della compassione divina, dobbiamo noi stessi esercitare pietà e cura nei confronti del prossimo.

 

Ed ecco che alla mente del Cristiano affiorano spontaneamente le parole di Gesù (Matteo 19, 19):

 

Ama il prossimo tuo come te stesso

 

*

 

Per l’Islam Dio è Uno e Unico, mentre per il Cristianesimo Dio è sì un solo Dio, ma in tre persone, è Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Sebbene le tre persone della Trinità non infrangano l’unità della Divinità,[16] tuttavia possiedono modalità distinte: il Padre non è generato, il Figlio è generato, e lo Spirito Santo procede da Essi. Dunque il Padre è la fonte, il Figlio l’agente, e lo Spirito Santo rappresenta il completamento dell’attività Divina. Cristo – come puntualizza il Concilio di Calcedonia – ha una vera natura divina e una vera natura umana; e a tal proposito è Hans von Balthasar (Incontrare Cristo) ad evidenziare le difficoltà nel mondo islamico riguardo alla prospettiva cristiana:

 

Nella Sua vita umana Egli rivela l’intera profondità dell’Essere di Dio (‘Dio è l’amore’) ma anche tutta la dignità dell’uomo, partecipe in quanto ‘Figlio di Dio’, alla natura divina…. Per i Musulmani questi sono paradossi che appaiono contraddittori alla logica umana.[17]

 

Tuttavia, nell’ode mistica ‘L’interprete dei desideri’, del sufi Ibn Arabi, appare un verso incisivo che sembra aver colto la prospettiva cristiana:

 

“Il mio Amato è tre sebbene Egli sia Uno”

 

Se per il Cristiano Gesù e Maria rappresentano le polarità fondamentali della fede e della preghiera – il primo il Logos incarnato e la seconda l’immacolata madre del Logos – anche nell’Islam hanno un’enorme importanza, e a Gesù Cristo (Isa) viene attribuito un ruolo di grande Profeta ed Inviato,[18] la cui nascita dalla Vergine Maria,[19] viene considerata  miracolosa, come rivelano i seguenti versi del Corano (III, 45):

 

Quando gli angeli dissero: ‘O Maria, Dio t’annuncia la lieta novella di una Parola da lui proveniente: il suo nome è il Messia, Gesù, figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell’Altro, uno dei più vicini. Dalla culla parlerà alle genti e nella sua età adulta sarà tra gli uomini devoti.

 

Se sulla morte di Gesù Cristo emergono sostanziali differenze –  se ne nega la crocifissione e quindi la susseguente resurrezione[20] – sulla Sua nascita eccezionale v’è piena comunione di vedute.[21] Nella prospettiva escatologica d’entrambe le religioni, si attende inoltre la seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi, e anche per quel che riguarda lo stato dei trapassati si presentano molte somiglianze, soprattutto nella descrizione allegorica di Paradiso, Purgatorio e Inferno.[22] La stessa struttura letteraria della ‘Divina Commedia’ di Dante è stata concepita su di un modello islamico, anche se nel poema dantesco pregno d’allegorie cristiane, non poteva trovare spazio la simbologia sessuale del Paradiso islamico.[23]

Un tema su cui spesso si tendono ad evidenziare le differenze è appunto quello relativo alla sessualità. La poligamia viene solitamente vista dall’occidentale come licenziosa e amorale; in realtà non è poi così diffusa nell’Islam, e comporta delle responsabilità notevoli da parte del marito, e non solo di natura economica.[24] Comunque la poligamia può essere spiegata anche a livello simbolico, infatti la Verità (rappresentata dalla polarità attiva dell’uomo che è guida spirituale della famiglia) è una, mentre i ricettacoli animici (la polarità femminile passiva) possono essere molteplici.[25] Lo stesso uso dell’allegoria sessuale nel paradiso – criticata anch’essa da una prospettiva occidentale che spesso non tiene conto della potenza espressiva del simbolo – vuole rendere allegoricamente lo stato d’estrema gioia e di espansione che avranno le anime che raggiungeranno lo stato paradisiaco, e ciò alla luce dell’alto valore spirituale che l’Islam assegna all’intensa esperienza dell’amore sessuale.[26]

Le preghiere rituali, disseminate lungo la giornata richiamano i ritmi di quelle tradizionali cristiane: all’alba, come per il Mattutino; a mezzodì, come per l’Ora Sesta; a metà pomeriggio, come per l’Ora Nona; al tramonto, come per Vespri; a notte fonda, come per la Compieta. Lo stesso uso comune del conta-preghiere è sintomatico: sul tasbīh (il rosario mussulmano, formato da 99 grani) vengono recitati i nomi di Allah, o offerte a Lui ripetute formule di riverenza, e di sottomissione.[27]

Un confronto tra la Bibbia e il Corano mostra delle differenze di impostazione che sottolineano due modalità d’approccio differenti ma complementari al sacro. La Bibbia è come una ‘torrente che scorre’, quando se ne legge il testo c’è una costante contestualizzazione dei vari versi, delle storie, dei capitoli e dei libri. S’inizia a leggere la Genesi, e poi si procede nel tempo, passando dalle storie dei patriarchi, sino ai profeti, alla venuta di Gesù Cristo, agli apostoli ed infine all’Apocalisse. Il Corano, di contro, non racconta storie che hanno un nesso cronologico e rimane quindi non facilmente comprensibile per il lettore occidentale (è questo il motivo per cui è necessario avvalersi della tradizione dei commentari).

La naturalezza con cui il Mussulmano accetta le genti del Libro (Ebrei e Cristiani) ha comunque una forte componente storica, ovvero cronologica: essendo collegato l’Islam alla religione primordiale di Abramo, e di conseguenza all’Ebraismo e al Cristianesimo, vede la propria religione in continuità, e come perfezionamento della tradizione monoteistica occidentale che ha origine nell’Antico Testamento – Muhammad, è considerato l’ultimo dei Profeti, il sigillo finale della profezia.[28] Il contrario avviene per i Cristiani che si trovano a trattare invece con una realtà religiosa non prevista dai Vangeli,[29] che – se si presta fede ai moniti sui falsi profeti – può creare una certa diffidenza.[30]

La Verità offerta da Cristo è per il Cristiano completa ed esaustiva e sembrerebbe non aver bisogno di altro, se non di maggiori occasioni per ravvivare l’insegnamento di Gesù Cristo di amare il prossimo, l’altro, il diverso, persino il nemico, o colui che appare come tale. C’è purtroppo un buon numero d’individui nel mondo occidentale – il cui giudizio viene facilmente influenzato da forze politiche ed economiche prive di scrupoli, che agiscono in maniera sottile attraverso i mass media – che considerano l’Islam come reale nemico e non vogliono saperne dell’insegnamento di Gesù. La maggior parte della popolazione occidentale laica (o meglio laicista) riconosce nella cultura mussulmana una diversità rispetto alla propria, diversità che talvolta può portare ad una certa comprensibile difficoltà a relazionarsi, e talaltra ad un democratico desiderio d’integrazione sociale nel nome di una società globalizzata e multietnica – ovviamente all’interno d’un mondo ormai secolarizzato, sempre più lontano dai principi sacri che caratterizzavano invece le società tradizionali (di qui talvolta l’ingenuità e l’insufficienza di tale approccio). Il Cristiano è chiamato invece a vedere nel Mussulmano il prossimo d’evangelica memoria, il fratello da amare, l’altro, senza il quale è impossibile realizzare il mistero dell’amore insegnato da Gesù Cristo.[31]

Il monaco cistercense Thomas Merton, scrivendo ad un suo corrispondente mussulmano, individuava con facilità e naturalezza i più immediati punti in comune delle due religioni in questione:

 

Con tutto il cuore, posso senz’altro unirmi a te nel confessare l’Unico Dio con tutto il cuore e tutta l’anima, dal momento che è il principio di tutta la fede e la radice della nostra esistenza…. Credo con te anche negli angeli, nella rivelazione, nei Profeti, nella Vita che verrà, nella Legge e nella Resurrezione.

 

Ma prima d’affrontare un discorso ecumenico di una certa profondità, che possa proporre un incontro tra le due differenti tradizioni su di un piano metafisico, e quindi meta-storico, vanno fatti notare alcuni aspetti della mentalità occidentale. Essa purtroppo tende ad affidarsi spesso ad un approccio eccessivamente raziocinante – che talvolta rischia al contrario di rivelarsi irrazionale – e producendo un pensiero abituato a separare, definire, isolare una cosa dal resto, ha sviluppato una conoscenza basata sulla dicotomia soggetto-oggetto. Tuttavia, in tale dialettica, è impossibile riaffermare il primato dell’essere, di fronte al quale il pensiero si accontenta di descrivere e accogliere. Il  pensiero orientale invece è di tipo intuitivo e contemplativo, lascia vivere le differenze, e si serve della ricchezza del simbolo – che và infatti al di là della razionalità pura – per dire la realtà, e ciò andrebbe al più presto recuperato anche nel mondo occidentale se vogliamo tentare di realizzare un approccio ecumenico profondo.[32]  Nelle parole di Huston Smith (The world’s religions), troviamo suggerimenti più semplici, ma altrettanto efficaci, al riguardo:

 

Non capiremo mai abbastanza le religioni diverse dalla nostra. Tuttavia se tali religioni le prendiamo sul serio, non è detto che falliremo miseramente nel tentativo. E per prenderle sul serio dobbiamo soltanto fare due cose. In primo luogo è necessario considerare coloro che vi appartengono come uomini e donne che affrontano problemi come i nostri. E in secondo luogo, dobbiamo liberare le nostre menti da ogni pregiudizio che potrebbe minare la nostra sensibilità o la nostra prontezza rispetto a imprevedibili intuizioni.

 

La nostra società deve tornare ad essere capace di riconoscere il sacro nelle cose, nei fratelli, nell’altro, e quindi di riuscirlo a ritrovare nell’Islam stesso. La chiesa cattolica sussisteva quasi ‘incontaminata’, ora in un mondo globalizzato, deve porsi in dialogo con un vicino che reclama d’essere parte della stessa rivelazione, chiede a giusto titolo di essere riconosciuto come parte del disegno divino: è questa la reale sfida ecumenica da affrontare. Quindi nell’avvicinare il lettore al capitolo seguente lo invitiamo fin da ora a provare ad abbandonare certi atteggiamenti aut aut, tipici della mentalità occidentale, di lasciare ogni pregiudizio, e di provare a recepire le parole di quei santi e di quei saggi che andremo a citare, con spirito d’amore e predisposizione alla comprensione. Viene richiesto soprattutto al Cristiano di fare uno sforzo notevole: quello di riuscire a scorgere – come ci suggeriscono le parole del Concilio Vaticano II – i raggi dell’unica Verità, anche nella religione dell’altro, pur se non centrata su Cristo, che comunque – a scanso di equivoci che potrebbero condurre ad un generico relativismo – rimane per lui, l’unica via di salvezza.

 

 

Per un approccio ecumenico profondo[33]

Nella Dichiarazione sulle religioni del Concilio Vaticano II°, si legge:

La Chiesa cattolica non respinge nulla che sia vero e santo in quelle religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di condotta e di vita, quelle regole e quegli insegnamenti che, pur differendo in molti particolari da quanto essa proclama e dichiara, tuttavia riflettono spesso un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini.

 

Una dichiarazione del genere apre orizzonti ecumenici che senz’altro vanno al di là della ‘famiglia della fede’, ovvero delle varie Chiese cristiane; [34]  tuttavia queste premesse sembrano essere sfumate nei decenni trascorsi sino a raggiungere una sorta di pseudo-ecumenismo, oggi tanto sbandierato (il rischio degli ‘-ismi’ è infatti quello di diventare sterili, e in certi casi pericolose, ideologie), che più che essere volto ad una reale comprensione della comune natura delle varie religioni, il più delle volte, non va oltre il moderno atteggiamento di democratica tolleranza.[35]

Al di là di questo superficiale sentimentalismo ecumenico, è possibile intendere le varie religioni tradizionali – che spesso si sono fronteggiate come latrici del proprio credo da contrapporre agli ‘infedeli’ – come differenti vie di un’unica Verità, che soltanto il santo è in grado di contemplare, perdendo di vista le illusorie divisioni. Il dialogo ecumenico è invece il più delle volte a livello esteriore, delle dottrine e delle pratiche, e a tale livello, viste le differenze degli insegnamenti delle religioni del mondo, sembra esservi solo l’alternativa della contraddizione  o del compromesso. In tal modo il dialogo si riduce a due monologhi paralleli. Ma le religioni non sono fatte soltanto di fedi e di comportamenti, da accettare o da rifiutare dalla ragione e dalla volontà. Ciascuna grande tradizione religiosa ha anche una terza dimensione, un cuore spirituale, in cui il significato più profondo di quelle fedi e di quelle pratiche diventa vivo, e dove il pellegrino spirituale scopre in coloro che seguono altre vie, al di là del livello delle forme che appaiono contraddittorie, il medesimo comune obiettivo. Una prospettiva di questo tipo è sempre esistita nella storia dell’umanità, anche se sono stati soltanto e mistici e i contemplativi ad averne lucida consapevolezza. Il fatto che il Concilio Vaticano II° abbia messo ‘nero su bianco’ certi aspetti di questa Verità, risponde ad un’esteriorizzazione tipica del nostro tempo, che se da un lato tende a perderne profondità, dall’altro svolge una parallela funzione provvidenziale.[36] Se nella storia passata è stato possibile mantenere un fermo esclusivismo tra le religioni – evitando così di creare anche una certa confusione tra i proseliti – oggi le condizioni sono alquanto mutate. In piena era di globalizzazione è molto più facile, per qualsiasi occidentale, venire a contatto con differenti tradizioni religiose e talvolta – non avendo mai avuto l’opportunità di prendere coscienza della qualità della propria – essere persino attratti dalla novità della spiritualità orientale, o perdere facilmente la Fede. È difficile far capire ad un Cristiano che mentre egli raggiungerà la Salvezza soltanto attraverso Cristo (e la ritualità corrispondente), al contempo un Mussulmano vi riuscirà seguendo il Corano.[37]

Ci sono ‘Cristiani’ che dicono che l’unico modo per venire incontro alle convinzioni d’altre religioni, sia quello di abbandonare l’idea – fondamento del Cristianesimo – della divinità di Cristo. A loro si contrappongono altri Cristiani ‘tradizionalisti’ che affermano che l’unica via di salvezza per il mondo intero sia quella additata da Gesù Cristo. Dire una bugia sulla realtà di Cristo non può contribuire a risolvere i problemi del dialogo interreligioso, tanto meno far intendere che Dio possa essersi manifestato nella storia dell’umanità soltanto in un’unica rivelazione. Il dialogo liberale e il monologo esclusivista rimangono due facce di una stessa medaglia, di un approccio che mostra i suoi limiti intrinseci.

Un autentico approccio ecumenico deve saper onorare l’importanza dei dogmi tradizionali, ma allo stesso tempo deve saper trovare – attraverso la preghiera, la contemplazione, l’amore per il prossimo, e la Grazia del Padre Eterno – quella saggezza che permetterà di discernere che quell’unico Dio, cercato anche da altre religioni, è il medesimo;[38] Frithjof Schuon (Cristianesimo/Islam) afferma a tal proposito:

 

Per quanto possa sembrare paradossale, il Cristiano deve essere davvero Cristiano e il Musulmano davvero Musulmano perché ci possa essere una comunione spirituale tra di loro […].   È solo grazie a tale santa separazione alla base, che vi potrà essere una santa unione alla vetta.

 

Tutti gli esseri umani hanno potuto e potranno ancora fruire della Salvezza, ognuno seguendo le regole della propria tradizione religiosa e quindi vivendo nell’umiltà e nell’amore (d’altronde, al di là di qualsiasi diversità religiosa, dove c’è sincerità e serio desiderio di verità, Dio non nega mai i doni della sua Grazia) – oppure potranno rifiutarla, scegliendo di conseguenza la propria illusoria esistenza separata. Le parole del musulmano Rusmir Mahmutćehajić (The essential Sophia) invitano a prendere coscienza di quest’ultimo rischio e a comprendere il mistero della diversità:

 

Nella creazione non v’è ripetizione: ogni manifestazione è nuova, unica e originale, ma ciascuna sta a testimoniare l’unità e l’unicità del Creatore. Dal momento che il Creatore è infinito ed eterno, Egli si manifesta attraverso l’infinita diversità, e tale diversità manifesta la Sua unità ed unicità: l’Uno si rivela nella molteplicità, e la molteplicità manifesta e loda l’Uno. Allo stesso modo, il Sé manifesta Se Stesso in sé individuali, e le lingue individuali manifestano il potenziale illimitato del sé di ricevere la parola del Sé […]. Lo stato decaduto dell’umanità in fin dei conti non è altro che lo stato del sé confuso dalla molteplicità del mondo, e dimentico ormai del sacro, inteso come proprio centro immutabile.

 

Uno dei pochi cattolici che è riuscito ad esprimersi con una certa chiarezza su questo delicato tema è stato – soprattutto durante gli anni ’60 – il monaco cistercense Padre Louis, ovvero Thomas Merton (Mistici e Maestri zen), che ebbe il coraggio di scrivere – alcuni anni prima delle dichiarazioni ufficiali del Concilio Vaticano II° – le seguenti, lucidissime riflessioni:

 

In tutte le religioni non soltanto troviamo l’affermazione di una rivelazione divina in una forma o nell’altra, ma anche la documentazione di speciali esperienze che attestano la validità definitiva ed assoluta di tale rivelazione. Inoltre tutte le religioni riconoscono, più o meno generalmente, che questa profonda esperienza ‘sapienzale’ la si chiami gnosi, contemplazione, ‘misticismo’, ‘profezia’, o come si vuole, rappresenta il frutto profondo e più autentico della religione stessa. Tutte le religioni, quindi, tendono ad un massimo di santità, di esperienza, di trasformazione interiore alla quale i loro credenti – o un’élite di credenti – aspirano nella speranza, in un certo qual modo, di incarnare nella loro vita i più alti valori spirituali nei quali credono.

 

O quando, in modo ancora più incisivo – facendo esplicito riferimento a specifiche grandi tradizioni religiose – afferma:

 

Poiché in pratica dobbiamo riconoscere che Dio non ha limiti nei suoi doni, e poiché non c’è ragione di pensare che egli non possa elargire la sua luce agli altri uomini senza il nostro permesso, non può esistere alcuna solida ragione per negare la possibilità della rivelazione (privata) soprannaturale e delle grazie mistiche e soprannaturali a singole persone, dovunque esse siano o qualunque sia la loro tradizione religiosa, purché ambiscano sinceramente a Dio e alla sua verità. Né esiste alcuna base a priori per negare che i grandi personaggi profetici e religiosi dell’Islam, dell’Induismo, del Buddismo etc., siano stati dei mistici, nel vero, cioè soprannaturale senso della parola.

 

A tal proposito, il metafisico Frithjof Schuon (Comprendere l’Islam), ha saputo offrire ulteriori spunti di riflessione:

 

Se vi sono religioni diverse – ognuna delle quali parla, per definizione un linguaggio assoluto e per conseguenza esclusivo – è perché la differenza delle religioni corrisponde esattamente, per analogia, alla differenza degli individui umani; in altri termini, se le religioni sono vere, è perché Dio ogni volta ha parlato, e se esse sono diverse, è perché Dio ha parlato linguaggi diversi, in conformità alla diversità dei ricettacoli; infine se esse sono assolute ed esclusive, è perché in ciascuna Dio ha detto ‘Io’.

 

Oggigiorno, purtroppo, tale comprensione è estranea alla maggioranza del mondo cattolico che spesso, vede ancora le altre religioni come antagoniste alla propria, e tende a tollerarle o a classificarle come erronee.[39]

Mi preme far menzione anche d’una voce che, assai recentemente, è riuscita ad andare ben oltre il coro del superficiale approccio ecumenistico sentimentale: Madre Teresa di Calcutta (Love, a fruit always in season). Le sue parole indicano chiaramente la strada da intraprendere:

 

Servire la gente significa avvicinarsi a Dio. Se nel venire faccia a faccia con Dio, Lo accettiamo nelle nostre vite, ecco che ci stiamo convertendo. Diventeremo un miglior induista, un miglior mussulmano, un miglior cattolico, diventeremo migliori, qualsiasi cosa siamo, avvicinandoci a Lui sempre più. La Chiesa d’appartenenza riguarda l’individuo. Se l’individuo pensa e crede che quella è l’unica via per lui che porta a Dio, allora quella sarà proprio la via attraverso la quale Dio entrerà nella sua vita. Dio offre ad ogni anima che ha creato, la possibilità – venendo faccia a faccia con Lui – d’accettarlo o rifiutarlo.

 

O ancora, sempre nelle parole della ‘matitina nelle mani di Dio’:

 

Dio sceglie le vie ed i mezzi per operare nei cuori degli uomini. Non dobbiamo condannare o giudicare, o usare parole che possano ferire le persone. Ci possono essere persone che non hanno mai sentito parlare di Cristianesimo; non possiamo sapere quale modo Dio ha scelto per apparire a quelle anime, quindi chi siamo noi per condannare qualsiasi persona?

 

Madre Teresa attraverso l’esperienza d’amore che spontaneamente donava al prossimo, è riuscita a cogliere con chiarezza l’idea che Dio ha l’onnipotenza di manifestare il suo Logos d’Amore in più di una modalità, dando impulso a differenti religioni.[40]

Persino Hans von Balthasar (Incontrare Cristo), che da teologo cristiano prende le dovute distanze dalle altre religioni non può non affermare che:

 

Per la sensibilità cristiana, la libera misericordia di Dio si è rivolta a tutti gli uomini, anche a quelli che non lo conoscono in virtù della rivelazione biblica[…]. Il Dio che si rivela a Gesù Cristo è il Padre misericordioso di tutti coloro che lo cercano con cuore sincero.

 

La verità è che bisogna avere il coraggio di affermare che la propria religione non ha il diritto di giudicare, vantando una superiorità (o addirittura un’esclusività) sulle altre tradizionalmente istituite, dal momento che tutte le religioni sono vie che conducono l’uomo a Dio,[41] e non deve oggi esservi tra queste alcuna competizione, se non quella di offrire il maggior numero di esempi viventi di santità, che potranno poi incontrarsi nei cieli del Paradiso, dove le divisioni formali che qui sulla terra distinguono le varie religioni, avranno modo di sciogliersi come neve al sole (o come analogamente suggerisce la cultura islamica, ‘come sale nell’acqua’).[42]

O nelle parole del poeta sufi Hāfiz:

 

Nell’amore non c’è alcuna differenza tra un monastero e una confraternita di Sufi[43]

 

Tra gli Occidentali,[44] che si avvicinarono al sufismo,[45] ricordiamo il già citato monaco cistercense contemplativo Thomas Merton (1915 – 1968), e lo studioso Louis Massignon (1883 – 1962); quest’ultimo, proveniente da un contesto ateo-laicista, attraverso lo studio della realtà religiosa islamica e della sua mistica si convertì al cattolicesimo. Il fatto è significativo, e conferma che la conoscenza di altre tradizioni religiose crea in ciascun individuo una fame del sacro che prima o poi trova la sua naturale strada all’interno della Tradizione religiosa in cui si è cresciuti. Vivendo nei paesi islamici come archeologo, il suo incontro con Dio lo fece con lo straniero, con l’altro, col diverso. Dalla sfida religiosa con l’Islam ne uscì purificato, e una volta convertitosi al cattolicesimo rimase sempre rispettoso nei confronti delle altre religioni, tanto che i suoi contributi ecumenici troveranno riscontro nei documenti del Concilio Vaticano II° Lumen Gentium e Nostra Aetate. La sfida di cui parlava Massignon, l’aveva affrontata senza timore San Francesco nel 1219, dinnanzi al Sultano mussulmano, ma è una sfida che ogni Cristiano può oggi rinnovare, senza dover compiere il lungo e faticoso viaggio del ‘Poverello d’Assisi’.[46]

Tra gli italiani che ebbero modo di stare a contatto con Massignon va ricordata la figura del francescano minore Giulio Basetti Sani, il quale quando veniva accusato di essere un po’ troppo filo-musulmano, replicava con decisione: “Ma io sono musulmano!”, alludendo all’origine etimologica del termine muslim, ovvero consapevole sottomissione alla volontà di Dio. Sue sono le seguenti parole di intenso sapore ecumenico:

 

Se è vero che ogni fede (musulmana, cristiana, indù, etc.) nasce da un’esperienza del divino che in modi diversi si dona e si propone all’uomo, allora, per poterci avvicinare veramente a Colui che è fonte e principio di ogni vita, è necessario renderci reciprocamente partecipi dei doni che Egli ha elargito a ogni singolo uomo, inserito all’interno di particolari comunità religiose, sociali, politiche.

 

L’incontro con l’Islam del monaco cistercense Padre Louis, ovvero Thomas Merton, avvenne invece a pochi anni dalla sua morte accidentale a Bancok. Molto aperto al dialogo con le altre religioni – esperto di buddismo zen, e convinto dell’importanza di promuovere in modo corretto l’attività di meditazione e contemplazione, per rivitalizzare così la tradizione mistica cristiana – iniziò una corrispondenza epistolare col Sufi pakistano Abdul Aziz. In una sua lettera del 1962, rivolta al saggio orientale leggiamo:

 

Mi sembra che la reciproca comprensione tra Cristiani e Mussulmani sia oggi qualcosa d’importanza davvero vitale, e sfortunatamente risulta rara e incerta, o quantomeno soggetta alle fluttuazioni della politica.

 

A 45 anni di distanza, queste parole sono più che mai vere. Ma andiamo a capire a che livello Merton cercava punti d’incontro con l’Islam (da Baker R./Henry G./& others, Merton and Sufism):

 

Per quel che riguarda le differenze dogmatiche, penso che la controversia conti ben poco poiché ci porta lontano dalle realtà spirituali nel mondo delle parole e delle idee. Nel regno delle realtà possiamo avere molto in comune, mentre nelle parole ci sono tante di quelle complessità e sottigliezze che complicano e impediscono una qualsiasi soluzione. Tuttavia credo sia importante cercare di comprendere le fedi delle altre religioni. Ma ancor più è importante la condivisione delle esperienze della luce divina, e innanzi tutto la luce che Dio ci dà anche come Creatore e dominatore dell’Universo. È qui che sta l’area di dialogo fruttuoso tra Cristianesimo ed Islam. Adoro quei passaggi del Corano che parlano delle manifestazioni del Creatore nella Sua Creazione.

 

Merton vedeva nelle pratiche d’entrambe le tradizioni religiose – pentimento, rinuncia, digiuni, povertà, umiltà, preghiera, meditazione e contemplazione – un cammino verso il medesimo fine, che spesso giungeva a sfiorarsi. Il monaco si accorse che la cosiddetta estinzione, nelle pratiche sufi (fanā’), corrispondeva all’annullamento perseguito dai mistici cristiani, e che le tecniche di ripetizione del nome di Dio (dikr), erano assai simili a quelle che utilizzano i monaci ortodossi.[47] In un incontro coi novizi al Monastero di Gethsemani a Louisville, Kentucky (USA), nel 1967 egli rifletteva così:

 

Il Profeta Muhammad che si presenta come ultima rivelazione di Dio […]. sta in un certo qual modo a rappresentare l’uomo, dal momento che viene considerato dai Mussulmani come uomo perfetto […]. Ciò che noi Cristiani diciamo è che tutto viene da Dio e che la Creazione è una manifestazione di Dio, e che viene tutta riassunta in Cristo […]. Muhammad è per i Mussulmani soltanto un uomo, soltanto un Profeta, mentre nella nostra cristologia, Cristo è il figlio di Dio […],  tuttavia l’idea di base è strutturalmente la stessa: l’idea della manifestazione di Se Stesso da parte di Dio nella creazione, e nel compito dell’uomo di testimoniarla, proclamarla, riconoscerla, e ringraziare Dio per ciò, rivolgendosi a Lui con gratitudine.

 

La sua acuta prospettiva ecumenica lo portava – allargando il suo raggio d’azione – a dichiarare senza alcuna esitazione che:

 

La tradizione della saggezza e dello spirito non è soltanto nel Cristianesimo dell’Occidente, ma anche nell’Ortodossia, ed anche, quantomeno in modo analogo, in Asia e nell’Islam.

 

Il sufi Ibrahim bin Adham ebbe occasionalmente come maestro un eremita cristiano, senza tuttavia convertirsi all’altra religione; il sufi Jalal al-Din Rumi ebbe discepoli cristiani, e quando morì fu onorato anche da riti funebri cristiani. D’altronde l’anonimo classico russo La via del Pellegrino è davvero esplicito al riguardo quando dice che nell’assenza di uno starets, ovvero di un padre spirituale, il ricercatore cristiano potrà ricevere insegnamenti ‘persino da un Saraceno’.[48]

Le diversità tra religioni devono rimanere, altrimenti dov’è l’incontro con l’altro? Verrebbe a mancare la necessaria complementarità (come nell’eros della coppia uomo e donna).[49] Non si deve cadere nel facile errore d’auspicare una fusione – in una sorta di culto universale globalizzato, sul modello New Age – ma va colta quella Verità comune sottesa ad ogni autentica forma religiosa tradizionale: e l’unità può essere scovata soltanto a livello trascendentale. Comunque, è innegabile che il rispetto dei dogmi delle specifiche religioni tenda ad allontanare, e di ciò si rese conto Merton che puntava invece – attraverso lo studio dei metodi di contemplazione della tradizione cristiana esicasta d’oriente e quella dei sufi mussulmani – alla ricerca d’un obiettivo comune: la ricerca di Dio, attraverso la preghiera profonda.

Un altro valido pensatore che è riuscito a cogliere notevoli parallelismi è stato Seyyed Hossein Nasr (Ideali e realtà dell’Islam):

 

“Allo stesso modo in cui una montagna può essere descritta in diverse maniere, secondo l’angolo dal quale la si osserva, la dottrina viene espressa frequentemente in termini che esteriormente possono sembrare contraddittori. Ma l’oggetto di tutte le descrizioni è la montagna, così il contenuto di tutte le espressioni dottrinarie è la verità, che ogni formulazione esprime da un determinato punto di vista […]. Ogni religione rivelata è ‘la’ religione e ‘una’ religione: la religione in quanto contiene ‘la’ verità e i mezzi per conseguire la verità, ‘una’ religione in quanto pone in rilievo un aspetto particolare della verità in vista delle necessità spirituali e psicologiche degli esseri umani ai quali è stata destinata e ai quali si rivolge […]. Nell’esaminare il rapporto tra Dio e l’uomo l’Islam non pone in evidenza la discesa, o incarnazione, o manifestazione dell’Assoluto […]. L’Islam considera piuttosto l’uomo quale egli è nella sua natura essenziale, e Dio quale Egli è nella sua assoluta realtà. È fondato sull’Assoluto, e non sulla discesa dell’Assoluto. Parimenti l’Islam considera l’uomo non quale egli è diventato dopo quell’evento molto significativo che il cristianesimo chiama peccato originale o caduta, ma quale egli è nella sua natura primordiale […] che egli reca nell’intima profondità della sua anima.

 

E ancora Nasr (The heart of Islam) cerca qui d’esprimere profondamente il senso del Logos:

 

Se nel Cristianesimo sono lo spirito e il corpo di Cristo ad essere sacri, in quanto Egli è il Verbo di Dio, nell’Islam il Verbo di Dio è rappresentato dal sacro Corano. Se  nel Cristianesimo il veicolo del messaggio divino è la Vergine Maria, nell’Islam è l’anima del Profeta. Il Profeta deve essere ritenuto illetterato per la stessa ragione per cui la Vergine Maria deve essere creduta vergine. Il tramite umano del messaggio divino deve essere puro e intatto.

 

Martin Lings (A return to the Spirit) ci offre un analogo spunto di meditazione:

 

La Parola Divina può manifestarSi sia come Libro che come Uomo. Nel Cristianesimo la Parola è Cristo, e il Nuovo Testamento non è Rivelazione ma un’ispirata storia sacra della vita e degli insegnamenti della Parola fatta Carne, mentre Giudaismo ed Islam sono basate sulla Parola fatta Libro. Il fondamento del Giudaismo è il Pentateuco, i primi cinque libri dell’Antico Testamento che vennero rivelati a Mosè, insieme ai Salmi che furono rivelati a David; mentre il fondamento dell’Islam è il Corano che fu rivelato a Muhammad. Nelle religioni antiche, di cui l’Induismo appare essere l’unico esempio pienamente sopravvivente, c’è stato spazio per entrambe queste manifestazioni: i Veda sono la Parola fatta Libro, e gli Avatāra di Vishnu sono la parola fatta carne […]. Tutte espressioni della verità che non c’è via che conduce a Dio se non tramite la Sua Parola.

 

A tal proposito si potrebbe addirittura dire che la cultura musulmana non sia completamente iconoclasta, in quanto il Corano – di per sé la presenza dell’Assoluto nella finitezza della Parola – mostra nei preziosismi artistici della calligrafia un notevole culto dell’immagine,[50] come sottolinea giustamente Titus Burckhardt (L’arte sacra in oriente e in occidente):

 

La più nobile arte visuale nel mondo dell’Islam è la calligrafia; in particolare, la scrittura coranica costituisce l’arte sacra per eccellenza. La sua funzione è in qualche modo analoga a quella dell’icona nell’arte cristiana, poiché rappresenta il corpo visibile della Parola divina.

 

Le seguenti riflessioni sono invece del teologo cristiano ortodosso Philip Sherrard (Christianity: Lineaments of a Sacred Tradition), e conducono a un punto cruciale, un punto spesso d’impasse per buona parte del mondo cristiano:

 

Una delle condizioni di rinnovamento all’interno della Chiesa Cristiana è che essa rinunci ad affermare che la rivelazione cristiana costituisca l’unica esclusiva rivelazione della Verità universale […]. Il Logos, nella Sua ‘kenosis’, il Suo auto-svuotamento, si nasconde ovunque, e le tipologie della Sua realtà, sia nelle forme delle persone che negli insegnamenti, non potranno essere uguali […]. Tuttavia tali tipologie sono altrettanto autentiche: una qualsiasi lettura profonda di un’altra religione è una lettura del Logos, di Cristo. È il Logos che viene ricevuto nell’illuminazione spirituale di un bramino, di un buddista, o di un musulmano […]. È impossibile per tutta la conoscenza di Dio e per tutta la Sua saggezza essere ‘in actu’ e pienamente espressa in un’unica rivelazione […]. Nessuna singola forma di rivelazione ha alcun titolo di proclamare di essere l’unica ed ancor meno totale […]; fare tale affermazione significa far violenza alla natura di Dio Stesso.

 

Persino William Shakespeare, noto drammaturgo inglese vissuto tra XVI e XVII secolo, attraverso le parole del personaggio di Charles, dà nell’Enrico VI°/1 (Atto I, Scena 2) un contributo ad una prospettiva ecumenica ante litteram:[51]

 

 Non fu una colomba ad ispirare Muhammad?

 

Il fatto che a Shakespeare fosse nota la tradizione relativa alla colomba del Profeta dell’Islam, saggia quanto lo Spirito Santo dei Cristiani (ovvero la Barakah mussulmana), conferma la prospettiva di rispetto che certe élites avevano per le religioni tradizionali differenti dalla propria.[52]

Il Corano è fonte d’ispirazione interreligiosa e bisognerebbe approfondirne lo studio quantomeno per questo motivo.[53] E’ infatti l’unica scrittura, rispetto alle altre del mondo, a fare esplicito riferimento al dialogo tra comunità di fedi diverse, sottolineando al contempo la necessità della diversità delle religioni – evitando in tal modo di cadere nel sincretismo, che invece nella cultura occidentale pseudo-cristiana sta dilagando pericolosamente. I Cristiani potranno quindi trovare nei Musulmani degli interlocutori pronti a tale dialogo, in quanto ciò rientra tra i doveri imposti dal loro testo sacro. Quindi potrà essere proprio l’Islam, a svolgere una funzione provvidenziale nel percorso ecumenico apertamente inaugurato dal Concilio Vaticano II, ed aiutare a risolvere la crisi contemporanea che si è manifestata con la globalizzazione e con i conseguenti atteggiamenti d’esclusivismo religioso. A tal motivo, permetteteci di concludere con alcuni eloquenti passi del testo sacro della tradizione islamica, a cui fanno eco altri, tratti dalla Bibbia:

 

Ad ogni comunità abbiamo indicato un rito da osservare (Corano XXII, 34)

 

Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una comunità unica. Ma egli ha voluto provarvi con il dono che vi ha fatto; cercate dunque di superarvi gli uni gli altri nelle opere buone, perché tutti tornerete a Dio e allora Egli vi illuminerà circa quelle cose per le quali siete divisi e in discordia (Corano V, 48)

 

In verità tutti coloro che credono, e i giudei, nazareni o sabei, tutti quelli che credono in Allah  e nell’Ultimo Giorno e compiono il bene, riceveranno il compenso presso il loro Signore (Corano II, 62).

 

Non abbiamo forse tutti un unico Padre? Non ci ha creato un unico Dio? (Mal. 2, 10)

 

Chi Lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a Lui accetto (Atti degli Apostoli, 10:35)

 

Sono questi i ‘nuovi’ scenari ecumenici da sviluppare nel terzo millennio, e sta anche ai laici promuovere questo processo di reciproca comprensione col fratello mussulmano, il prossimo, colui che oggi è più vicino: è con lui che vivremo fianco a fianco questo nuovo cruciale secolo.

 

 

Un incontro inevitabile

Un punto assai delicato su cui si scontra la diffidenza occidentale nei confronti della religione musulmana è quello del recente sviluppo del cosiddetto terrorismo islamico. Parlare di terrorismo islamico è tuttavia una contraddizione in termini, come per un Cristiano sarebbe inconcepibile parlare di terrorismo cristiano, o per un buddista di terrorismo buddista: le religioni, votate per loro natura all’amore, all’equilibrio e alla pace, non possono accogliere nel loro ambito il terrore. Al di là del linguaggio simbolico che emerge dalle Scritture,[54] tutte le tradizioni religiose sono profondamente contrarie all’omicidio, alla guerra, o a qualsiasi forma di coercizione e violenza fatta su di un proprio simile.

Quindi è bene avere un’idea chiara di ciò che viene definito impropriamente terrorismo islamico, ma che in realtà ha a che fare con questioni politico-economiche, intrecciate ad aspetti distorti della religione che hanno dato vita a movimenti definiti integralisti; in realtà essi sono il paradossale frutto velenoso di una propaganda progressista che tende a secolarizzare la società. Molti musulmani si sono allontanati dagli autentici valori tradizionali, ed altri, manipolati anche dai poteri forti di lobbies internazionali interessate a certi sviluppi di politica mondiale, hanno ceduto alla tentazione della violenza. Ma prima di tutto va chiarito il significato di un termine arabo – jihad – assai abusato oggi, soprattutto dai media che ne fanno sistematicamente un uso improprio. Jihad sta a significare ‘sforzo’, nel cammino che porta a Dio, a fare il bene e ad opporsi al male. In effetti le regole della preghiera, del digiuno etc. che impone la religione islamica sono per ogni fedele uno sforzo quotidiano, che il Mussulmano comunque fa di buon grado, consapevole di far cosa gradita a Dio e fiducioso dei beni postumi che riceverà da tali pratiche, unite ad una condotta di vita rispettosa del prossimo. Questo combattimento spirituale, questa guerra santa – così come ha insegnato il Profeta dell’Islam in un hadith – può alludere anche ad un vero e proprio scontro bellico. Il contesto di quell’hadith (“Siamo tornati dalla piccola guerra per affrontare ora la grande guerra”) era quello di un’appena conclusa campagna militare a difesa di Medina (la famosa vittoria nella battaglia di Badr), e si poteva quindi comprendere l’importanza, di questo secondario significato del jihad, che tuttavia oggi rischia di eludere quel ben più impegnativo sforzo interiore che và invece sostenuto fino in fondo, e che deve affrontare il cristiano, impugnando quella spada, ovvero quella croce, che ci ha indicato Cristo.[55] Storicamente il piccolo jihad era diretto contro coloro che erano in opposizione all’autorità politica dello stato islamico, il fine era quello di creare nell’area arabica un ordine sociale in cui fosse garantito il culto di Dio sia per i Mussulmani che per le genti del Libro; infatti furono solo le popolazioni politeiste delle tribù arabe ad essere portate con la forza verso l’Islam, mentre le popolazioni che in quei territori già appartenevano al Libro non furono obbligate a convertirsi all’Islam. Ne deriva che la cosiddetta ‘jihad contro ebrei e crociati’, è fortemente contraria alle fonti originali islamiche: non sono loro gli infedeli![56] I commentari più antichi e autorevoli del Corano e la tradizione degli hadith esprimono le caratteristiche e i limiti che i primi Mussulmani posero sul piccolo jihad; tra i limiti fissati, il non uccidere donne, bambini, anziani, o coloro che sono disposti alla pace.[57] Il piccolo jihad non deve creare squilibri nell’ambiente (animali, piante, elementi), quindi praticare il jihad con armi tecnologiche di distruzione di massa è per l’Islam una contraddizione in termini. Quei Musulmani che indebitamente si permettono di collegare il sacro termine di jihad a simili atti di terrore non hanno alcun avallo da parte delle vere autorità spirituali del mondo islamico. Comunque è nelle parole di Shah-Kazemi (Paths of the Heart) che si può scorgere la profonda prospettiva dell’Islam di fronte al jihad:

 

Il vero guerriero dell’Islam mozza la testa della propria rabbia con la spada della tolleranza; il falso guerriero colpisce la testa del nemico con la spada del proprio orgoglioso ego. Infatti nel primo caso è lo spirito dell’Islam a determinare il ‘jihad’, mentre nel secondo è un’amara rabbia, mascherata da ‘jihad’, a determinare l’Islam.

 

O in ciò che riferisce Seyyed Hossein Nasr (The heart of Islam):

 

I maggiori combattenti spirituali dell’Islam sono i santi, il cui strumento di battaglia non è la spada ma il rosario.

 

*

 

Un altro pericoloso equivoco sull’Islam, è la facile contrapposizione che viene fatta oggigiorno tra fondamentalisti e ‘moderati’ (o meglio modernisti), infatti se da un lato i ‘moderati’ vorrebbero abbracciare i modi del mondo occidentale moderno, i fondamentalisti vi si oppongono (alcuni, persino in maniera violenta); la verità dell’Islam, al di là di queste due polarità, cresciute sotto l’influsso del sistema socio-economico occidentale, sta nella saggezza che deriva da secoli di tradizione religiosa, che rifiuta la violenza, ma si oppone comunque all’abbandono del culto e alle chimere di una secolarizzazione priva di saldi principi etici. La visione ‘moderata’ islamica, tendendo a scartare molte delle tradizioni come gli hadith e la giurisprudenza maturata nei secoli, o interpretandole attraverso metodologie moderne, ha creato squilibri e deformazioni. D’altronde il mondo moderno manca del senso di trascendenza e limita la realtà al suo aspetto più esteriore, mentre l’Islam è una religione basata sulla trascendenza di Dio (come accade anche per l’Ebraismo), quindi i Mussulmani ‘moderati’ in fin dei conti si stanno pian piano estraniando dalla loro tradizione spirituale e intellettuale. Dunque il declino dell’Islam sembra principalmente dovuto proprio all’adozione d’idee che provengono dal mondo occidentale secolarizzato.[58] Gli spettacoli d’intrattenimento (televisivi e non) hanno portato alla rottura dei gusti e delle inibizioni tradizionali, com’è peraltro accaduto già nella cultura italiana nell’immediato dopoguerra, come già notava acutamente Pier Paolo Pasolini, il quale si rese subito conto di come la mentalità consumistica avrebbe presto distrutto le preziose diversità culturali del nostro paese.[59] Nel mondo occidentale, di tradizione cristiana, religione fondata anche sull’aspetto immanente della divinità, il processo di secolarizzazione si è sviluppato assai in fretta e ha preso una piega pericolosa: l’aver dimenticato l’aspetto trascendente del divino e quindi abbandonato – ponendo la fiducia solo nell’uomo e nella sua illusione di completa indipendenza da Dio – ogni collegamento coi principi religiosi.[60]

Il secolarismo, sviluppatosi a seguito dell’Illuminismo, con la sua visione profana e quindi antireligiosa della vita, costruisce il mondo nei termini d’una realtà chiusa in se stessa ed immanente, rifiutando nettamente il trascendente e la dimensione del sacro; tale prospettiva non può essere compatibile con l’Islam, come con nessun altra religione tradizionale (certi compromessi con la società secolarizzata pesano come macigni anche sui principi religiosi cristiani). Di conseguenza, le cosiddette efficienti democrazie contemporanee stanno cadendo in una sorta d’anarchia: vengono infatti a mancare sempre più i principi morali. La quantificazione del tempo e la percezione della sua scarsità ha portato ad un generale deterioramento delle relazioni umane. Tale senso di scarsità è nuovo, e non è paragonabile con la parsimonia economica delle civiltà tradizionali. Il mondo moderno ha raggiunto una produzione quantitativa enorme, eppure per ironia della sorte nella nostra società si avverte – con le sue necessità artificiali, coi suoi inutili e nocivi consumi indotti – un senso di scarsità mai avvertito prima. Tale squilibrio è il risultato di una deviazione dei principi spirituali di giustizia, che porta tanti individui a consumare più di quel che gli spetta. Nel medioevo gli affari economici erano controllati da paletti teologici, ed era quindi ancora viva una società sana; ma oggi tutto ciò è scomparso e tale prospettiva rischia di estendersi nel mondo islamico con disastrose conseguenze anche sul piano ambientale (si veda cosa sta accadendo nella Cina che sta vivendo una industrializzazione assai accelerata). La globalizzazione segue di conseguenza, e tende ad appiattire e ad omogeneizzare su direttive consumistiche ogni afflato religioso, ogni specifica cultura tradizionale. La modernità cerca di distruggere la forza della religione sull’anima umana mettendo in discussione le categorie del bene e del male, mentre le religioni hanno sempre insegnato all’umanità di coltivare la virtù e di evitare il male.

Nella prospettiva tradizionale, sono le responsabilità a precedere i diritti, mentre nella società moderna sembra essersi capovolto il rapporto, nel senso che il cittadino medio ha ormai dimenticato le responsabilità che ha come essere umano nei confronti di Dio, ma pretende altresì d’usufruire di tutti i diritti sociali possibili. Per ogni religione, non solo i diritti seguono i doveri, ma devono essi stessi essere condizionati da varie proibizioni, volte a garantire una protezione all’anima, idea che appare assurda a chi non ha fede. Alcuni Occidentali potrebbero affermare che le donne musulmane dispongono di ben pochi diritti, ma queste ultime potrebbero rispondere che sono i bambini occidentali ad essere privi di molti diritti: ad esempio il diritto di avere vicino una madre, soprattutto nei primi anni di vita (sana abitudine tradizionale che nel sistema economico occidentale è divenuta ormai una vera rarità).[61] Un altro diritto fondamentale per un bambino è quello di avere due genitori,[62] e anche questa opzione nell’opulenta ma egoistica società dei divorzi e delle provvisorie convivenze, comincia a scarseggiare. Queste abitudini, ormai diffuse in Occidente mostrano dunque un’assenza di responsabilità, d’amore, d’umiltà, che si trasformano necessariamente in forme di privazioni di diritti: del bambino, del partner, del prossimo.

Il problema maggiore sembra essere quello di coniugare i propri diritti ad un’idea di libertà, che per il nostro mondo occidentale significa libertà dell’ego, quando tutte le religioni tradizionali invitano invece alla libertà dall’ego, dalle proprie passioni, dalla propria sfrenata individualità. Finché ciò non sarà chiaro, risulterà davvero difficile accettare le religioni che, con i propri insegnamenti morali, suggeriscono a rinunciare a tante libertà perché sanno che solo così si giunge alla Libertà in Dio, che si realizza appunto nel fare la Sua Volontà:[63] questa è la Libertà della religione, ma l’uomo contemporaneo sembra preferire la libertà dalla religione. Per un vero Cristiano o Musulmano, l’amare Dio ed obbedire ai suoi comandamenti non è considerata una perdita di libertà, anzi proprio il contrario, e da questo punto di vista molti sedicenti cristiani dovrebbero guardare al mondo musulmano come ad un modello di fede e di consapevolezza delle responsabilità dell’uomo di fronte all’Eterno. A ciò deve necessariamente fare seguito il rispetto dei diritti umani (ed in questa seconda istanza sono le odierne società musulmane che possono imparare qualcosa dall’Occidente); ma tra le due necessità la prima è propedeutica alla seconda.

La verità è che le cosiddette civiltà, sia in Occidente che in Oriente, sono in uno stato di notevole decadenza, e non hanno più il coraggio di mettersi in discussione, e di porsi interrogativi su ciò che non è andato per il verso giusto, anzi, spinte da pulsioni nazionalistiche ed espansionistiche si sono completamente allontanate dai principi che le avevano caratterizzate. I destini del mondo cristiano e di quello islamico sono dunque intrecciati: la globalizzazione col suo sistema di valore, basato sui beni di consumo, rischia di obnubilare il vero valore spirituale che le religioni ancora propongono.

Il problema è che recentemente le pressioni secolarizzanti si sono fatte sentire in maniera prepotente anche nel mondo islamico, ed è proprio in quest’epoca che si sono sviluppate le interpretazioni più ottuse dei testi sacri, che hanno aperto la strada al moderno fondamentalismo di cui parlavamo ad inizio capitolo. È indubbio che è l’ignoranza – tra i Mussulmani, come anche tra i Cristiani – ad essere il male maggiore da combattere: è questa la guerra da intraprendere a fianco all’Islam, una guerra che non porterà morte e distruzione, ma servirà a favorire conoscenza e comprensione, e quindi la pace. Purtroppo quelle forme di fondamentalismo si avvertono anche nel mondo ebraico e in quello cristiano, anche se talvolta sono meno pubblicizzate.[64] Gli influssi deleteri del mondo laicista sono riusciti ad introdurre proprio all’interno della religioni, elementi disgreganti che tendono a sviare e a deformare l’essenza dei contenuti e delle finalità originali. In questo gioco perverso non si deve assolutamente cadere: le comunità cristiane e mussulmane – come anche quella ebraica – devono compiere parallelamente uno sforzo notevole per non cedere alla facile tentazione di lanciarsi in uno scontro che non potrà che rivelarsi catastrofico.[65] Il sottile invito a tale scontro di religioni che si avverte ai nostri giorni, deve offrire, di contro, l’occasione per gli autentici rappresentanti di tali fedi, a stringersi insieme contro un perverso sistema politico, sociale, ed economico, non certo usando la violenza, ch’è contraria a qualsiasi credo tradizionale, ma dando prova di saper dialogare, di riconoscersi come fratelli, seguendo con amore le indicazioni etiche delle proprie religioni che conducono all’equilibrio e alla saggezza, persino alla santità. Ma l’atteggiamento nei confronti del sistema sociale non deve cedere a compromessi, deve essere capace di discriminare tra i tanti consumi che ci vengono propinati sistematicamente, e decidere di rifiutarne e boicottarne alcuni (non ultimi quelli legati al banale mondo dello spettacolo o dell’‘informazione’ propinati dai mass media), in modo tale da dar filo da torcere a quei poteri che sopravvivono grazie al quotidiano consenso – il più delle volte inconscio – dello spettatore, e che credono di dominare il mondo, ma in realtà lo stanno rapidamente portando verso la distruzione.

La tendenza ad uniformare tutti gli uomini in un globale sistema di consumismo indotto sottende a un sottile disegno: agli esseri umani, creati nella loro complementare diversità – ma nella sostanziale uguaglianza della scintilla divina presente in tutti – ecco che viene contrapposta in maniera massificata la possibilità di uniformarsi in un’unica ‘cultura’, un’unica ‘lingua’, un unico sistema politico, un’unica moneta, persino un’unica ‘religione’ (o meglio pseudo-religione dai connotati sincretistici, in stile New Age), quando di contro la nostra individualità sfrenata, il nostro orgoglioso io, viene continuamente alimentato da fantasie psichiche tali da allontanarci sempre più dal nostro Principio unificatore. Quindi più uniti, ovvero somiglianti, fuori, più divisi dentro; questo è l’inquietante disegno che si prospetta, che peraltro manifesta la sua chiara natura diabolica (ovvero separativa, dal greco δια-βαλλω). È dovere comune, credenti e non, di rifiutare questa tragica prospettiva, è chiaro infatti che se continuiamo nella direzione che ci viene additata dal sistema socio-economico odierno, andremo verso un irrevocabile collasso dell’ecosistema e dell’umanità, che nell’illusione di una pacifica unione secolare (ovvero mondana), giungerà al confine estremo della disunione col Principio, quel punto massimo di allontanamento dalla Luce che non potrà che tradursi nella fine de tempi.

La contrapposizione di Cristiani e Musulmani è cosa davvero assurda, infatti essi si vengono a trovare oggi più che mai dalla stessa parte della barricata; rappresentano infatti il comune dissenso alla società secolarizzata, consumistica ed edonistica, dell’epoca contemporanea, sono entrambe un freno nel cammino del cosiddetto ‘progresso’,[66] sono un serio problema per lo stato laicista che tende ad ‘educare’ il cittadino a scelte sempre più ‘libere’ (ovvero prive di riferimenti ad una coscienza religiosa),[67] sono un imbarazzante intralcio per le ambizioni sfrenate della scienza, che vuole sostituirsi a Dio, nell’illusione di realizzare una utopistica (o meglio antiutopistica) società del benessere artificiale.[68]

Il modo occidentale, pieno di dubbi, e ormai consapevole delle contraddizioni di ciò che fino a pochi decenni fa considerava il proprio modello di vita, si trova ormai dinnanzi ad un vicolo cieco;[69] e il mondo islamico – se non finirà a sua volta nell’ingranaggio della secolarizzazione moderna (e da questo punto di vista il fallimentare esempio del nostro sistema sarà da monito a quei Musulmani che lo vogliono emulare) – può ancora offrire un modello d’attaccamento alla Fede tale da stimolare gli Occidentali a recuperare il senso delle proprie radici cristiane.[70]

 

*

 

In Occidente non mancano forze politiche – purtroppo anche in parte del clero si nota tale atteggiamento – che agitano spesso lo spauracchio dell’islamizzazione dei nostri paesi, additando genericamente l’immigrato musulmano come potenziale terrorista, da respingere con tutti i mezzi alle frontiere. In realtà uno ‘scontro di religioni’ non esiste: è una frase inventata ad arte per creare la paura dell’altro, del diverso.[71] Scegliere lo scontro vuol dire aver già perso, come risulta evidente dal fatto che guerra e terrorismo si alimentano a vicenda e che le iniziative militari stanno ingigantendo e radicalizzando i problemi. Bisogna ricorrere alla saggezza e stabilire un dialogo pacifico per risolvere i conflitti. Oggi, più che mai, in una delicatissima situazione di politica internazionale, è necessario comprendere che la Verità di cui si sono fatte portavoce nella storia almeno le tre grandi tradizioni monoteistiche (Ebrei, Cristiani, Mussulmani) è unica, eterna e condivisibile da tutti gli esseri umani. Le religioni predicano tutti i valori etici dell’umiltà, la giustizia, la pace e la prosperità, lo scambio delle azioni benefiche, la cooperazione fra tutti i popoli in favore della benevolenza e della pietà, e non per l’offesa e l’aggressione. Dialogare significa rendere concreta la cosiddetta ‘regola aurea’, che dice di ‘non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te’. Condivisibile da chiunque è il comune riconoscimento del principio e del fine divino della vita umana, tesa all’equilibrio e alla concordia col prossimo: tutto ciò è patrimonio comune di Cristianesimo ed Islam, ma anche di coloro che, pur non aderendo ad un credo religioso, non hanno ceduto alle lusinghe con cui il mondo solletica l’ego umano.

Se c’è chi spesso parla di uno scontro inevitabile di culture e religioni, provocatoriamente il titolo di questo capitolo conclusivo auspica invece l’opposto: un inevitabile incontro. Non riuscendo a concepire un’esistenza senza Dio, senza valori religiosi, l’Islam non può che rifiutare il mondo edonistico e consumistico fondato soltanto su divertimento e profitto suggerito dalla mentalità occidentale (posizioni che ogni buon Cristiano non può che condividere). Tale via, già intrapresa con coraggio da Papa Giovanni Paolo II[72] invita le parti al dialogo, all’incontro e alla pace. Solo così il mondo occidentale cristiano potrà riuscire a superare questa cruciale situazione, solo così riuscirà ad affrontare questa titanica sfida epocale che ci pone oggi la storia. E a tal proposito, Padre Wilde (Io non ti capisco) ci suggerisce una preziosa riflessione:

 

Il mondo islamico sembra pensare, sentire e credere in modo così diverso dal mondo occidentale, non era valutabile dall’Occidente, E così si è passati all’attacco, invece di rispettare il mistero e di mettersi alla scoperta di quel mondo…. E’ impossibile imparare a conoscere l’altro e incontrarlo. Ma devo inoltrarmi fino al suo mistero, che giace nel fondo della sua persona, non in superficie… Quanto più una persona mi è estranea, tanto più ha qualcosa da dirmi, e tanto più la mia vita può mutare e arricchirsi quando l’incontro…. La tensione fra i due produce un nuovo mondo in cui ambedue vengono assunti e continuano a esistere in una forma nuova.[73]

 

Dotata anche di sfumature metafisiche, la lucida considerazione di Reza Shah-Kazemi (Paths of the Heart) svela il mistero dell’incontro con l’altro:

 

Se l’‘Io’ viene identificato in maniera quasi assoluta con l’ego, con la famiglia, con la nazione, o persino con la religione a cui si appartiene, allora all’‘altro’ – a qualsiasi livello – sarà dato un carattere altrettanto quasi assoluto. Sono proprio tali nozioni esclusiviste del ‘sé’ e dell’‘altro’ che contribuiscono alle dinamiche del sospetto e della paura, del fanatismo, e del conflitto. La metafisica […] serve a relativizzare qualsiasi grado concepibile d’identità dinnanzi all’Assoluto; in altre parole, assicura che nessuna concezione determinata, formale del sé sia assolutizzata o venga venerata, per quanto a livelli inconscio, come un idolo […]. Le limitazioni esistenziali  e le pretese psicologiche dell’ego, vengono così abbattute, e una conscia focalizzazione teocentrica sostituisce quella egocentrica, il più delle volte inconscia. […] La conoscenza dell’altro e la conoscenza di Dio sono interconnesse, e dovrebbero essere considerate complementari, tali da rinforzarsi a vicenda […]. Quindi il dialogo – un dialogo radicato sul sincero desiderio di maggior conoscenza e comprensione dell’altro e di se stesso – può essere considerato come un riflesso di quel processo con cui Dio conosce se stesso in modalità distintiva e differenziata, e come una partecipazione ad esso.”[74]

 

In effetti, il rispetto del prossimo, dell’altro, viene approfondito nella misura in cui si è consapevoli della Presenza Divina, che è all’interno e al di là di sé, come anche all’interno e al di là del prossimo. La prova di tale affermazione l’abbiamo trovata recentemente incarnata nella vita di Madre Teresa di Calcutta che ha donato la sua esistenza all’altro, nella misura in cui aveva deciso di donare la sua esistenza a Dio.

Dunque, in risposta a chi ostinatamente continuerà a temere che quella minoranza pseudo-islamica violenta possa crescere ed invadere la nostra civiltà, distruggendola, l’unico metodo di prevenzione è quello di creare urgentemente solidi legami con l’Islam autentico in nome di una conoscenza reciproca, che potrà avvenire soltanto attraverso un intenso dialogo sino a raggiungere uno stabile punto d’incontro ad un livello di comprensione più profondo, tale da penetrare quel guscio dogmatico che separa le specifiche tradizioni religiose, e ritrovarsi fratelli nella Fede e nell’Amore d’un unico Dio.[75]

 

 

 

Bibliografia

 

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[1] La disinformazione, ovvero un’informazione manipolata e distorta sull’Islam ha in Occidente una vera e propria storia, che parte dalle indecorose biografie sul Profeta scritte nel Medioevo, passa attraverso la più recente visione razionalistica che non poteva che negarne la rivelazione, sino ad arrivare alle mediatiche deformazioni odierne che celano inquietanti progetti politico-economici di chi guarda al mondo musulmano come terra di conquista, e ha quindi interesse a creare nell’opinione pubblica – al di là di un ipocrita senso di ‘democratica tolleranza’, presente purtroppo anche tra alcuni cristiani – un vero e proprio rancore, se non odio, nei confronti dell’Islam.

[2] Filone saggistico che abbiamo avuto modo di approfondire curando la collana ‘Tradizione e traduzione’ (edizioni Terre Sommerse), il cui primo titolo Gli esegeti della Tradizione risulterà propedeutico per il lettore non aduso alla prospettiva tradizionale.

[3] “Il punto di vista tradizionale considera la Rivelazione come un’irruzione dell’atemporale nel tempo, che riporta l’umanità nel pieno ambito della sua origine atemporale e quindi le riporta a mente il suo destino. La manifestazione nel tempo del Cristianesimo è quindi necessariamente anticipata da tutto ciò che la precede, pienamente contemporanea ad ogni momento del tempo, e realizzata da tutto ciò che segue” (Lord Northbourne, Religion in the modern world). Inoltre, come sottolinea Mircea Eliade (Il mito dell’eterno ritorno): “L’irreversibilità degli avvenimenti storici e del tempo viene compensata dalla limitazione della storia nel tempo […]. Nella concezione messianica la storia ha una funzione escatologica, e può essere sopportata solamente perché si sa che un bel giorno cesserà”.

[4] L’umiltà di riconoscersi polvere, ovvero terra – come peraltro evoca anche il rito cristiano quaresimale delle ceneri – viene resa eloquentemente nella sajda, ovvero la prostrazione durante la preghiera, dove il corpo del fedele musulmano è completamente a contatto con la terra. Non è casuale che tale memento sia presente anche nella radice etimologica ebraica del nome Adamo (alla lettera, ‘terra’), come nel termine latino humilia (da ‘humus’).

[5] Tale volgarizzazione non è affatto gradita ai Mussulmani che la considerano irriverente. Ciò è comprensibile in quanto il nome del Profeta nella lingua araba, lingua sacra in cui è stato trasmesso il Corano, ha un suono e quindi un significato ben differente della versione occidentalizzata che offre, al riguardo, assonanze sgradevoli.

[6] L’Islam fa distinzione tra Profeta (Nabī) e Messaggero, ovvero Inviato (Rasul). Gli Inviati fondano le religioni, i Profeti le ritemprano e profetizzano; tuttavia le due funzioni possono occasionalmente coincidere in una stessa persona, come Gesù e Muhammad, Profeti e al contempo Inviati.

[7] Non v’è alcuna innovazione nel messaggio trasmesso a Muhammad: “Non ti sarà detto altro che quel fu detto ai messaggeri che ti precedettero” (Corano XLI, 43). Peraltro il Profeta ha ricevuto tale rivelazione in stato d’estasi, e non vi ha aggiunto nulla di proprio, di qui l’assurdità della definizione coniata in occidente dell’Islam, quale religione maomettana.

[8] “La molteplicità delle razze, delle nazioni, e delle tribù implica per l’Islam rivelazioni diverse: ‘Ad ogni gente abbiamo mandato un messaggero’ (Corano X, 47)”

[9] “Ci sono messaggeri di cui ti abbiamo narrato, ed altri di cui non abbiamo fatto menzione”. Questo passo del Corano (4:164) sembrerebbe allargare la profezia anche al di fuori di Ebraismo e Cristianesimo, estendendo le Genti del Libro anche ad altri culti tradizionali orientali.

[10] Si tratta d’obblighi che trovano peraltro molte somiglianze con quelli della tradizione cristiana, anche se la comune preghiera islamica del venerdì, non ha la stessa importanza del rito domenicale della Messa cristiana.

[11] La parola ulamā’ significa coloro che sanno, che hanno conoscenza non solo in campo teologico, ma anche scientifico (ovviamente di una scienza tradizionale e non di quella progressista ed evoluzionista occidentale).

[12] Una pur buona traduzione del Corano non potrà mai rendere l’emozione, il mistero, ed il fervore che scaturisce dal suono della lingua originale. Tuttavia, mentre i Musulmani ortodossi sostengono che la preghiera rituale debba necessariamente essere compiuta in arabo, alcuni ulama ritengono che in certe occasioni, chi non conosce la lingua originale, può leggere il Corano in traduzione.

[13] Esiste una secolare scienza degli hadith, con studi interpretativi approfonditi imprescindibili.

[14] Nulla a che vedere con l’elitarismo snobista moderno. Si tratta invece di una minoranza d’individui – necessariamente pieni d’amore e compassione per il prossimo – che attraverso un sincero ed autentico percorso religioso hanno ricevuto la grazia di comprendere le dottrine metafisiche tradizionali, realizzandone le finalità. Tuttavia, “il misticismo tende ad oltrepassare i confini che proteggono la fede che è caratteristica al credente. Nel fare ciò s’inoltra in una regione sconfinata che, se benefica e complementare per alcuni, può risultare pericolosa per altri non qualificati a certi insegnamenti” (Huston Smith, The world’s religions).

[15] La libera volontà dell’essere umano di potersi ribellare contro la propria natura primordiale (fatta ad ‘Immagine di Dio’, come affermano i Cristiani, ovvero nella ‘Sua Forma’, come affermano i Mussulmani), e diventare attivo contro il Cielo e passivo verso la propria natura inferiore passionale è una possibilità che anche la tradizione cristiana conosce bene. La funzione delle religioni è sempre stata quella di mettere l’uomo in guardia su tale possibilità, e oggi tali comuni moniti non possono che  rafforzarsi a vicenda.

[16] Le parole di Gesù Cristo affermano tale Unità: “Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio” (Luca: 18, 19). Si potrebbe addirittura ipotizzare che il dogma della Trinità, col suo mistero, possa avere anche una funzione simile al koan orientale, ovvero un ‘rompicapo’ che costringe la mente raziocinante alla resa, in modo così d’aprire il cuore alla Grazia divina.

[17] “Alle ragioni teologiche si aggiungono ragioni linguistiche, non trascurabili per la lingua araba, che rendono molto difficile la traduzione di concetti e idee della rivelazione cristiana…. La parola ‘figlio’ (ualad, più ancora che ibn) in arabo ha una risonanza carnale molto netta e per nulla adatta ad una interpretazione metaforica, spirituale o addirittura ipostatica” (Giulio Basseti Sani, Musulmano e Cristiano).

[18] Secondo il Corano, assieme all’anima d’Adamo, è soltanto quella di Gesù ad essere stata generata direttamente da Dio (‘Generato, non creato’ recita anche la preghiera del Credo cristiano). Anche se i Musulmani non riconoscono Gesù come figlio di Dio, non meriterebbe già quel particolare atto generativo il titolo di Figlio prediletto (ovvero di Nuovo Adamo)?

[19] Ad Efeso, il 60% dei pellegrini presso la casa di Maria è di fede islamica.

[20] Secondo la cultura popolare islamica, Cristo sarebbe stato assunto in cielo, mentre la sua crocifissione e la sua morte non sarebbero state altro che frutto di un’illusione generale. Martin Lings (A return to the Spirit), citando il Corano, tenta di sciogliere questo delicato nodo: “E’ un dato di fatto che la maggior parte dei Mussulmani siano convinti che Cristo non fu crocifisso, mentre i Cristiani considerano la Crocifissione come pietra miliare della loro religione. Il rifiuto mussulmano della Crocifissione è basato su un’affermazione coranica isolata dal suo contesto, ma ogni Inviato ha due nature, una trascendente ed una umana. Nel Cristianesimo non è mai messo in discussione che la Natura Divina di Cristo possa essere stata crocifissa; il Corano (II, 154) nega tale possibilità (‘E non dite che sono morti coloro che sono stati uccisi sulla via di Allah, ché invece sono vivi e non ve ne accorgete’), ed aggiunge poi quelle che sono, nel nostro contesto, le parole fondamentali: ma così apparve a loro d’aver fatto….  perché sulla Croce, dinnanzi a loro, essi avevano visto il corpo morto della natura umana di Cristo”.

[21] Quando nel 1995 il musulmano Yasser Arafat partecipò accanto alla moglie cristiana alla messa di Natale a Betlemme, gli integralisti lo criticarono, ma il Mufti (massima autorità giuridica islamica) dei palestinesi, lo Sceicco Al Alami, dichiarò che ai Musulmani è lecito essere presenti alla messa di Natale.

[22] Molti Cristiani sono rimasti stupefatti nel venire a sapere che al terrorista kamikaze-‘martire’ che rinuncia alla vita, viene garantito nell’aldilà di accedere al paradiso (questo assunto è naturalmente il frutto di una libera interpretazione d’alcune ‘guide spirituali’ dell’integralismo islamico); eppure di fronte al tragico episodio dei Carabinieri caduti vittime nell’attentato dinamitardo a Nassirja (2006), c’è chi ha definito martiri quei caduti, senza sapere che martire è colui che muore nel nome e per causa di Gesù Cristo, e non un militare che cade – pur se in missione di pace – in una zona di guerra. Onore militare a quelle vittime, ma parlando di martirio – che sappiamo conduce al paradiso l’essere umano che vi si sottopone consapevolmente – si rischia di porsi su di un piano confuso, simile a quello integralista (anche se permane la differenza sostanziale tra chi fa anche da carnefice e chi è solo vittima). Comunque ciò non toglie che tra quelle vittime dei Carabinieri non possa davvero esserci stato qualche martire, ovvero qualche uomo di fede che vedeva in quella missione un’occasione di sincera espressione cristiana d’amore e di pace, e che forse, chissà, quella mattina, prima dell’esplosione, invece di dormire era a vegliare in preghiera (ma questo, solo Iddio lo sa).

[23] Nella presenza femminile di Beatrice, come guida in Paradiso, Dante ha voluto forse alludere in un certo qual modo a tale sfera.

[24] Il matrimonio è per l’Islam l’unico ambito in cui è concessa l’unione sessuale, di qui la possibilità della poligamia, evitando quindi ogni sorta di promiscuità – come invece avviene spesso nella società occidentale, dove il tradimento del partner, anche all’interno del matrimonio, è assai diffuso. E’ necessario però che l’uomo sia in grado d’essere equo con le mogli: il che è quasi impossibile. Quindi il Corano indica la via della monogamia matrimoniale come la più adatta, e se il divorzio viene concesso in casi eccezionali, non risulta gradito ad Allah.

[25] La monogamia cristiana riflette invece il matrimonio dell’unica Chiesa – l’anima – a Cristo.

[26] Valore che anche la tradizione cristiana le riserba – come ha saputo ben evidenziare Philip Sherrard nello specifico studio Cristianesimo ed Eros – anche se il più delle volte, gran parte dell’esegesi sull’argomento è stata nei secoli assai contraddittoria.

[27] Anche il saluto islamico al-salāmu ‘alaykum, trova corrispondenze notevoli al cristiano ‘la pace sia con te’, (o al motto monastico ‘pace e bene’), e la formula di chiusura della preghiera amin, è pressoché identico all’‘amen’ cristiano.

[28] “Il fatto che l’Islam venga cronologicamente dopo il Cristianesimo, il che per i Musulmani dimostrerebbe il suo legittimo sostituirsi ad esso, deve essere valutato alla luce del momento storico in cui ha avuto origine. Qui non è il tempo, ma il luogo che va preso in considerazione” (Giulio Basetti Sani, Musulmano e Cristiano).

[29] Tuttavia il ‘Grande Consolatore’ (paraclitos) annunciato nei Vangeli, ovvero lo Spirito Santo dei Cristiani, viene letto nell’esegesi teologica mussulmana come ‘Il degno di lode’ (periclitos) riferito alla venuta del Profeta Muhammad.

[30] Quei moniti dovrebbero rivolgersi ormai altrove, visto che la religione islamica ha saputo dare testimonianza di santità e saggezza. “Da oltre tredici secoli, Cristiani e Musulmani vivono fianco a fianco in Medio Oriente ed hanno avuto ampie opportunità di vedere che ‘l’altra religione’ è a tutti gli effetti autentica come la propria” (Martin Lings, A return to the Spirit).

[31] “Le tradizioni sacre parlano dell’obbligo di accogliere l’estraneo e di rendersi conto che, sebbene sia sconosciuto all’ospitante, egli è perfettamente conosciuto da Dio. È quindi dovere di colui che si trova nel proprio spazio e nella propria lingua fare di tutto perché il nuovo arrivato sia messo nelle condizioni di conoscere i costumi dell’ospitante e la propria alterità, e quindi ricevere dall’ospite tutto ciò che gli offre, nella misura in cui non vi sia alcuna azione di forza. L’estraneo è dunque ospite dinnanzi a Dio, proprio come l’ospitante, ma l’impotenza rispetto all’ospitante gli dà diritto di ricevere tale accoglienza: l’ospitante ha un debito nei suoi confronti, non inferiore alla testimonianza dell’onnipresenza del Volto di Dio” (Rusmir Mahmutćehajić & others, The essential Sophia).

[32] Da questo punto di vista risulta assai prezioso lo studio di Martin Lings Simbolo e Archetipo.

[33] Il termine ecumenico deriva dal greco oikouméné, che significa ‘terra abitata’ e, più in generale, la parte abitabile della superficie terrestre, e allude all’umanità intera e alla sua comune fratellanza.http://it.wikipedia.org/wiki/Ecumene

[34] Se infatti consideriamo l’allegoria solare scelta, sicuramente ispirata, non possiamo che essere consapevoli che ogni raggio del sole ha eguale valore, provenendo dalla medesima fonte.

[35] Apparirebbe davvero strano che la provvidenza dello Spirito Santo possa aver ispirato soltanto un flebile messaggio di questo tipo; la portata profonda e rivoluzionaria (nella sua accezione etimologica di ‘ritorno al principio’) della dimensione ecumenica dev’essere ancora realizzata, e spetta a noi laici assieme al clero affrontare questo delicato discorso con massima serietà d’intenti ma anche con coraggio: non serve a nulla risolvere l’argomento con un paio di comodi slogan. Naturalmente ciò non ha niente a che fare con qualsiasi sconsiderato invito al sincretismo – di queste pseudo-vie dello spirito è già pieno il mondo – ma si tratta qui di un approccio ben differente, tale da offrire a  chi lo riesce a comprendere, un supporto intellettivo alla propria via devozionale.

[36] Ci siamo chiesti più di una volta come sarebbero andate a finire certe recenti questioni di politica estera, se non ci fossero state a disposizione dell’autorità ecclesiastica queste direttive pastorali, quantomeno utili a smussare gli angoli delle contese, ma soprattutto essenziali per evitare una pericolosa contrapposizione tra Occidente cristiano e Medio Oriente islamico.

[37] Martin Lings (Un santo sufi del XX secolo) ci riferisce che, in maniera velata, tale idea è stata espressa da Papa Pio XI°, che parlando confidenzialmente al cardinale appena nominato Delegato Apostolico in un paese di fede islamica, disse: “Non pensare che stai andando fra gli infedeli. I Mussulmani giungono anch’essi alla Salvezza. Le vie della Provvidenza sono infinite.”

[38] La diversità delle religioni andrebbe accettata ed apprezzata per l’implicita ricca complementarità di più tradizioni, tutte indispensabili nella perfezione del disegno divino.

 

[39] “Se affermo di essere cattolico solamente col negare tutto ciò che è mussulmano, ebreo, protestante, indù, buddista etc., alla fine troverò che non mi è rimasto molto da affermare per dimostrare che sono cattolico; certamente non avrò il soffio dello Spirito con cui affermarlo… È nella nostra storia che Dio è entrato, rivelandosi come uomo, ed è a noi che fu affidato il compito di portare la sua rivelazione alle altre culture…. e se questo compito richiedeva l’umile, attento e preciso riconoscimento del modo in cui le altre tradizioni erano già aperte alla possibilità di Dio nell’Uomo, la missione occidentale verso il resto del mondo è stata un grosso fallimento” (Thomas Merton, Diario di un testimone colpevole). Nella storia dell’attività missionaria cristiana sono infatti emersi, per il mondo islamico, motivi di diffidenza, avendo visto tale opera spesso connessa al colonialismo ed alla conseguente opera di secolarizzazione sul ‘modello’ occidentale.

[40] Addirittura, vi sono infinite e provvidenziali sfumature nell’approccio d’ogni singolo individuo, all’interno di una specifica tradizione religiosa. I Sufi (la cosiddetta elite mistica della tradizione islamica) affermano che i sentieri che portano a Dio sono tanti quanti i figli d’Adamo.

[41] Oggettivamente Dio è unico per tutte le religioni, ma soggettivamente, per ciascuna religione, la divinità può apparire differente.

[42] I vari idiomi, come le religioni, aderiscono a realtà geografiche, storiche e culturali diverse, nonché a quelle psicofisiche delle popolazioni in questione.

[43] Nell’Islam, nonostante non vi siano ordini monastici, c’è profondo rispetto dei santi cristiani delle chiese e dei monasteri e ciò proviene direttamente dagli hadith del Profeta Muhammad. E pensate, la più antica comunità monastica cristiana esistente, quella di Santa Caterina sul monte Sinai, contiene una moschea nel suo perimetro, costruita dai monaci per i beduini locali, quale più splendido esempio pratico d’ecumenismo?

[44] Anche Henry Corbin (a differenza di molti altri orientalisti) dimostra, dai suoi scritti, di averne colto l’essenza profonda.

[45] Coloro che sono affiliati al tasawwuf (Sufismo), e praticano la Via, vengono chiamati fuqarâ, plurale di faqir, di qui l’italiano ‘fachiro’, che però ne stravolge il senso reale. Lo stesso tipo d’imprecisione lessicale della traduzione – dovuta ad un retaggio di una conoscenza alquanto sommaria del mondo islamico – si verifica peraltro per i termini ‘califfo’ (da khalifa, luogotenente del Profeta) o ‘sceicco’ (da shaikh, letteralmente anziano, ma assai utilizzata nella sua accezione di maestro spirituale).

[46] Giulio Basetti Sani (Cristofania dell’Averna) ha peraltro messo in relazione l’evento delle stigmate di San Francesco presso la Verna, con l’esperienza che ebbe nel mondo musulmano. La particolare lettura di quell’episodio da parte dell’autore francescano, pur essendo fortemente cristocentrica, non si pone in contrasto con la fede dell’Islam, ma invita il Musulmano ad una verifica escatologica, che potrà rendersi palese con la Parusia, ovvero col ritorno del comune Messia.

[47] Nell’esicasmo viene ripetuta incessantemente la formula: “Signore Gesù Cristo! Abbi pietà di me!”: Si tratta della cosiddetta preghiera del cuore, che tende ad entrare ed a stabilizzarsi nel cuore dell’orante in maniera permanente, proprio come nella ripetizione dei nomi di Allah nel dhikr.

[48] L’etimologia del termine Saraceno deriva da Sara (moglie d’Abramo e madre d’Isacco) e kenos (privazione, svuotamento), che allude al fatto che la discendenza musulmana non deriva Sara ma da Agar (concubina d’Abramo e madre d’Ismaele), di qui anche la definizione dei Musulmani come agareni.

[49] “Oh uomini! Vi abbiamo creati maschi e femmine, e abbiamo costituito nazioni e tribù, così che possiate conoscervi” (Corano, XLIX: 13). La differenziazione, all’interno dell’umanità, riguardo a genere, razza e religione, ha dunque essenzialmente una funzione cognitiva.

[50] Di per sé risulta più iconoclasta l’ebraismo, che priva il testo scritto della Bibbia delle vocali, considerate lettere sacre.

[51] Si tratta dell’unico esplicito riferimento alla realtà dell’Islam, riscontabile nel corpus letterario shakespeariano.

[52] Un rispetto che non è l’ipocrisia della ‘democratica tolleranza’ (tipico atteggiamento moderno che l’epoca del XVI° secolo non aveva ancora conosciuto), ma profonda consapevolezza della molteplicità delle vie che possono condurre a Dio.

[53]  “Non dialogate se non nella maniera migliore con la gente della Scrittura, eccetto quelli di loro che sono ingiusti. Dite loro: ‘Crediamo in quello che è stato fatto scendere su di noi, e in quello che è stato fatto scendere su di voi, il nostro Dio e il vostro sono lo stesso Dio ed è a Lui che ci sottomettiamo’” Corano (XXIX, 46).

 

[54] ‘Non crediate che sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma una spada’ (Matteo 10, 34).

[55] Si legga la citazione evangelica della precedente nota del presente capitolo, dove peraltro il simbolismo della spada e quello della croce tendono a coincidere anche esteriormente.

[56] Il termine arabo kafir tradotto con ‘infedele’ in realtà allude etimologicamente a colui che manca di riconoscenza (ovviamente nei confronti di Dio).

[57] Solo da ciò si evince come l’atto terroristico contro il World Trade Center, che ha portato alla morte in maniera indiscriminata centinaia di individui, non possa avere nulla a che fare con la vera jihad (infatti fu subito condannato dalla massima autorità religiosa sunnita); lo stesso vale per l’attentato alle truppe italiane di Nassirja in missione di pace (in quest’ultimo contesto forse non è stato facile per molti iracheni vedere dei promotori di pace in truppe armate straniere che presidiano un particolare territorio).

[58] È stato il movimento modernista, di tipo puritano, Salafiyysh-Wahhbi, a fornire le basi ideologiche al terrorismo integralista.

[59] Pier Paolo Pasolini, nauseato da tale aspetto della società moderna occidentale, viaggiava spesso nei paesi islamici, attratto da quello spirito tradizionale che in Italia vedeva ormai scomparire.

[60] D’altronde, viviamo in una società e in un’epoca dove il contentarsi, o rassegnarsi alla volontà di Dio, significa mancare d’iniziativa; dove fermezza di fede, timore di Dio e pietà, vengono considerati forme di debolezza o bizzarrie; dove l’indifferenza riguardo all’aspetto fisico e il sottrarsi da un sistematico presenzialismo, sono intesi come trascuratezza e misantropia.

[61] Nella società islamica l’educazione dei figli è tenuta in grande considerazione ed è assegnata alla donna che di buon grado vi si dedica, evitando così di cedere alle lusinghe delle attività lavorative moderne, mantenendo di contro le caratteristiche di quella femminilità, indispensabile perché il rapporto con l’uomo possa risultare perfettamente complementare.

[62] Sarebbe oggi il caso di aggiungere: due genitori ‘di sesso differente’, viste le proposte legislative che vorrebbero affidare l’adozione di bambini anche a coppie omosessuali.

[63] Ogni musulmano non potrebbe che sottoscrivere le parole di Gesù Cristo che fanno parte della preghiera cristiana del Padre Nostro: “Sia fatta la Tua Volontà come in Cielo così in terra”.

[64] Oltre ai noti episodi storici di conversione forzata all’Islam da parte di gruppi di potere del mondo mediorientale, dobbiamo registrare anche inquietanti esempi di conversione forzata al cattolicesimo. Ad esempio, nel 1941 in Croazia, Pàvelic – dittatore fanatico cattolico – impose la pena di morte su coloro che rifiutavano le sue direttive di sposare la fede cattolica; e nonostante che il vescovo A. V. Stepinac si oppose fermamente a ciò, la carneficina non fu evitata.

[65] In tale contesto gli eccessi nazionalistici del movimento sionista, nonché gli integralisti evangelici di radici anglo-americane che lo appoggiano per propri tornaconti ‘escatologici’, sono i ‘frutti’ di una stessa inquietante matrice diabolica che mira al caos, e che secondo le sacre scritture delle tre tradizioni monoteiste in questione, non potrà che condurre alla fine di questo mondo.

[66] Quel che oggi viene considerato ‘progresso’ è nella sua natura essenziale desiderio di denaro e di posizione sociale all’interno di una società secolarizzata, e ciò porta alla distruzione di ogni genuina etica umana.

[67] La maggior parte dei Cristiani sono rimasti dispiaciuti quando nella recente costituzione della Comunità Economica Europea non è stato inserito alcun riferimento alla nostra tradizione religiosa; tuttavia ci viene oggi da pensare che tale omissione potrà addirittura rivelarsi provvidenziale, nel momento in cui le scelte politiche dovessero imporre – a suon di direttive comunitarie – una completa laicizzazione: almeno sarà chiara la posizione del Cristiano autentico in tale frangente, e sarà anche più facile per il Musulmano sentirsi con lui solidale.

[68] Il famoso romanzo Il mondo nuovo dello scrittore inglese del XX secolo Aldous Huxley ne descrive, in modo assai lungimirante, i paradossali, tragici sviluppi. L’utopia è ben altra cosa: ad esempio l’interessantissima proposta di Waleed El-Ansary, di depoliticizzare Gerusalemme e trasformarla in entità spiritualmente sovrana, sotto il comune controllo teocratico dei rappresentanti spirituali delle tre tradizioni monoteistiche. Purtroppo il destino di Gerusalemme – e su questo le Sacre Scritture hanno lasciato molti indizi – sembra essere di natura ben diversa.

[69] “Ci troviamo a vivere proprio nel momento preciso in cui l’ottimismo eccessivo del mondo materialista è precipitato nella rovina spirituale, in una società di gente che ha scoperto la sua nullità, là dove se lo sarebbe meno aspettato: nel bel mezzo della potenza e del successo della tecnica. Ne risulta un’ambivalenza angosciosa, in cui ognuno si trova costretto a riversare sul suo prossimo un fardello di odio di sé, troppo pesante perché la sua anima lo sopporti da sola” (Thomas Merton, Diario di un testimone colpevole).

[70] Tomaso Campanella nel suo Theologicorum (scritto nelle prigioni pontificie nel XVI° secolo) prevedeva che l’Islam avrebbe portato in futuro un aiuto al Cristianesimo, che già da allora mostrava in alcune cattive abitudini (non certo nella sua essenza immutabile), segni di sviamento. Che sia vicino il contesto storico presagito da Campanella?

[71] “Quando un estraneo attraversa un confine per entrare nello spazio di un altro, entrambi – ospitante e ed estraneo – si trovano dinnanzi a ciò ch’è sconosciuto[…]. L’ignoranza d’entrambe le parti provoca paura, che viene troppo spesso risolta in sottomissione, persecuzione o annientamento dell’estraneo […]. Ogni potere che non sia quello dell’Assoluto può essere giustificato soltanto dalla paura dell’altro. Più grande è la volontà di potere, più profonda sarà la paura dell’altro” (Rusmir Mahmutćehajić, The essential Sophia).

[72] Giovanni Paolo II, a Casablanca (19/09/’85), rivolto a migliaia di giovani Musulmani disse: “Cristiani e Musulmani, generalmente ci siamo malcompresi, e qualche volta in passato, ci siamo opposti e anche persi in polemiche e in guerre. Io credo che Dio c’inviti oggi, a cambiare le nostre vecchie abitudini. Dobbiamo rispettarci e anche stimolarci gli uni gli altri nelle opere di bene sul cammino. Voi sapete, con me, quale è il prezzo dei valori spirituali. Le ideologie e gli slogan non possono soddisfarvi né risolvere i problemi della nostra vita. Solo i valori spirituali e morali possono farlo, ed essi hanno Dio per fondamento. Auspico, cari giovani, che possiate contribuire a costruire un mondo in cui Dio abbia il primo posto per aiutare e salvare l’uomo. Su questo cammino siate certi della stima e della collaborazione dei vostri fratelli e sorelle cattolici, che io rappresento tra voi questa sera”.

[73] “Ogni ‘io’ umano ha bisogno di un ‘te’ per far sì che Colui del Quale entrambi siamo immagine possa essere attestato, e per dare la possibilità che il sé riesca a riconoscersi, visto che potrà vedersi soltanto nell’altro […]. Soltanto nel riconoscimento dell’altro è possibile l’umiltà del sé dinnanzi all’Altro, infatti ogni altro è l’immagine e il segno dell’Altro. Tuttavia, nella prospettiva del mondo moderno, basata sulla nozione dell’autonomia del sé, tale concetto di alterità viene ignorato o addirittura negato” (Rusmir Mahmutćehajić, The essential Sophia). Impossibile a tal proposito non ricordare il passo evangelico (Matteo 26, 40): “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

[74] “Ero un tesoro nascosto ed amavo essere conosciuto, quindi ho creato il mondo” (hadīth del Profeta).

[75] In fondo, tutti coloro che credono in Dio appartengono alla stessa comunità di fede, fanno parte della stessa Umma.