Come il cielo stellato in terra 2

 

Il cielo stellato è, da sempre, uno spettacolo affascinante. Dinanzi ad esso qualsiasi parola è inadeguata, superflua e vana; il silenzio è, di diritto, un dovere perché, sebbene molti (e altri) spettacoli naturali abbiano la stessa capacità d’impressionare, il cielo stellato libera le più profonde riflessioni sulla Natura e sul Significato dell’esistenza umana. Leopardi ne “L’infinito” scrive: “…e questa siepe che dell’ultimo orizzonte il guardo esclude […]”; forse anch’egli sentiva il cielo come irraggiungibile….., come  Ultimo Orizzonte oltre al quale l’uomo, per sua natura, non può inoltrarsi se non col pensiero e, se ammesso, con lo Spirito?

È proprio questo lo Spirito che apre la Porta Celeste

È proprio questo lo Spirito della tauroctonia.

Ecco allora che ben si inquadrano anche le figure di  Cautes e  Cautopates (i portatori di fiaccola), che provano l’importanza degli equinozi:  Cautes, infatti, porta la fiaccola rivolta verso l’alto (a simboleggiare il momento in cui il sole si alza sull’Equatore…..l’Equinozio di Primavera), e Cautopates, invece, la fiaccola la indirizza verso il basso (a simboleggiare la discesa del sole al di sotto dell’Equatore……l’Equinozio Autunnale). A tal proposito già 300  anni a.C., il filosofo Porfirio nel saggio “Antro delle Ninfe”, commentava di come le anime scendevano dal Cielo per reincarnarsi sulla Terra e, una volta compiuto il loro ciclo vitale, ritornavano al Cielo oltrepassando la  Porta degli Dei  (le cosiddette Porte Solstiziali). Tale associazione richiama chiaramente il simbolismo della Luce….., quello della Vita; richiama chiaramente il cammino ascensionale delle anime per tramite del sacerdote (Pater), che agisce da intermediario tra Terra e Cielo, che apre la Via, che governa il viaggio verso la Realtà di Ordine Superiore.

La sensazione di irraggiungibilità, di estensione illimitata (nello spazio e nel tempo) suscitata dalla Visione col cielo stellato, genera sempre una mescolanza di sentimenti di meraviglia e inquietudine, finanche di timore per la piccolezza umana. Perciò, anche per coloro che, privilegiati, riescono a ri-conquistare la Visione del Cielo, riemerge sempre un’insopprimibile domanda, non certo su chi o che cosa ha generato tutto, non certo se c’è una qualche attinenza tra l’esistenza materiale dell’uomo sulla Terra e quella del Cielo sovrastante, ma piuttosto: come ri-divenire pienamente partecipi dell’Universo?

La sensazione di irraggiungibilità, di estensione illimitata (nello spazio e nel tempo) suscitata dalla Visione col cielo stellato, genera sempre una mescolanza di sentimenti di meraviglia e inquietudine, finanche di timore per la piccolezza umana. Perciò, anche per coloro che, privilegiati, riescono a ri-conquistare la Visione del Cielo, riemerge sempre un’insopprimibile domanda, non certo su chi o che cosa ha generato tutto, non certo se c’è una qualche attinenza tra l’esistenza materiale dell’uomo sulla Terra e quella del Cielo sovrastante, ma piuttosto: come ri-divenire pienamente partecipi dell’Universo?

È la Natura della ragione, il Principio, che spinge nel 1543 un astronomo e medico polacco, Niccolà Copernico, verso quel nuovo modo di fare i calcoli……, verso una nuova e diversa immagine fisica dell’universo (non quella metafisica, comunque), come ben rappresentato nel “De revolutionibus orbium coelestium”. I calcoli proposti da Tolomeo non reggono più e, anche se la teoria di Copernico non si presentava altro che come una semplice correzione, appare subito chiaro che si trattava di una radicale rivoluzione del pensiero, perché i calcoli (quelli di Copernico), implicavano che al centro dell’universo vi fosse il Sole e che la Terra fosse, in realtà, un corpo celeste che ruota su se stessa e, assieme, intorno al Sole. L’immagine del mondo, ma anche dell’uomo e della sua posizione nel Cosmo, ne risultò sconvolta, scompigliata, quasi con violenza sbriciolata, come ben traspare nei versi di una celebre poesia del 1611 del poeta inglese John Donne, intitolata “Anatomy of the world” che testualmente recita:

La nuova filosofia richiama tutto in dubbio,l’elemento fuoco è per intero spento.Il sole è perduto e la terra, in nessun uomo.

La mente gli insegna più dove cercarla.Spontaneamente gli uomini confessanoche è consumato questo mondoquando nei pianeti e nel firmamentocercano in tanti il nuovo e vedono che il mondoè sbriciolato ancora nei suoi atomi

Tutto va in pezzi, ogni coerenza è scomparsa,ogni giusta provvidenza, ogni relazione: principe, suddito, padre, figlio, sono cose dimenticate, perché ogni uomo pensa d’esser riuscito, da solo, a essere una fenice…

È la Natura della ragione, il Principio, che spinge l’uomo a concepire di non riuscire (da solo), a essere Fenice.

È la Natura della ragione, il Principio, che spinge Copernico nei suoi calcoli.

È la Natura della ragione, il Principio, che spinge nel 1609 Galileo Galilei a puntare per la prima volta il suo cannocchiale verso cielo stellato, per scoprire che l’Ultimo Orizzonte è in realtà diverso e più lontano di quello che l’osservazione ad occhio nudo aveva indotto a formulare.

L’uomo ha bisogno di identificare lo spazio e il tempo in maniera fisica, affinché possa ricollegarli col mondo; ha bisogno di identificarsi nello spazio e nel tempo, affinché possa ricollegarsi col mondo, coi sensi di cui è dotato…….., gli stessi che suggerirono a Tommaso: se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò! In questo passo del Vangelo secondo Giovanni, Tommaso rappresenta l’uomo, quello portato a credere solo attraverso i suoi sensi, quello che li crede perfetti mentre invece lo ingannano fornendo percezioni limitate e limitanti……, paradossali.

Il senso percettivo che da sempre l’uomo predilige come portatore di verità, è la vista (se non lo vedo coi miei occhi, non ci credo!). La stessa scienza ha però mostrato di come la vista sia invece uno dei sensi più a rischio di abbagli per l’eccesso di luce. Ebbene, oggi potenti telescopi offrono continuamente immagini di galassie lontane, lontanissime; però, il fatto che una pura costruzione mentale trovi sempre riscontro nella descrizione del mondo fisico, non fa altro che confermare il legame (biunivoco), tra la razionalità (limitata) dell’uomo e quella del Creato; non fa altro che confermare l’opera del dio Costruttore; non fa altro checonfermare che il Creatore non ha bisogno né di un tempo né di uno spazio. Nel “Summa Teologica” di San Tommaso d’Aquino, si può (a ragione) ben leggere: Dio è perfettamente semplice, non è unito ad altro e non ha parti.

Le prime tracce d’osservazioni astronomiche risalgono a ca. 20.000 anni fa. L’interpretazione del Cielo nella Tradizione, era un elemento fondamentale non solo per l’individuo, ma anche per la comunità che vi ri-trovava (sempre) coerenza strutturale, Dentro e Sopra di sé. Nella Tradizione  ogni cosa trova (sempre) la propria collocazione in un Tutto Organico e la contrapposizione (certamente apparente) fra Cielo e Terra, costituisce invece l’unione armonica di una macchina simbolica in cui la vita è intrisa di Significato. Nella Tradizione l’individuo è inserito in una catena, in una scala, che unisce le Stelle alla Terra, in un legame tanto concreto e solido da attuare quel mondo tendente alla Perfezione e, quindi, al soddisfacimento. Il Toro dell’iconografia mithraica rappresenta, dunque, quel legame, quella catena; rappresenta l’incarnazione dello Spirito, il vivere con profondità e completezza il proprio status (anche fisico); rappresenta l’eterna battaglia tra mondanità e Spiritualità che, per l’Iniziato, richiede senz’altro una lotta vittoriosa. Il Toro è come, per i Cretesi, il percorrere il labirinto (con una facciata rivolta verso l’esterno e l’altra verso l’interno), dove si cela il Minotauro che deve essere sconfitto affinché l’animus umano di Arianna possa ri-divenire divino.

Nella  complessa fede mithraica, ricca com’è di contrapposizioni dualistiche, l’uccisione del Toro assumeva allora, il valore di una lotta di alto significato allegorico e l’Iniziato doveva essere soldato del Bene. Per il mithraismo, in effetti, l’umanità non è metafisicamente separata dalla divinità ed esclusa da un destino divino, ma di converso può partecipare (allorquando debitamente preparata), alla funesta e incessante guerra contro il male, in alleanza col dio. Le iscrizioni dei mitrei ben documentano che l’esistenza del culto misterico rimase costantemente collegata (come quella scala) alla sfera terrena, alle umane virtù, in un tempo che, evidentemente, aveva già dimenticato l’Età dell’Oro. Pertanto, dall’esperienza della vittoria di Mithra nasceva l’atto  di Fede nei suoi poteri di Creatore/Redentore; nasceva l’impegno virile per l’adempimento del proprio Dovere; nasceva la gioia di poter celebrare, insieme, i riti misterici in eterno; nasceva il vincolo di Solidarietà e Carità con gli altri Iniziati che rinnovano se stessi, ma anche la comunità e il mondo.

Mithra è il dio della vita attiva, non muore….. non resuscita, è semplicemente un combattente vittorioso. Fu proprio questo il motivo dell’enorme successo presso la truppa che, al contrario dello strato più colto della società, non né interpretava i misteri, bensì li applicava direttamente. Pur tuttavia, malgrado il dualismo culto/dottrina (religione passiva/sofisticata filosofia), nel mithraismo l’atto del singolo trova sacralità in seno alla comunità, attraverso il forte vincolo della Fratellanza. Essa non è un rapporto innato, piuttosto é un rapporto da costruire; non è un vincolo di sangue, bensì è un vincolo di Ri-nascenza, perché figli di uno stesso sentire.

Fratellanza é un Tempio da costruire giorno per giorno col cemento degli Ideali puri della Tradizione.

Fratellanza è come il Cielo stellato in Terra.

 

e.m.

 

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