Morte, la fine di tutto?

Il presente articolo vuol essere una riflessione aperta sulla morte, visto che fin da piccoli si viene cresciuti con il timore e la riverenza di questo argomento, in contrapposizione a quello che, crescendo, è il business dei funerali e l’atteggiamento pseudo-scientifico o laicizzato che molti adulti sviluppano.

Si pensi in particolare al fatto che, fin dagli albori del genere umano, ci sia sempre stato un notevole riguardo nei confronti della morte, poiché i nostri antenati sapevano bene qual era l’importanza della morte tanto da venerarla e sollevarla a divinità.

Ma oggigiorno, effettivamente, come vediamo la morte?

Trascurando quello che potrebbe essere l’approccio di comparazione tra il pensiero religioso e laico, che potrebbe portare anche a un’analisi filosofica, l’idea è di provare a spostare il punto di vista in maniera più esterna e senza influenze di natura personale o regionale.

Questi aspetti main stream, ovvero il punto di vista religioso piuttosto che laico, sono quelli che gli individui ricevono per via del loro ambiente; infatti, fin da piccoli si riceve un imprinting su come vedere la morte e come approcciarsi a essa: dalla religione alla storia, dalla filosofia alla consuetudine, dalla scuola alla famiglia.

Naturalmente, bisogna considerare che agli aspetti metafisici si affianca quello ateistico e materialista, velato da approccio “scientifico”, in cui si relega la morte a fine delle funzioni biologiche seguite dalla decomposizione.

Paradossalmente, quest’ultimo approccio è, come si vedrà, semplicemente un punto di partenza a cui manca il poi. Infatti, è imprescindibile slegare la morte, per come si riesce a percepirla, da quelle che sono le funzioni vitali. Questo aspetto, banalmente, è esso stesso la definizione di morte. Prendendo un qualsiasi vocabolario, infatti, si legge:<<La cessazione delle funzioni vitali nell’uomo, negli animali e in ogni altro organismo vivente o elemento costitutivo di esso[i]>>. Sia un primitivo che un uomo moderno, davanti a un corpo inerme privo di reazioni vitali (battito del cuore e respiro) capisce di trovarsi davanti a una salma.

Il punto iniziale, dunque, è dato dal fatto che, in qualsiasi punto la si veda, la morte rappresenta uno stato finale, il termine della vita; ma questo non necessariamente significa conclusione dell’esistenza.

Facendo un passo avanti e fermandosi a meditare più a fondo, si può vedere che la morte ha un profondo significato simbolico che è stato tramandato dai tempi più remoti, che parte proprio dal concetto materiale di cessazione. La morte, infatti, è uno stato transitorio che porta da una condizione a un’altra, non necessariamente va slegata dal concetto di nascita: il frutto maturo cade sul terreno e muore, la sua decomposizione diventerà nutrimento per il seme che porterà alla nascita di una nuova pianta.

La morte diventa quindi uno stato di passaggio da una condizione di esistenza a una successiva. Se la si vuole vedere in termini non religiosi e scientifici, si può pensare al principio di conservazione della massa: nulla si crea e nulla si distrugge. Ampliando questo pensiero e applicandolo all’essere umano, ci si dovrebbe interrogare su cosa accade dopo la morte.

Anzitutto, è bene pensare al fatto che l’essere umano non è fatto di solo di corpo, questo si potrebbe esprimere prendendo in prestito l’aforisma della scuola Gestalt: <<il tutto è più della somma delle parti>>. Considerando concetti religiosi come Anima e Spirito, con le relative varianti culturali, ci si trova a dare un altro peso alla vita, poiché essa diventa l’esistenza nata da più componenti a costituire l’individuo. Ne deriva che, se alla morte il corpo fisico cessa di esistere, cosa accade alle componenti incorporee?

Questo porta a definire una sorta di incrocio da cui dipartono diverse strade, anche se tutte in modo più o meno differente convergono: lo spirito attende la fine dei tempi per essere indirizzato verso il Paradiso o gli Inferi (approccio cristiano); lo spirito, slegato dal corpo e dalle sensazioni terrene, viene reindirizzato a un nuovo inizio sulla base delle proprie esperienze vissute; lo spirito si ricongiunge con gli altri spiriti in una dimensione separata da quella materiale o, in alternativa, parallela a essa (si pensi per esempio all’Ade/Campi Elisi del mondo classico oppure Hel/Vahlalla della cultura norrena) in cui si conduce una sorta di “prosecuzione della vita”.

Queste interpretazioni si riconducono, effettuando una forte approssimazione, a una condizione in cui le diverse esistenze identitarie fanno capo a una principale. Nel caso Cristiano, si pensi a quando, dopo l’Apocalisse, le anime meritevoli saranno ammesse in paradiso per ricongiungersi a Dio. Allo stesso modo, si può vedere come alla fine del ciclo di apprendimento, Samsara, l’Atman individuale si ricongiunge con il Brahaman.

Questi aspetti, in ogni caso, sono fortemente collegati alla religione che, in accordo alla definizione di exoterismo, trasmette insegnamenti ai fedeli e poco si presta a essere manipolata per diverse interpretazioni da quelle ammesse. Proprio a tal proposito, si può proseguire questa meditazione passando al pensiero di un importante studioso moderno, René Guénon.

Guénon, in merito alla morte, scrive: <<La morte essendo concepita come la dissoluzione del composto umano, rappresenta un riassorbimento dell’individualità nello stato del non-manifestato[ii]>>.

Questa definizione deriva dalla concezione orientale sposata dall’autore che la vita umana, come quella di tutto ciò che esiste nel mondo materiale e sensibile, si tratta di uno stato dell’essere specifico e manifestato che quindi viene limitato nel tempo e nello spazio. La vita stessa diventa un concetto illusorio, poiché viene percepita solo in base a ciò che si sente dal punto di vista sensoriale (salvo quegli individui illuminati che, attraverso le pratiche ascetiche o l’illuminazione, riescono ad avere uno stato di consapevolezza più espanso), infatti l’autore specifica: << <L’individualità umana non può dunque essere situata temporalmente in rapporto agli altri stati dell’essere, poiché essi, in genere, sono extra-temporali, e ciò anche quando si tratta soltanto di stati ugualmente appartenenti alla manifestazione formale2>.

Quindi la morte non è più la fine ultima dell’esistenza dell’individuo, quanto più la fine della sua rappresentazione materiale o, in altri termini, il completamento della sua esperienza esistenziale in quella forma: << Si deve considerare che l’idea di “morte” è essenzialmente sinonimo di cambiamento di stato, il che, come già abbiamo spiegato, corrisponde alla sua accezione più ampia2>>.

Se ci si ferma a meditare, questo tipo di concetto è ormai presente anche nella cultura occidentale. Quando si sente parlare di Karma, altro non è che un riallacciarsi a questa tipologia di interpretazione della vita. L’esistenza umana è data da un insieme di esperienze che predispongono l’individuo (naturalmente ragionando in senso spirituale ed esistenziale, quindi riferendoci all’Atman) a maturare una certa quantità di insegnamenti dovuti alle azioni compiute, siano esse positive o negative, che porteranno a definire quali saranno le condizioni del suo prossimo stato di esistenza.

La morte acquisisce, quindi, una forma che metaforicamente si può associare a quella di “esame finale” dopo il quale l’individuo prosegue con il percorrere una nuova strada o, in caso fosse “bocciato”, a ripetere l’esistenza nel mondo materiale come essere umano.

Si può avere un’altra interpretazione derivata dall’alchimia, la morte si può immaginare come il primo stadio, quello Nero, in cui si ha la degradazione della materia. Questo porta, tramite le successive fasi, all’ottenimento di una nuova materia. Si vede come, applicando quest’altro approccio, la concezione sia pressoché convergente: la morte è uno stato transitorio tra due forme o esistenze. Cessando di esistere in una forma, magari abbandonando le impurità e gli aspetti non più utili, la materia (o altro) si porta a un nuovo stato di esistenza e di purezza.

Questo aspetto ciclico della vita e, quindi, di una morte che rappresenta solo uno stato intermedio (in tutto e per tutto come la nascita), porterebbe ad applicare un diverso approccio nei confronti del decesso.

Bisogna specificare, tuttavia, che rispetto a come si voglia interpretare la morte, il decesso è comunque legato al lutto, che a sua volta è un concetto relativamente a parte. Il lutto è, di fatto, l’insieme di emozioni legate alla perdita di una persona cara o altro essere vivente (anche la morte di un animale domestico, spesso, provoca nei più sensibili un senso di melanconico vuoto). Questo dipende dal fatto che, per quanto ci si possa preparare ad affrontare il lutto, l’emotività può superare il raziocinio.

A questo punto si apre un altro concetto che lega morte e lutto, ed è come questo viene affrontato nelle diverse culture attuali. Si può fare facilmente una comparazione sulle due principali reazioni che, evidentemente, prescindono da come si interpreti la morte: una è quella che è comune in Italia, ovvero piangere il defunto con funzione religiosa e conseguente corteo funebre, vivere la dipartita con estrema tristezza; la seconda reazione è quella di svolgere la funzione religiosa e dalla sepoltura del defunto (sia essa tumulazione o cremazione), a cui segue ma celebrandone il decesso, mantenendo sempre il contegno per il lutto, con ricevimenti e con riflessioni sulla sua vita.

Questo porta a una rivalutazione della morte attribuendole una sorta di business. Si hanno, allora, professionisti della morte che, procedendo in maniera pragmatica e materiale, si occupano delle diverse incombenze legate alla salma. Si viene così portati a perdere di vista il significato della morte stessa, venendo investiti dalla materializzazione dell’evento.

In conclusione, si vede come la morte sia, abbandonando il preconcetto di “fine ultima”, lo stato intermedio che porta a una successiva esistenza. In questo il simbolismo ci aiuta, si pensi al serpente che si divora, l’uroboro:<<Come il serpente costantemente si rinnova, così il ciclo della vita si ripete infinite volte[iii]>>.

Mattia Pisu



[i]http://www.treccani.it/vocabolario/morte/ (ultima volta visitato il 4 maggio 2020)

[ii]René Guénon, L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, Adelphi edizioni.

[iii]Roberto Tresoldi, Enciclopedia dell’Esoterismo, De Vecchi editore.

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