IL SENSO RELIGIOSO E LA SOFFERENZA PSICHICA FEMMINILE

Andando per le vecchie strade ed i crocicchi del Veneto s’incontrano frequentemente piccole edicole o capitelli dedicati alla Vergine o ai Santi, specialmente a San Antonio da Padova. Non è certo che i templi dedicati a Sant’Antonio da Padova siano originati all’interno del contesto di una religione pre-cristiana che costruì ab origine un santuario dedicato alle acque sacre, ma spesso è vicina la presenza di canali, fiumicelli o torrenti, di cui questa terra è ricchissima, alla cui guardia, si racconta nelle narrazioni di tradizione orale venete, stavano un tempo le fate.

Da sempre considerate custodi di questo bene naturale, fonte di vita e salute, esse ammonivano l’uomo nel farne buon uso. Non avendo la presunzione di farne un lavoro esaustivo, pensiamo di mettere in risalto questa realtà attraverso alcuni siti esemplari, di certa devozione popolare e che annoverano alcune caratteristiche comuni.

Procedendo nello studio ci accorgiamo di quanto numerosi siano in questo territorio i luoghi con tali caratteristiche.

Nel Veneto, la ricerca iniziò casualmente un mattino in cui, passeggiando tra vecchie strade, mi imbattei in una minuscola edicola affissa ad un albero, al crocicchio tra due canaletti con un piccolo ponticello. Vi riporto l’iscrizione che vi trovai,a cura di un anonimo:

La Madonéta del Ponte.

Situata tra le località ai Boschi e la Frusta.

La Vergine, rappresentata in questa sacra immagine, è stata presente in questo luogo campestre a difesa della popolazione contro credenze magiche e presenze maligne.

Ha conservato per secoli nella fede generazioni di Salzanesi, ed è stata promotrice di grazia e favori celesti per chiunque a lei si fosse rivolto. E’ stata anche presente durante l’epidemia di colera che ha infestato queste terre nell’estate del 1873, muta testimone di un fatto riferito dallo storico prof. Eugenio Bacchion (1899 – 1976):

Il trasporto dei defunti al cimitero veniva fatto di notte per ragioni igieniche; nel mese di agosto, durante il trasporto di un… morto di colera a soli 21 anni, i necrofori ubriachi si reggevano male sulle gambe, giunti in questo luogo detto “Ponte dea Madonéta”…..

Come lo fu per i nostri predecessori, questa sacra immagine ti sia propizia per tutte le tue necessità spirituali e materiali.

Questo racconto contiene alcuni elementi, non tutti, propri dei luoghi di culto pagani legati alle acque: una figura sacra femminile, l’acqua salvifica o guaritrice. Non sono presenti le caratteristiche sulfuree dell’acqua ed il culto di San Michele Arcangelo. Ma tanto bastò a suscitare la necessità di una ricerca che andasse a dipanare le figure sacre pagane di questo territorio così intriso di strighe (fate, streghe) e maranteghe (la vecchia madre, la donna anziana), che era la strega (o fata) più vecchia della congrega.

Il termine strega ora ha un’accezione negativa ma, in origine, questa figura che poi è stata rinominata come strega, era positiva. Il termine strega o fata si rifà probabilmente al culto della Dea Madre, di tradizione pre-indoeuropea. In seguito, dopo il concilio di Trento, questa divinità è diventata negativa e alcuni dicono che dopo questo concilio siano spariti definitivamente i culti pre-cristiani e le fate o le streghe, ma anche le anguane  siano state uccise. Questi culti di antica origine non esistono più a livello ufficiale, in coincidenza con altri culti che la chiesa ha eliminati, come quello dei catari, ad esempio.

Ma le leggende  e la storia che, dopo il Concilio di Trento, non sono più ufficiali, vengono tramandate dalle generazioni matriarcali (i culti che seguono quelli della grande madre erano patriacali) soprattutto sulle Alpi, ad esempio nella Valle del Waltser, e sono legati ai culti di antica origine. Sopravvivono ancor oggi, con fatica, nonostante il perpetuo ostracismo rivolto loro dalle istituzioni e la distruzione dell’ambiente che, in questa straordinaria terra veneta, purtroppo complottano ogni giorno contro la natura e le sue protettrici e madri.

C’e’ chi dice che questi spiriti femminili e maschili siano definitivamente scomparsi al tempo del concilio di Trento, quando la Chiesa li paragonò al diavolo, declassando così la loro natura. Le fate  e le anguane divennero streghe o meglio il termine strega assunse una connotazione negativa, così come gli esseri maschili furono ridotti tutti a maghi connotati negativamente.

Raccontano gli anziani che le streghe non hanno mai fatto niente di bene, e anche adesso, quelle poche che ci sono, non fanno che rovinare bambini, bambine, donne, uomini e tutti. Le fate invece quando c’erano, facevano anche del bene: facevano diventare ricco chi fosse povero, bello chi fosse brutto, e giovane chi fosse vecchio. Ma delle fate si è distrutta la razza. E, a proposito degli spiriti maschili, si dice che non avessero mai fatto niente di cattivo. Anch’essi però sono stati messi al confino, non si sa dove, dal santo Ufficio, così come le streghe, le fate e i maghi.

Penso che non sia stato così. Ritengo inoltre che in talune zone dell’area veneta strighe, anguane, fate o ninfee si confondano nella nomea popolare, ma che proprio tale confusione abbia consentito loro di sopravvivere nascoste in molti luoghi, non necessariamente nei loro veri e propri santuari.

A tal proposito una questione particolare che mi pongo è quella della sopravvivenza del culto della divinità Sainate e delle sue sacerdotesse, accertato da ritrovamenti archeologici in Veneto,ad Este e Lagole. La ritualità tipica di queste sacerdotesse è costituita dalle libagioni di gruppo seguite dalla rottura dei contenitori usati (situle, simpuli) e dai sacrifici di interi animali bruciati sul focolare perenne di cui esse erano custodi. Offrono cibo e si ingraziano gli uccelli, in particolare i corvi. Alcune di queste ritualità sono simili o uguali a quelle delle fate, per esempio le libagioni di gruppo nelle acque solforose e guaritrici, la custodia del focolare e delle fonti di acque guaritrici, la localizzazione in luoghi lacustri e con anfratti, l’offrire cibo agli animali. Altre tradizioni invece sono pienamente discordanti, per esempio il sacrificio animale, infatti caratteristica delle fate è di non uccidere mai alcun essere, uomo o animale. Erano infatti esseri dediti non solo al lavoro ma anche all’amore e alla spiritualità, muse del canto e delle melodie e delle danze, amanti della natura e degli animali. La convivenza nello stesso luogo di questi due gruppi femminili risultava talmente difficoltoso che addirittura sorgevano veri e propri contrasti.

Esemplificativo mi pare, a tal proposito, il sito di Lagole, localizzato nell’attuale Calalzo di Cadore (Belluno)e una particolare leggenda ad esso legato.Si tratta di un luogo incantato situato lungo le pendici di un bosco alpino nel quale emergono dal fondo roccioso numerosissime fonti, venti delle quali sono accertate essere solforiche e curative. Negli anni ’40 è iniziato uno scavo che ha portato alla luce circa settanta ex voto, statuette in bronzo, appartenenti all’epoca che va dal IV sec. a.C. al IV sec. d.C., più suppellettili rituali nella fattispecie numerosi e variegati esempi di simpuli, una situla,lamine bronzee,anforette,figure in bronzo, un piccolo santuario in muratura a forma di pozzo, alcune iscrizioni, ossa e zone combuste. Il tutto risultava seppellito sotto un fronte di frana, a cui si sono aggiunti i lavori eseguiti per la ferrovia inaugurata nel 1914. Interessantissimi i reperti, che contribuiscono a definire i contorni di un’area paleoveneta più ampia nel Cadore e nella valle del Piave, ma gettano le basi di uno studio anche sui legami con i popoli alpini del nord e con gli etruschi a sud, anche da un punto di vista linguistico. Fu un’area dedicata a ad una divinità Sahnate o divinità sanatrice (non è chiaro se questa divinità fosse maschile o femminile) custodita da sacerdotesse che con libagioni rituali mantenevano fertili e giovani e soprattutto curavano infezioni cutanee e altre malattie della pelle, come dimostrano gli ex voto rappresentati da statuine di soldati. Fu quindi un luogo di religiosità paleoveneta con la venerazione di Trumusiatei Sahnate o Trumusiatis sainatis e successivamente romana con la venerazione di Apollo (le due divinità possedevano caratteristiche simili). All’epoca cristiana il santuario fu abbandonato e andò sepolto e dimenticato. Mentre a monte del paese, nella valle d’Oten, si trova una chiesetta campestre intitolata alla Madonna del Caravaggio, fino a pochi anni or sono meta di una processione annuale,su un precedente capitello dedicato a Santa Margherita, patrona delle partorienti. Tutta l’area dalla valle d’Oten a Lagole al Lago di Centro Cadore era inoltre zona di transumanza di ovini e caprini, come testimoniano i reperti di campanellini per gli animali, ma sono state ritrovate anche ossa combuste di maiale.

Ciò che colpisce però dell’area di Lagole è che la zona subito a valle del santuario, poche decine di metri più in basso, era considerata abitata dalle Anguane o Lagane. In particolare il Lago delle Tose (ragazze, ndr) era il lago delle Anguane in cui tutte le donne della zona andavano a immergersi nella notte di plenilunio di agosto, perché tale rituale concedeva il dono della giovinezza e della fertilità. Ancora più a valle il Lago di Centro Cadore, un lago artificiale (ahimè!), quando viene parzialmente prosciugato, rende visibili ancora molti anfratti abitati dalle Anguane o Lagane.

Anguane e sacerdotesse di Sahnate non andavano d’accordo, e questo è oggetto di una leggenda popolare ripresa e raccolta in varie versioni, che evidenzia il carattere astioso e vendicativo delle Anguane di Lagole, ma anche le differenze culturali con le sacerdotesse: non compivano sacrifici animali, erano dedite al lavoro e curavano essenzialmente le donne in quel genere di problemi che le mettevano in forte difficoltà con i maschi, la giovinezza, la bellezza, la fertilità, i lavori domestici, soprattutto il lavare la biancheria nelle gelide acque di montagna. Le Anguane con le acque di sorgente e solforiche, non solo potevano lavare lenzuola e altra biancheria, e con un’acqua di temperatura costante intorno ai quindici gradi, circondate dal ghiaccio e dalla neve, ma potevano anche sbiancarle grazie all’azione dei minerali contenuti in quelle acque, ed infine asciugarle velocemente appendendole negli stretti canaloni delle valli alpine (in particolare in quella dove sorge la chiesetta della Vergine del Caravaggio).

Ecco una delle versioni della leggenda di Bianca:

“Tra queste fanciulle vi era anche Bianca, una bellissima ragazza figlia del capo del villaggio. Nessuno era al corrente che in quel bellissimo specchio d’acqua dimorassero le malvagie Anguane, le quali, oltre ad essere sempre più infastidite dall’invadenza delle giovani bagnanti erano invidiose della bellezza di Bianca. Così una sera, quando gli uomini del villaggio andarono a caccia, le mostruose ninfe decisero di tendere un agguato alle donne per liberarsi definitivamente di loro e godere in via esclusiva dei prodigiosi poteri benefici delle acque del laghetto. Appena Bianca e le sue compagne si immersero nell’acqua le Anguane le trascinarono sul fondale e colpendole con gli zoccoli nel volto le uccisero in pochi minuti.

Subito dopo appiccarono il fuoco al villaggio con lo scopo di spingere gli abitanti ad andarsene. Gli uomini, vedendo le lingue dell’incendio in lontananza, corsero subito indietro, ma ormai era troppo tardi per salvare vite e abitazioni. Quando le fiamme furono spente questi ritrovarono solo il corpo esanime di Bianca. Decisero allora di deporre il cadavere ancora sanguinante su di una barella e di seppellirlo presso la Cima della Croda Bianca sulle montagne delle Marmarole. La Natura, assistendo a tale terribile spettacolo, fu così dispiaciuta per la morte della giovane e bellissima Bianca che, per renderle omaggio, fece spuntare delle nuvole di fiorellini bianchi per ogni goccia del suo sangue che toccava terra. In più, impietosita e disgustata per il comportamento crudele ed indegno delle sue ninfe punì le Anguane cacciandole dal laghetto di Lagole, del quale vanificò tutti i prodigiosi poteri di modo che queste fossero costrette a vivere da quel momento nelle grotte, dove il buio e l’asprezza delle rocce le rese ancora più brutte e intrise d’odio”.

Ebbene, come è possibile che le fate e le anguane, più antiche nel tempo, siano sopravvissute nei racconti popolari fino a pochi anni fa, e il loro culto, legato a quello delle acque salvifiche soprattutto per le donne, sia inossidabile nel tempo senza essere alterato, mantenendo le caratteristiche originali? Mentre, del culto di Sahnate e di Apollo, curato da vere e proprie sacerdotesse, non sia sopravvissuta traccia, se non nella trasposizione del culto della Vergine e che, senza gli importanti scavi effettuati, poco o nulla se ne sarebbe saputo?

La distruzione dei culti pagani da parte del governo dell’antica Roma è avvenuta solo parzialmente. Gli antichi romani, infatti, pur con alcuni limiti, rispettavano i culti pagani, perché questo faceva parte della loro strategia colonizzatrice. Infatti quando i comandanti degli eserciti legionari invadevano i paesi di altri popoli, non li privavano dei loro gerarchi ne’ tantomeno delle divinità, cui questi popoli credevano.

Da questa strategia colonizzatrice nasce la strategia di espansione della chiesa cristiana cattolica, che si sviluppa all’interno della madre chiesa romana. La grande espansione della chiesa cattolica, dovuta al sincretismo religioso che essa attua rispetto alle religioni dei paesi che va ad evangelizzare, questa forma di colonializzazione occidentale industrialista e plutocratica, rispecchia la strategia attuata duemila anni fa dall’antica Roma, antesignana nell’uso del diritto pubblico e nell’amministrazione politica che tuttora vige nei paesi occidentalizzati. Per esempio si ritiene che le fate avessero potere sui cippi romani messi ai confini di proprietà e considerati sacri, così come erano sacre le divinità casalinghe dei Lari; le fate infatti potevano varcare i confini senza incorrere in alcun sacrilegio, e questo solo a loro era concesso.

L’idea che fate, streghe ed anguane siano scomparse del tutto potrebbe essere vera nel senso che la cultura definita della informazione ha divorato e fatto diventare altro ciò che un tempo era un culto antico. Ma credo che l’idea di sopravvivenza culturale di questo elemento in realtà sia stata trasformata in altro, e che l’entrata massiccia nella nostra cultura di religioni come il taoismo e l’induismo, e il conseguente grande accrescimento di concezioni che allontanano da una visione economicistica del mondo, ne costituisca una buona chiave di lettura. Inoltre bisogna tener presente che i culti dell’antica religione preindoeuropea legati alla Grande Madre si sono sincretizzati con il culto patriarcale indoeuropeo della liturgia degli indemoniati e questa è un’altra e complementare chiave di lettura.

Accade per esempio che, nella non lontana Fanzolo di Vedelago, nella provincia di Treviso, nella seconda metà dell’ottocento sia stato eretto un Santuario, per ottenere la grazia di un buon raccolto dopo un decennio di carestia, e che esso sia dedicato alla Madonna del Caravaggio, così come è universalmente conosciuto in questi territori, o Santa Maria del Fonte di Caravaggio. Situato lontano dalla frazione in un luogo campestre, è meta continua di pellegrinaggi. Secondo la tradizione il simulacro della Vergine ha il potere di guarire gli ammalati e gli indemoniati. Il simulacro della Madonna veniva esposto ogni anno alla ricorrenza del 26 maggio e, per proteggerlo dagli ammalati che andavano in trance per opera del demonio o diventavano aggressivi, fu necessario costruire una gabbia di ferro e, per questo, è conosciuta come la “Vergine in gabbia”. E’ da precisare come la titolazione del santuario di Fanzolo sia riferito a quello madre di Caravaggio in Lombardia e che i nomi siano Nostra Signora del Caravaggio o Santa Maria del Fonte o Santa Maria alla Fontana. Tutti ricordano la presenza di una fonte sacra e miracolosa le cui acque guariscono. La zona di Caravaggio è peraltro conosciuta per essere una zona ricchissima di fontanassi, fenomeni spontanei di risorgiva, proprio come quella di Vedelago.

Il miracolo di Caravaggio richiama ad una guarigione corporale e spirituale e, solo come corollario, vi è per chi non ha avuto abbastanza fede, il miracolo della trasformazione di un bastone di legno secco in un virgulto fiorito. Pertanto appare quanto meno singolare che, in una zona pullulante di acque come è la parte meridionale del territorio comunale di Vedelago, anche i toponimi ricordano con forza la massiccia presenza di acqua boschi e di lavori legati ad essi, Pozzobon, Fossalunga, Albaredo, Carpenedo, Fossa Storta, Cavasagra, Casacorba, in una Vedelago appunto famosissima per i suoi fontanassi, ci si preoccupasse di sconfiggere la carestia con un sacello dedicato alla Madonna protettrice contro gli ammalati e gli indemoniati. Le frazioni di Barcon e Fanzolo si trovano sempre nel comune di Vedelago, ma a nord della linea delle risorgive, in un territorio più aspro ma comunque ricco di canali costruiti dalla Serenissima che deviavano torrenti e fiumi provenienti dalle colline a nord per irrigare le campagne, come il canale Brentella.

A nostro avviso non basta a giustificare la decisione di dedicare il sacello alla Madonna del Caravaggio nemmeno il fatto che spesso, e anche in quegli anni, quei territori e altri limitrofi fossero colpiti da colera. Si tratta dei luoghi delle fate, anticamente abitati, in particolare la zona dei fontanassi tra le località di Cavasagra e Torreselle nel Comune di Piombino Dese, come testimoniano i reperti palafitticoli da varie fonti citati. Le ritualità di guarigione erano custodite dalle fate già in epoca precristiana, come anche tutta la ritualità sulla protezione della terra e dell’agricoltura, fino almeno agli settanta del Novecento, quando il territorio si trasformò da agricolo in artigianale ed industriale. Sopravvivono tutt’ora alcuni riti, legati principalmente al passaggio tra l’inverno e la primavera, come i Pan e vin, I brusa a vecia, El bater marso, precisando che questi territori appartennero per lungo tempo alla Serenissima, che datava l’inizio dell’anno il 25 di marzo, festa dell’annunciazione di Gesù e di fondazione della Serenissima, poi convenzionalmente anticipato al 1 marzo. Ma soprattutto sono presenti nel territorio altri importanti culti, per esempio nella frazione di Barcon la chiesa ha come titolare l’Apparizione di San Michele Arcangelo, che è il patrono della località.  E’ peraltro presente il culto di San Biagio di Sebaste, medico, vescovo e martire, protettore della gola e degli animali. Ed è presente anche il culto di san Mamante o Santa Mama, dal nome del martire Manete di Cesarea, protettore delle puerpere e delle balie, con un oratorio a lui dedicato tra Fanzolo e Vedelago: nella tradizione veneta Santa Mama si accompagna sempre ad una fonte sacra le cui acque donano latte abbondante e sostanzioso.

La malattia fisica o mentale e quella spirituale, sono tradizionalmente collegate, infatti il paziente per legge, fin oltre il medioevo, doveva prima farsi visitare dal sacerdote e soltanto dopo dal medico. Dentro a questo contesto di legame tra malattia fisica, mentale e spirituale, anche nella Maremma toscana, quando una persona prendeva la malaria, era spesso considerata indemoniata. La stessa cosa è presente nel caso delle donne, che nelle regioni italiane del sud soffrivano di quella che De Martino denominò come crisi di presenza, la cui cura era costituita dal rituale religioso della taranta, piuttosto conosciuto nell’espressione musicale della tarantella.

Il termine taranta deriva dalla tarantola, che a dire delle leggende pizzicava le raccoglitrici durante la raccolta del grano, ma questo fa parte in gran parte dell’immaginario popolare, l’origine vera è scatenata dalla dea Aracne, che nel periodo della Magna Grecia era ben conosciuta nel meridione d’Italia, proprio nelle aree dove è maggiormente sviluppata la tarantella, da Napoli, la cui origine etimologica significa nea polis, nuova città, e fu fondata dai greci, fino a tutto il meridione d’Italia, soprattutto in una zona dove ancora oggi si parla il greco antico, una zona situata in Puglia, nella quale la taranta è maggiormente conosciuta.

In Toscana meridionale ci sono molte fonti che permettevano alle donne in età da marito, compiendo dei rituali, di riuscire a sposarsi o ad avere il latte se ne scarseggiavano. È sempre un mondo piccolo, il mondo che fisicamente e  metaforicamente è concepito localmente. È chiaro che è un mondo in cui il credere storico e il sentire magico si danno più lievemente la mano, nel quale le madri bevendo l’acqua sacra alla fonte del Santo, compiono un rituale che le porta a credere di sentire di poter ricominciare a produrre il latte materno per il proprio bambino, come avviene nel caso delle fonti lattaie oppure, grazie al rituale propiziatorio, che compiono, possono sentire il matrimonio vicino, quando, nelle società pre-industriali, sono in età da marito. Era un mondo nel quale la benedizione acquea che, fino a qualche decennio fa, veniva distribuita annualmente, agli animali domestici, presso la fonte di acqua sulfurea del paese di Saturnia, situato nella Toscana meridionale, un’acqua considerata sacra da un’infinità di anni, ricollegante, molto probabilmente,la tradizione religiosa della Grande Madre a quella cristiana cattolica.

A nostro avviso, come nel caso della malaria (e della pellagra in Veneto), alcuni sintomi riconducevano ad una malattia mentale, ed era considerata una caratteristica femminile, e spesso il genere femminile era visto come indemoniato. Le fonti che aiutavano le donne in età da marito a maritarsi e sempre a quelle a far venire il latte, serviva per risolvere una crisi esistenziale della donna, una crisi di presenza che era particolarmente forte presso il genere femminile, perché le donne dovevano sempre essere subalterne al potere dominante maschile. Quindi come la ritualità della taranta nel meridione, anche il rituale del far venire il latte alle madri serviva per aiutare loro nella loro crisi post partum. Nel caso in cui la donna non trovasse marito, attraverso il rituale della fonte risolveva il problema di ruolo, perché con il matrimonio la donna nella nostra cultura tradizionale poteva essere più valorizzata. Infatti le donne che non si sposavano erano definite zitelle, cioè coloro che non dovevano parlare, che dovevano stare sempre zitte e se non ci stavano erano considerate prostitute o malate di mente. Basti pensare a “La bisbetica domata” di Shakespeare che è un frutto emblematico di una cultura medioevale dove è grande questa crisi, e infatti la commedia racconta di una donna che non si voleva sposare perché voleva comandare lei medesima la propria vita, e alla fine trova un uomo più forte  di lei che la doma.

La stessa situazione della tragedia shakespeariana la si ritrova anche negli episodi di malattia mentale che si sono rivelati nella seconda metà dell’ottocento, quando molte donne giovani andavano a finire in un ospedale psichiatrico del sud della Francia. Ciò avvenne finché un medico capì e scrisse che la loro malattia non era organica ma funzionale e che nasceva dalla impossibilità di esprimere loro stesse, così quelle donne si ammalavano.

Questa caratteristica non è propria solo delle donne ma anche di alcuni uomini, come per esempio Vincent Van Gogh,che fu ricoverato nella stessa clinica proto psichiatrica per problemi legati alla impossibilità di espressione del sé. Pensiamo alla malattia sociale che porta la cultura maschilista violenta a definire le donne malate di isteria come malate nell’isterion cioè nell’apparato genitale. Il termine isterion infatti indica l’apparato genitale femminile,e perciò la derivazione di isteria, perché si pensava che solo le donne potessero ammalarsi di isteria. Questo è il frutto della perversione maschilista della maggior parte delle società, nelle quali il genere maschile è considerato forte ma in realtà è solo rigido e bloccato a livello psichico, infatti un poeta dell’immagine come Van Gogh niente affatto rigido e bloccato a livello psichico, si ammalò della stessa malattia funzionale di cui soffrivano molte giovani donne.

Marco Viti e Stefania Pomiato

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