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Alcune riflessioni sull’astrologia karmica

Alcune riflessioni sull’astrologia karmica

In quest’articolo prenderemo in considerazione e descriveremo una delle correnti più importanti del pensiero astrologico del xx secolo, ossia l’astrologia karmica. Essa sostiene che esiste uno stretto rapporto tra il tema natale degli individui e la loro situazione karmica. Secondo la teoria della reincarnazione in questa vita ci troviamo ad affrontare problemi e situazioni derivanti da azioni commesse in altre vite ( debito karmico e credito karmico). I credenti nella reincarnazione sono convinti che il tipo di esperienze positive o negative alle quali i vari soggetti vanno incontro nella loro vita non sono dovute al caso. Gli individui che si sono ben comportati nelle vite precedenti avranno un’esistenza felice e ricca di soddisfazioni, mentre quelli che hanno commesso nelle vite precedenti colpe di vario tipo si troveranno a vivere un’esistenza caratterizzata da eventi negativi e frustranti. L’astrologia karmica ritiene che sia possibile attraverso il tema natale, non solamente capire il tipo di comportamento e lo stile di vita che avevamo nelle precedenti vite ma anche l’entità e la natura del debito e del credito karmico , che abbiamo accumulato. Secondo l’astrologia karmica per andare avanti nel processo di evoluzione spirituale dobbiamo andare incontro ad avvenimenti negativi oppure ad avvenimenti positivi, a seconda del debito karmico o del credito karmico che possediamo. Secondo i credenti nella reincarnazione lo scopo principale del ciclo di reincarnazioni alle quali verrebbe sottoposta l’anima, sarebbe quello di darle la possibilità di raggiungere un determinato livello di evoluzione spirituale. In sintesi l’astrologia karmica afferma che gli avvenimenti non accadono alle persone ma le persone accadono agli avvenimenti, nel senso che sono gli individui ad attirarsi gli avvenimenti positivi o negativi in grado di permettere loro di pagare i debiti karmici oppure di riscuotere i crediti karmici, al fine di permettere l’evoluzione spirituale degli individui. Pertanto nell’astrologia karmica non hanno valore tanto gli avvenimenti predetti dagli astrologi quanto l’atteggiamento mentale che il soggetto assume nei confronti di tali avvenimenti. Secondo l’astrologia carmica gli individui devono considerare gli avvenimenti negativi predetti dall’astrologo come un’occasione per saldare il loro debito karmico, mentre devono considerare gli avvenimenti positivi predetti dagli astrologi come il modo per riscuotere i loro crediti karmici. Dobbiamo mettere in evidenza che l’astrologia karmica attribuisce grande importanza al pianeta Saturno, alle posizioni dei pianeti retrogradi e dei nodi lunari. Per quanto riguarda il pianeta Saturno gli astrologi Karmici ritengono che esso per la sua simbologia connessa alle prove della vita, alle privazioni e agli ostacoli, possa esprimere nella maniera migliore il significato di karma. Pertanto la sua posizione nel tema natale dell’individuo a dire degli astrologi karmici, importanti indicazioni su come il soggetto deve agire per pagare i debiti karmici che ha maturato nelle vite precedenti. Prima di parlare dell’importanza dei pianeti retrogradi nell’astrologia karmica dobbiamo chiarire quando in astrologia un pianeta viene definito retrogrado. Dal punto di vista astrologico un pianeta viene definito retrogrado quando il pianeta in questione è impossibilitato ad esercitare al massimo grado le sue potenzialità.. Per dirla in altro modo la retrogradazione determina inibizione degli influssi positivi che il pianeta dovrebbe esercitare sul soggetto. Per fare un esempio concreto un Mercurio retrogrado indica a dire degli astrologi una maggiore lentezza nell’apprendimento che resterà problematico per un certo periodo di tempo calcolabile con il metodo delle progressioni. A detta dell’astrologia karmica la presenza dei pianeti retrogradi nel tema natale è in connessione con la situazione karmica della persona. I pianeti retrogradi diventano particolarmente importanti nell’astrolgia karmica nei Transiti: in questo caso gli astrologi sostengono che bisogna evitare di dare inizio a qualsiasi tipo di attività, soprattutto se nel tema natale sono presenti vari tipi di pianeti retrogradi. Detto ciò, dobbiamo mettere in evidenza l’importanza che rivestono i nodi lunari nell’astrologia karmica. I nodi lunari sono considerati così importanti che occupano un posto di rilievo nell’oroscopo karmico. A differenza dell’oroscopo tradizionale, basato sul movimento del sole attraverso le costellazioni, in quello dell’astrologia karmica, ciò che conta è l’orbita della luna. I nodi lunari sono nell’astronomia i due punti in cui il percorso della luna va ad intersecarsi con l’eclittica (percorso apparente del sole). I due nodi lunari prendono il nome di nodo nord o ascendente e nodo sud o discendente. Nell’astrologia karmica questi due punti indicano due momenti diversi del percorso evolutivo del soggetto: ciò che è nel presente e ciò che sarà nel futuro se seguirà la strada indicata nell’oroscopo. Nello specifico dobbiamo dire che il nodo sud rappresenta lo stadio di evoluzione raggiunto dall’individuo nel presente, mentre il nodo nord rappresenta il punto di arrivo, ovvero il livello evolutivo che l’individuo dovrebbe raggiungere alla fine della vita. Inoltre l’astrologia karmica afferma che ogni volta che i nodi entrano in congiunzione con i pianeti lenti vi saranno nella vita dell’individuo avvenimenti inevitabili dovuti al karma: la natura di tali avvenimenti karmici può essere dedotta dall’astrologo considerando le case e i segni in cui si trovano i nodi lunari. Concludiamo il nostro discorso sull’astrologia karmica mettendo in evidenza che essa a differenza di altre scuole astrologiche sostiene di essere in grado di dare informazioni che riguardano anche le vite passate degli individui, mettendo insieme il concetto di determinismo astrologico con quello di karma.

Prof. Giovanni Pellegrino

Morte, la fine di tutto?

Il presente articolo vuol essere una riflessione aperta sulla morte, visto che fin da piccoli si viene cresciuti con il timore e la riverenza di questo argomento, in contrapposizione a quello che, crescendo, è il business dei funerali e l’atteggiamento pseudo-scientifico o laicizzato che molti adulti sviluppano.

Si pensi in particolare al fatto che, fin dagli albori del genere umano, ci sia sempre stato un notevole riguardo nei confronti della morte, poiché i nostri antenati sapevano bene qual era l’importanza della morte tanto da venerarla e sollevarla a divinità.

Ma oggigiorno, effettivamente, come vediamo la morte?

Trascurando quello che potrebbe essere l’approccio di comparazione tra il pensiero religioso e laico, che potrebbe portare anche a un’analisi filosofica, l’idea è di provare a spostare il punto di vista in maniera più esterna e senza influenze di natura personale o regionale.

Questi aspetti main stream, ovvero il punto di vista religioso piuttosto che laico, sono quelli che gli individui ricevono per via del loro ambiente; infatti, fin da piccoli si riceve un imprinting su come vedere la morte e come approcciarsi a essa: dalla religione alla storia, dalla filosofia alla consuetudine, dalla scuola alla famiglia.

Naturalmente, bisogna considerare che agli aspetti metafisici si affianca quello ateistico e materialista, velato da approccio “scientifico”, in cui si relega la morte a fine delle funzioni biologiche seguite dalla decomposizione.

Paradossalmente, quest’ultimo approccio è, come si vedrà, semplicemente un punto di partenza a cui manca il poi. Infatti, è imprescindibile slegare la morte, per come si riesce a percepirla, da quelle che sono le funzioni vitali. Questo aspetto, banalmente, è esso stesso la definizione di morte. Prendendo un qualsiasi vocabolario, infatti, si legge:<<La cessazione delle funzioni vitali nell’uomo, negli animali e in ogni altro organismo vivente o elemento costitutivo di esso[i]>>. Sia un primitivo che un uomo moderno, davanti a un corpo inerme privo di reazioni vitali (battito del cuore e respiro) capisce di trovarsi davanti a una salma.

Il punto iniziale, dunque, è dato dal fatto che, in qualsiasi punto la si veda, la morte rappresenta uno stato finale, il termine della vita; ma questo non necessariamente significa conclusione dell’esistenza.

Facendo un passo avanti e fermandosi a meditare più a fondo, si può vedere che la morte ha un profondo significato simbolico che è stato tramandato dai tempi più remoti, che parte proprio dal concetto materiale di cessazione. La morte, infatti, è uno stato transitorio che porta da una condizione a un’altra, non necessariamente va slegata dal concetto di nascita: il frutto maturo cade sul terreno e muore, la sua decomposizione diventerà nutrimento per il seme che porterà alla nascita di una nuova pianta.

La morte diventa quindi uno stato di passaggio da una condizione di esistenza a una successiva. Se la si vuole vedere in termini non religiosi e scientifici, si può pensare al principio di conservazione della massa: nulla si crea e nulla si distrugge. Ampliando questo pensiero e applicandolo all’essere umano, ci si dovrebbe interrogare su cosa accade dopo la morte.

Anzitutto, è bene pensare al fatto che l’essere umano non è fatto di solo di corpo, questo si potrebbe esprimere prendendo in prestito l’aforisma della scuola Gestalt: <<il tutto è più della somma delle parti>>. Considerando concetti religiosi come Anima e Spirito, con le relative varianti culturali, ci si trova a dare un altro peso alla vita, poiché essa diventa l’esistenza nata da più componenti a costituire l’individuo. Ne deriva che, se alla morte il corpo fisico cessa di esistere, cosa accade alle componenti incorporee?

Questo porta a definire una sorta di incrocio da cui dipartono diverse strade, anche se tutte in modo più o meno differente convergono: lo spirito attende la fine dei tempi per essere indirizzato verso il Paradiso o gli Inferi (approccio cristiano); lo spirito, slegato dal corpo e dalle sensazioni terrene, viene reindirizzato a un nuovo inizio sulla base delle proprie esperienze vissute; lo spirito si ricongiunge con gli altri spiriti in una dimensione separata da quella materiale o, in alternativa, parallela a essa (si pensi per esempio all’Ade/Campi Elisi del mondo classico oppure Hel/Vahlalla della cultura norrena) in cui si conduce una sorta di “prosecuzione della vita”.

Queste interpretazioni si riconducono, effettuando una forte approssimazione, a una condizione in cui le diverse esistenze identitarie fanno capo a una principale. Nel caso Cristiano, si pensi a quando, dopo l’Apocalisse, le anime meritevoli saranno ammesse in paradiso per ricongiungersi a Dio. Allo stesso modo, si può vedere come alla fine del ciclo di apprendimento, Samsara, l’Atman individuale si ricongiunge con il Brahaman.

Questi aspetti, in ogni caso, sono fortemente collegati alla religione che, in accordo alla definizione di exoterismo, trasmette insegnamenti ai fedeli e poco si presta a essere manipolata per diverse interpretazioni da quelle ammesse. Proprio a tal proposito, si può proseguire questa meditazione passando al pensiero di un importante studioso moderno, René Guénon.

Guénon, in merito alla morte, scrive: <<La morte essendo concepita come la dissoluzione del composto umano, rappresenta un riassorbimento dell’individualità nello stato del non-manifestato[ii]>>.

Questa definizione deriva dalla concezione orientale sposata dall’autore che la vita umana, come quella di tutto ciò che esiste nel mondo materiale e sensibile, si tratta di uno stato dell’essere specifico e manifestato che quindi viene limitato nel tempo e nello spazio. La vita stessa diventa un concetto illusorio, poiché viene percepita solo in base a ciò che si sente dal punto di vista sensoriale (salvo quegli individui illuminati che, attraverso le pratiche ascetiche o l’illuminazione, riescono ad avere uno stato di consapevolezza più espanso), infatti l’autore specifica: << <L’individualità umana non può dunque essere situata temporalmente in rapporto agli altri stati dell’essere, poiché essi, in genere, sono extra-temporali, e ciò anche quando si tratta soltanto di stati ugualmente appartenenti alla manifestazione formale2>.

Quindi la morte non è più la fine ultima dell’esistenza dell’individuo, quanto più la fine della sua rappresentazione materiale o, in altri termini, il completamento della sua esperienza esistenziale in quella forma: << Si deve considerare che l’idea di “morte” è essenzialmente sinonimo di cambiamento di stato, il che, come già abbiamo spiegato, corrisponde alla sua accezione più ampia2>>.

Se ci si ferma a meditare, questo tipo di concetto è ormai presente anche nella cultura occidentale. Quando si sente parlare di Karma, altro non è che un riallacciarsi a questa tipologia di interpretazione della vita. L’esistenza umana è data da un insieme di esperienze che predispongono l’individuo (naturalmente ragionando in senso spirituale ed esistenziale, quindi riferendoci all’Atman) a maturare una certa quantità di insegnamenti dovuti alle azioni compiute, siano esse positive o negative, che porteranno a definire quali saranno le condizioni del suo prossimo stato di esistenza.

La morte acquisisce, quindi, una forma che metaforicamente si può associare a quella di “esame finale” dopo il quale l’individuo prosegue con il percorrere una nuova strada o, in caso fosse “bocciato”, a ripetere l’esistenza nel mondo materiale come essere umano.

Si può avere un’altra interpretazione derivata dall’alchimia, la morte si può immaginare come il primo stadio, quello Nero, in cui si ha la degradazione della materia. Questo porta, tramite le successive fasi, all’ottenimento di una nuova materia. Si vede come, applicando quest’altro approccio, la concezione sia pressoché convergente: la morte è uno stato transitorio tra due forme o esistenze. Cessando di esistere in una forma, magari abbandonando le impurità e gli aspetti non più utili, la materia (o altro) si porta a un nuovo stato di esistenza e di purezza.

Questo aspetto ciclico della vita e, quindi, di una morte che rappresenta solo uno stato intermedio (in tutto e per tutto come la nascita), porterebbe ad applicare un diverso approccio nei confronti del decesso.

Bisogna specificare, tuttavia, che rispetto a come si voglia interpretare la morte, il decesso è comunque legato al lutto, che a sua volta è un concetto relativamente a parte. Il lutto è, di fatto, l’insieme di emozioni legate alla perdita di una persona cara o altro essere vivente (anche la morte di un animale domestico, spesso, provoca nei più sensibili un senso di melanconico vuoto). Questo dipende dal fatto che, per quanto ci si possa preparare ad affrontare il lutto, l’emotività può superare il raziocinio.

A questo punto si apre un altro concetto che lega morte e lutto, ed è come questo viene affrontato nelle diverse culture attuali. Si può fare facilmente una comparazione sulle due principali reazioni che, evidentemente, prescindono da come si interpreti la morte: una è quella che è comune in Italia, ovvero piangere il defunto con funzione religiosa e conseguente corteo funebre, vivere la dipartita con estrema tristezza; la seconda reazione è quella di svolgere la funzione religiosa e dalla sepoltura del defunto (sia essa tumulazione o cremazione), a cui segue ma celebrandone il decesso, mantenendo sempre il contegno per il lutto, con ricevimenti e con riflessioni sulla sua vita.

Questo porta a una rivalutazione della morte attribuendole una sorta di business. Si hanno, allora, professionisti della morte che, procedendo in maniera pragmatica e materiale, si occupano delle diverse incombenze legate alla salma. Si viene così portati a perdere di vista il significato della morte stessa, venendo investiti dalla materializzazione dell’evento.

In conclusione, si vede come la morte sia, abbandonando il preconcetto di “fine ultima”, lo stato intermedio che porta a una successiva esistenza. In questo il simbolismo ci aiuta, si pensi al serpente che si divora, l’uroboro:<<Come il serpente costantemente si rinnova, così il ciclo della vita si ripete infinite volte[iii]>>.

Mattia Pisu



[i]http://www.treccani.it/vocabolario/morte/ (ultima volta visitato il 4 maggio 2020)

[ii]René Guénon, L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, Adelphi edizioni.

[iii]Roberto Tresoldi, Enciclopedia dell’Esoterismo, De Vecchi editore.

I PRINCIPALI ELEMENTI DELLA CRISTOLOGIA DEL NEW AGE

Dobbiamo premettere che non è facile definire in maniera chiara e univoca quale sia la dottrina del movimento New Age poiché i gruppi che compongono la nebulosa acquariana presentano delle divergenze dottrinali abbastanza importanti .

In questo articolo cercheremo di descrivere e sintetizzare i principali elementi della cristologia del New Age .

Prima di cominciare a descrivere tale cristologia vogliamo premettere che per gli acquariani Gesù non è il figlio di Dio,ma una delle numerose incarnazioni del Cristo cosmico . Di conseguenza appare evidente che la dottrina insegnata dal Cristo Acquariano è molto diversa da quella che i Vangeli Canonici attribuiscono a Gesù .

Il Cristo acquariano non solo è molto diverso da quello della religione cristiana ma è altresì molto simile ai ricercatori metafisici del New Age . Vedremo ora quali sono le principali caratteristiche della cristologia acquariana.

In primo luogo Gesù di Nazareth ( il Gesù storico ) è qualcosa di diverso dal Cristo cosmico in quanto il primo è un uomo mentre il secondo preesiste a Gesù di Nazareth essendo energia , forza , coscienza cosmica .

In secondo luogo Gesù di Nazareth non è l’unica manifestazione del Cristo cosmico che si è incarnato in altri uomini ( Budda , Zoroastro, Maometto etc ) e s’ incarnerà in futuro in altri uomini . Di conseguenza per gli Acquariani Gesù non è l’unico Avatar ( manifestazione ) del Cristo cosmico .

In terzo luogo gli acquariani negano che Cristo sia morto in croce in quanto essi sostengono che solamente l’uomo Gesù di Nazareth morì sulla croce poiché il principio cristico cosmico si staccò da lui prima della crocifissione .

Alcuni gruppi acquariani sostengono che neppure Gesù morì in croce dal momento che Gesù di Nazareth sarebbe solamente svenuto sulla croce cosicchè si sarebbe trasferito in Oriente dove sarebbe morto in tarda età .

In quarto luogo i documenti extrabiblici sono considerati fonte autentiche per conoscere gli aspetti nella vita di Gesù non descritti nei Vangeli Canonici .Ma gli acquariani non si feermano qua dal momento che una sorta di esegesi esoteerica viene applicata ai Vangeeli Canonici alfine di effettuare una forma di purificazione del cristianesimo da tutti quegli elemnti che a detta degli acquariani impedisconodi cogliere l’essenza esoterica. Di conseguenza per la cristologia acquariana i vangeli cristiani conterrebbero delle inesattezze che avrebbero almeno in parte deformato l’insegnamento autentico di Gesù per cui non sarebbero sempre attendibili .

In quinto luogo la cristologia acquariana rifiuta l’idea che Gesù sia risorto in quanto lo ritiene un uomo e non l’ Unigenito Figlio di Dio .

Inoltre per il New Age Gesù è un maestro cosmico venuto a ricordare agli uomini antiche verità dimenticate e ad indicare la strada per esprimere al massimo le potenzialità legate alla natura umana .

In sintesi possiamo dire che per la cristologia acquaroana Gesù non è assolutamente il redentore dell’ Umanità sia perché gli Acquariani rifiutano il concetto di peccato nonché l’idea di un redentore e3sterno all’ uomo stesso sia perché negano che Gesù sia Dio.

Vogliamo mettere in eidenza che per il new Age l’uomo non ha bisogno di nessun redentore esterno dal momento che l’uomo è in grado di salvare se stesso raggiungenfo l’Illuminazione ( nel caso del New Age gli storici delle religioni parlano di autosoteriologia .

Nel New Age si parla di autosoteriologia dal momento che gli Acquariani accettano un’antropologia molto ottimistica che giunge fino al punto di considerare l’uomo di natura divina cosiccè il principale compito degli esseri umani per il new Age è quello di acquistare consapevolezza della loro natura divina attraverso lì Illuminazione .

Un altro elemento che caratterizza la cristologia acquariana è il netto rifiuto del concetto di Parusia e di quello di fine del mondo . Per quanto riguarda il rifiuto del concetto di Parusia ( Gesù Cristo sulla Terra ) dobbiamo dire che essa è dovuta a due ragioni : in primo luogo gli Acwquariani ritemgono che Gesù era un uomo e pertanto essemdo egli morto senza risorgere non può ritornare una seconda volta sulla Terra come Gesù ( dobbiamo mettere in evidenza che l’escatologia Acquariana si basa sulla credenza nella reincarnazione e non su quella della risurrezione ).

In secondo luogo gli Acquarinai sono convinti che verrà sulla Terra nell’era dell’ Acquario una nuova manifestazione del Cristo cosmico che si incarnerà in un uomo diverso da Gesù .

Inoltre gli acquariani rifiutano anche il concetto di fine del mondo poiché essi ritengono che nessun Dio distruggerà mai la Terra anche perché a loro dire siamo alle porte di una era nella quale l’ umanità raggiumgerà un livello spirituale ed una felicità mai raggiunti prima .

Allo stesso modo la cristologia acquariana rifiuta l’idea che Gesù verrà a giudicare gli uomini alla fine dei tempi o che li giudichi alla fine della loro vita terrena .

Dobbiamo dire che gli adepti del New Age credono che dopo la morte gli uomini devono sottostare alla legge universale del Karma che deciderà se gli uomini dopo la morte si reincarneranno in modo tale da avere una vita felice oppure una vita infelice e triste .

Tra l’altro gli Acquarinai non accettano neppure l’idea dell’esistenza della Trinità nella quale Gesù Cristo rappresenta la Seconda Persona Divina .

Come tutti sanno il dogma della Trinità rappresenta uno dei capisaldi della dottrina della religione cattolica ragion per cui la cristologia cattolica non può fare a meno della dottrina della Trinità .

Inoltre gli adepti del New Age ritengono che Gesù non sia la sola via per conoscere Dio  dal momento che sono convinti che anche le altre manifestazioni del Cristo cosmico ( Budda , Zoroastro ,Pitagora ,Maometto etc ) siano vie altrettanto valide per conoscere Dio .

Gli acquariani sono altresì convinti che il nucleo degli insegnamenti di tutti gli Avatar del Cristo cosmico ivi compreso Gesù siano gli stessi . I newagers non si rendono conto che esistono differenze importanti tra le dottrine delle principali religioni riscontrabili nella storia  cosicchè non si può dire che esiste un nucleo in comune significativo in tutte le più grandi religioni mondiali . Tra l’altro gli acquariani  sono convinti che la nuova manifestazione del Cristo cosmico ( Avatar ) che caratterizzerà l’era dell’ Acquario fornirà agli uomini degli insegnamenti più perfetti di quelli di Gesù  ed in grado di sostutuirsi ad essi . Al contrario la religione cattolica afferma che gli insegnamenti di Gesù non sono perfezionabili in nessun modo e da nessuno in quanto con la mvenuta di Gesù Crsito sulla terra è stato raggiunto l’apice della rivelazione di Dio agli uomini . Infine la cristologia acquariana sostiene che Gesù è il fondatore di una religione adatta agli uomini dell’era dei Pesci e pertanto non destinata ad essere la religione valida per tutti gli uomini e intorno tutte le epoche storiche .

Quindi per gli Acquariani non sarà mai detto che la Rivelazione di Dio agli uomini è conclusa una volta per sempre ma al contrario gli adepti del new Age credono nella rivelazione continua .

Secondo la cristologia acquariana neppure il nuovo Avatar dell’era dell’ Acquario chiuderà la serie delle rivelazioni divine continue al genere umano  in quanto ogni era deve avere il proprio Avatar .

 

Prof. Giovanni Pellegrino

Prof. Ermelinda Calabria

ETICA E CONFLITTO NELLA TRAGEDIA GRECA DALLA LETTURA DI “SE’ COME UN ALTRO” DI PAUL RICOEUR

Il concetto di “nomos” (norma-legge) è in stretta connessione con quello di “ethos” (luogo in cui vivere). Il “demos” (popolo) necessita del “nomos”, perchè senza di esso avrebbe come conseguenza una società in perenne conflitto, in cui prevarrebbe unicamente la cura dei propri interessi individuali. Allo stesso modo il “demos” ha bisogno di un “ethos”, che non è solo il luogo in cui vivere, ma anche il modo in cui vivere, secondo giustizia e secondo volontà divina. Da “ethos” deriva il termine “ethikos”, “etica”, ossia l’insieme delle concezioni morali proprie di una determinata società e, in senso assoluto, la scienza della morale in quanto tale. Pertanto, se l’ethos è il costume, l’ethicos è la sua elevazione a norma morale, ossia il suo trascendimento in una istanza superiore, impegnativo per tutti i membri della comunità, e, in prospettiva, dell’umanità intera. L’elemento che funge da supremo regolatore del passaggio dall’”ethos” all’ “ethikos”, ovvero dal costume alla legge, è, appunto, il “nomos”: la volontà degli dèi, che si pone a fondamento della legge umana e le conferisce valore assoluto. Nel dramma di Antigone viene messo in risalto il conflitto tra legge umana e legge divina, intendendo quest’ultima come legge imprescrittibile della coscienza. Antigone sfida la legge umana per dare degna sepoltura al proprio fratello. Ella considera superiore la legge divina, ma incorre consapevolmente nella condanna della legge umana, accettandone le tragiche conseguenze. In questo modo Antigone afferma il principio che quando le leggi umane sono ingiuste, come nel caso di Creonte che vuole negare la sepoltura di un morto, esse non discendono dagli dei e, pertanto, non gli si può attribuire la dignità e il carattere d’inviolabilità del nomos. Lo scarto che si viene a creare tra nomos ed ethos, legge umana e legge divina, condanna l’uomo della praxis a rimettersi in discussione e a rielaborare la propria azione e il proprio giudizio, tenendo conto di una saggezza tragica, dalla quale in qualche modo discende il diritto positivo e pratico. Il percorso etico e morale, oggetto dello studio ricoeuriano, che va dal virtuosismo aristotelico al rigorismo kantiano, non sembra tener conto del conflitto generato da una saggezza tragica e una saggezza pratica, come evidenziato nel dramma di Antigone. Conflitto, questo, che invece viene ben descritto e messo in evidenza da Hegel, che però lo risolve e lo supera attraverso una dialettica universalizzante e sistematica che conduce alla teoria dello stato e pretende di porsi al di fuori e al di sopra dell’etica stessa. Il tragico, afferma Ricoeur in polemica con Hegel, non è peculiare all’epoca aurorale della vita etica greca, ma è sempre in atto e si ripresenta nei conflitti che emergono ripetutamente durante il percorso che va dall’applicazione della regola al giudizio morale in situazione. La questione posta è se vi sia una contrapposizione tra la Sittlichkeit hegeliana, in cui la libertà si concretizza oggettivandosi in forme sempre più ampie (famiglia, società, stato) e la Moralitat kantiana; ovvero se sia preponderante l’obbligo di servire le istituzioni dello stato considerandole di altra natura rispetto all’obbligo morale, fosse, questo, anche di ordine e di natura superiore. Tale opposizione, scrive Ricoeur, perde molta della sua forza se si assegna alla giustizia distributiva kantiana, vista come diritto privato, e al diritto astratto della dottrina hegeliana, un campo di applicazione più vasto. Una cosa, infatti, è ammettere la derivazione dello stato non da individui, ma da altre istituzioni, altra è conferirgli una spiritualità distinta da quella degli individui. La tesi hegeliana crolla rovinosamente a seguito dei tragici avvenimenti del xx secolo, in cui i popoli percepiscono le istituzioni come nemiche e assassine, creando una lacerazione profonda tra la Sittlichkeit e la coscienza morale. A creare questo tipo di conflitto politico è la gravità della confusione interpretativa che crea lo scarto tra potere e dominio, in cui, all’interno della stessa istanza si contendono il primato la forma, che si esprime nella Costituzione, e la forza, che si esprime nella costrizione e nell’uso legittimato della violenza. In questo modo viene ribadita, parossisticamente, l’irresolutezza del tragico dell’azione. Altro campo di conflitto, scrive Ricoeur, è quello stagliato nel secondo imperativo categorico kantiano, che si propone di trattare l’uomo e l’umanità come fine e mai soltanto come mezzo. Ma la suggestione di una inscindibilità tra l’individualità e l’umanità viene meno nel momento in cui emerge l’alterità degli individui e l’eccezione fa crollare la pretesa universalità della regola morale. In altre parole Kant, nel suo concetto di universalizzazione delle massime appartenenti all’imperativo categorico, non tiene conto dell’eccezione che si rivolge verso il beneficio dell’altro, ovvero dell’applicazione della legge a situazioni particolari. La condanna della falsa promessa, ad esempio, dimostra come l’altro possa essere preso scarsamente in considerazione. La regola, allora, sostiene Ricoeur, deve essere sottoposta ad un esame che passi dal confronto tra le circostanze e le conseguenze; ovvero deve seguire sempre la regola della reciprocità. Citando Kemp : ”è necessario situare la felicità all’interno dell’etica, ma senza che questa entri in contrasto con il dolore”. Con tale spirito, allora, si possono affrontare temi spinosi come “la vita che comincia” e “la vita che finisce”, nel senso di una visione improntata sulla responsabilità dell’agente e del rispetto verso l’altro. In questo spazio dell’eccezione, lasciato vuoto dall’etica kantiana è situato il preciso limite in cui si attua il conflitto tra il tragico della morale e la saggezza pratica. Questo spazio vuoto, tuttavia, è anche il terreno di ricomposizione del conflitto. In altre parole, nel dubbio dell’applicazione del principio etico alla “vita che comincia”, che afferma il diritto alla vita, ad esempio su un embrione, questo va rimodellato come diritto ad una “possibilità” di vita, che esclude il rischio di commettere un omicidio. Nel conflitto tra scienza e saggezza, come afferma Hans Jonas, deve prevalere il “timore del peggio”. Pertanto, una scienza che si sostituisca a Dio o alla natura, pretendendo il diritto esclusivo della sentenza, non potrà che fare male. Anche la ricerca del “giusto mezzo” talvolta non è altro che un debole compromesso, poiché il bene risulta spesso un estremo e non una medietà, come afferma lo stesso Aristotele. Rimane la questione se di un sistema morale che non abbia un supporto giuridico si possa affermare che esso possegga una coerenza propria e indipendente. Ricoeur nega la possibilità sostenuta nella tesi kantiana, di una autonomia della legislazione in quanto meta-criterio della moralità, sostenendo che non ci sarebbe un tragico dell’azione se universalismo e contestualismo non fossero, di volta in volta, considerati nelle differenti situazioni in cui vengono a trovarsi e che solo attraverso una mediazione pratica, che si affidi alla “saggezza del giudizio morale in situazione” si può superare questa antinomia. La linea tracciata da Ricoeur in questo studio è quella di porre al centro una dialettica del sé e dell’altro da sé, introducendo il principio di reciprocità e di responsabilità. La nozione di responsabilità possiede al suo interno le nozioni di prospettico e retrospettivo. Si tratta di riconoscere il proprio debito verso coloro che ci hanno preceduto e ci hanno permesso di essere quelli che siamo e, contestualmente, di riconoscerlo verso coloro che verranno dopo di noi. La responsabilità del presente, che si integra tra passato e futuro, consiste nella dialettica tra ipseità e medesimezza. L’ipseità è l’aspetto mutevole che il soggetto costruisce e modifica attraverso il “racconto di sé”; la medesimezza riguarda l’identità come medesimo, ovvero l’aspetto immutabile dell’individuo, che alcuni definiscono carattere. La “Piccola etica” ricoeuriana si conclude con il superamento della virtù e del dovere, di memoria aristotelica e kantiana, attraverso un movimento, cosiddetto, a spirale, che non chiude mai il cerchio e non si fa sistema, ma è mosso e governato da un etica della responsabilità, collocandosi in una posizione di continua e sempre rinnovata relazione e intermediazione con l’altro.

Sandro Secci

IL CHANNELLING COME FONTE DI NUOVE RIVELAZIONI

Da sempre l’uomo ha desiderato dialogare con i morti cosicchè da sempre sono esistiti medium che hanno messo in contatto gli uomini con coloro che si trovano nell’aldilà.

Il Channelling, elemento fondamentale della dottrina del NEW AGE, è una forma moderna di spiritismo, ci si mette in contatto con l’aldilà, come si sintonizza su un canale televisivo o radiofonico: un Channel.

Molti Acquariani sostengono che l’umanità sprofonderebbe nel caos se non prestasse ascolto agli ammonimenti che l’entità giunte sull’altra riva sono pronte a indirizzare agli uomini.

Il Channeling attira l’attenzione soprattutto in America nel grande pubblico e dei mass media. Ma in che cosa il Channelling si distingue dallo spiritismo classico?

In primo luogo, mentre nello spiritismo classico la maggior parte delle entità che si manifestavano, erano spiriti di morti, nel Channelling si manifestano entità di tutti i tipi: Dio, angeli, maestri cosmici, fate, elfi, gnomi, folletti, extraterrestri.

In secondo luogo nel Channelling sono rare le manifestazioni di tipo fisico, frequenti nello spiritismo classico. Non bisogna dimenticare che le opere di Allan Kardek e gli altri famosi spiritisti sono tra le letture preferite dagli Acquariani che attribuiscono grande importanza al pensiero di questi autori.

Riteniamo opportuno a questo punto esporre in maniera sintetica le principali dottrine dello spiritismo classico che è una dottrina fondata sulla credenza della esistenza, delle manifestazioni e dell’insegnamento degli spiriti. Gli spiritisti sono anche convinti che sia possibile conoscere l’aldilà utilizzando gli insegnamenti degli spiriti.

Con lo spiritismo, fin dalle origini si propose di raggiungere due fini per mettere agli uomini di entrare in contatto con le persone care morte e dimostrare in maniera oggettiva l’esistenza di un aldilà nel quale i morti conservano la loro individualità e la loro personalità. Ma si può considerare lo spiritismo compatibile con tutte le tradizioni religiose esistenti?

Per fare un esempio Allan Kardek (il più famoso spiritista della storia) ha sempre creduto che rivelazioni che aveva ricevuto dagli spiriti servissero a completare e chiarire la dottrina tradizionale della religione cattolica. Per Kardek lo spiritismo era la terza rivelazione della legge di Dio, mentre il Vecchio testamento era la prima rivelazione, il Nuovo Testamento la seconda.

Fin dall’ inizio del movimento gli spiritisti si preoccuparono di unirsi di formare il movimento con collegamenti a livello internazionale. Probabilmente gli spiritisti sono in tutto il mondo molti milioni se si contano coloro che lo praticano per ottenere contatti con parenti morti e coloro che frequentano con regolarità le conferenze spiritiche.

In sintesi possiamo dire che la intera dottrina spiritistica poggia sulle idee di evoluzione progresso indefinito e giustizia: ognuno subisce le conseguenze delle sue azioni e dei suoi pensieri e l’evoluzione degli esseri umani avviene attraverso una lunga serie di esistenze e di prove. Gli spiritisti hanno sviluppato una propria complessa concezione dell’aldilà basata sull’ informazione ricevuta dagli spiriti inoltre gli spiritisti sostengono che l’uomo é costituito da tre parti: il corpo fisico ; l’anima ( il principio immateriale che sopravvive alla morte) ; il perispirito ( esso corrisponde al corpo astrale che gli esoteristi ed è il fluido vitale che anima il corpo fisico ).

La dottrina spiritista si basa anche sulla credenza nell’esistenza di una intera gerarchia di spiriti: gli spiriti imperfetti, gli spiriti buoni, gli spiriti puri.

Alla sommità di tale gerarchia lo spiritismo pone un Dio eterno infinito e onnipotente.

Torniamo ora ad occuparci del Channelling che oltre a essere una forma moderna di spiritismo è anche una delle cause della nascita di nuove religioni in quanto crea le premesse per l’esistenza di “rivelazioni continue” in grado di dare origine a nuove religioni nate per la predicazione dei nuovi profeti. Il Channelling è una fonte di rivelazioni continue perché stabilisce un contatto permanente con entità di vario tipo in grado di rivelare in ogni momento concetti riguardanti qualsiasi argomento attinente alla dimensione religiosa. Per dirla in altro modo il Channelling permette una serie potenzialmente infinita, di rivelazioni private e la presenza di un numero altissimo di nuovi profeti il Channelling da anche luogo a un modello di religiosità incontrollabile e selvaggia dal momento che nessuno può prevedere l’evoluzione e l’andamento di queste nuove rivelazioni.

Gli storici delle religioni hanno studiato con attenzione il channelling proprio per i motivi appena detti dal momento che tale modello di religiosità derivante da esso è alla base di molte nuove religioni.

Gli Acquariani proprio perché credono nel Channelling ritengono che ogni individuo possa diventare un nuovo profeta e che le entità impegnate nel channelling forniscano continuamente nuove rivelazioni per facilitare il progresso dell’umanità e l’arrivo della nuova era.

In sintesi gli Acquariani credono nel concetto rivelazione continua e nella possibilità che nuove rivelazioni possano correggere contraddire, integrare le rivelazioni del passato oppure addirittura dire cose non presenti nelle antiche rivelazioni. Ma quale è l’atteggiamento della chiesa cattolica nei confronti del Channelling e dello spiritismo classico?

Dobbiamo dire che la Chiesa Cattolica condanna in maniera assoluta lo spiritismo e il Channelling e rifiuta in maniera altrettanta assoluta il concetto di rivelazione continua. Per quanto riguarda lo spiritismo dobbiamo dire che esso è condannato in maniera esplicita dalla Bibbia (il Deuteronomio dice che non deve essere nessuno che pratichi la magia o la divinazione oppure che consulti gli spiriti e interroghi i morti). La religione cattolica ritiene che nelle sedute spiritiche intervengono due specie di entità: i demoni e le anime dannate. Gli esorcisti mettono in evidenza che coloro che partecipano alle sedute spiritiche corrono il rischio di andare incontro a fenomeni di possessione in quanto risulta agli esorcisti che molte possessioni si verificano nel corso di sedute spiritiche. Inoltre gli stessi esorcisti mettono in evidenza che sono possibili durante le sedute spiritiche fenomeni di infestazione ambientale dovute proprio all’azione delle anime dannate che violano la legge divina che proibisce di interrogare i morti.

Per quanto riguarda il concetto di Rivelazione continua dobbiamo dire che esso viene rifiutato in maniera categorica dalla religione cattolica che ritiene che la Rivelazione si è chiusa definitivamente con la venuta di Cristo e con la morte dell’ultimo Apostolo. In sintesi per la Chiesa cattolica Cristo rappresenta lo’ ultima parola della Rivelazione ragion per cui non ci possono essere altre rivelazioni che perfezionino quella di Cristo in quanto il dialogo tra Dio e gli uomini ha raggiunto il suo apice in Cristo di conseguenza dopo le due rivelazioni (antico Testamento e Nuovo Testamento) non ci sarà una terza rivelazione. Ricordiamo che il New Age sostiene che è necessaria la rivelazione continua perché le esigenze spirituali degli uomini cambiano con il passare del tempo cosicchè servono sempre nuovi tipi di rivelazione.

Concludiamo tale articolo ribadendo che il Channelling Acquariano è la forma più sofisticata di rivelazione continua in quando a detta degli Acquariani è in grado di completare e perfezionare le rivelazioni del passato.

 

Prof. Giovanni Pellegrino

Prof. Ermelinda Calabria

I Cinque Periodi della missione del Buddha: un confronto con l’I Ching

I Cinque Periodi della missione del Buddha: un confronto con l’I Ching

[ SUDDIVISO IN DUE PARTI ]

 

[PRIMA PARTE]

Mi è capitato di leggere in Storia della filosofia orientale, libro di cui ammetto di avere ignorato anche l’esistenza poco prima di trovarlo, una pagina interessante sulla diffusione della dottrina buddistica:

 

Uno dei più illustri pensatori cinesi del VI secolo tentò un’ardita sintesi delle opposte opinioni [sulla dottrina del Buddha] allo scopo di trarre un sistema organico da tanta confusione: questo fu Chi-kai, nato nel 531 d.C.

Egli ammetteva che tutti gli esseri possiedono la natura del Buddha, ma sosteneva che la sua realizzazione dipende dallo sforzo personale. Vi è quindi bisogno dell’istruzione, e anche di un profondo impegno, onde rimuovere l’errore e giungere alle idee veraci. Questa era la pietra angolare del nuovo sistema di Chi-k’ai. Un profondo studio della letteratura buddistica lo convinse che nonostante le apparenti diversità e contraddizioni riscontrabili negli insegnamenti del Buddha, vi è in essi una profonda unità d’intenti. L’esistenza di diverse teorie filosofiche non deve far dimenticare che lo scopo ultimo è sempre il medesimo, cioè quello di superare i mali e conseguire la verità e il bene ultimo. [...]

Fu partendo da queste premesse che Chi-k’ai tentò una classificazione ordinata della letteratura e una sintesi della dottrina. Il sistema da lui elaborato era tanto ragionevole, che venne adottato da tutte le scuole buddistiche in Cina e negli altri Paesi dell’estremo Oriente,  ed è pervenuto fino a noi. [...]

Rispetto agli insegnamenti del Buddha quali sono incorporati nella letteratura, Chi-k’ai propose di classificarli in ordine cronologico. Egli suddivise la carriera attiva del Buddha in cinque periodi, in relazione ai quali classificò anche la sua predicazione.

Il primo periodo è [quello in cui] il Buddha, proprio subito dopo il conseguimento della bodhi [illuminazione o risveglio] trascorse 21 giorni sotto l’albero, abbagliato dalla luce della rivelazione. [...]

Il secondo periodo incomincia non appena egli lascia l’albero della bodhi e inizia la sua opera di insegnante religioso popolare. I suoi insegnamenti di questo periodo [...] sono riservati ai novizi e non contengono alcuna «verità sublime». Questo periodo durò 12 anni.

Nel terzo periodo, di 8 anni, si impegnò in un attacco a fondo contro le varie scritture religiose e filosofiche che predicavano dottrine contrarie alla sua fede.

Il quarto fu un periodo in cui gli attacchi delle altre scuole divennero così accesi da costringere il Buddha a rivelare ai suoi discepoli le verità metafisiche più profonde. [...] Tale periodo durò 22 anni.

Il quinto periodo fu quello culminante. Gli avversari erano stati costretti al silenzio e il buddhismo si era ormai stabilito su solide fondamenta. [...] Fu un periodo di 8 anni, che terminò con il nirvana del Buddha.[1]

 

Se, facendo un esperimento, mettiamo gli anni dei cinque periodi della vita di Buddha dopo l’illuminazione in parallelo con il libro classico dell’antica Cina, l’I Ching, Libro dei Mutamenti, e consideriamo gli anni di età di Buddha durante i periodi individuati da Chi-k’ai, emergono legami sorprendenti inerenti proprio la dinamica dell’ascesi, sia in riferimento al Buddha sia in generale:

                                                                           

Periodo

Durata

Età del Buddha

Esagramma dell’I Ching

I

21 giorni

30 anni

30, Li, L’Aderente (il Fuoco)

II

12 anni

30-42 anni

30, Li, L’Aderente (Il Fuoco) – 42, I, L’Accrescimento spirituale

III

8 anni

42-50 anni

42, I, L’Accrescimento spirituale – 50, Ting, il Crogiolo

IV

22 anni

50-72 anni

- – - (l’I Ching si ferma all’esagramma 64)

V

8 anni

72-80 anni

- – -

L’esagramma 21 è Chi-ho, il Morso che spezza:

 

Il segno rappresenta una bocca aperta, ma tra i denti si trova un ostacolo (linea al quarto posto). Di conseguenza le labbra non possono riunirsi. Per ottenere la loro ricongiunzione, bisogna mordere energicamente l’ostacolo da parte a parte.

 

Gli ostacoli sarebbero

 

i turbamenti della convivenza armoniosa portati da criminali e calunniatori. [...] Quando un ostacolo si oppone all’unione, un energico morso che spezza provoca riuscita. [...] L’unità non si può stabilire laddove è sempre compromessa da delatori e traditori, da qualcuno che ostacola e impedisce. [...] Occorre però procedere nella maniera giusta. Il segno è composto dai trigrammi Li, chiarezza, e Chên, eccitazione. Li è tenero, Chên è duro. Durezza ed eccitazione da sole sarebbero troppo violente nel punire. Chiarezza e dolcezza da sole sarebbero troppo deboli. Riunite, producono la giusta misura.[2]

 

Si tratta dunque del primo e indispensabile passo nell’ascesa (e nell’ascesi) spirituale: una netta recisione di ogni compromesso con il Male. Coloro che ostacolano e impediscono, soprattutto mediante la calunnia, sono le forze maligne: il significato greco della parola diàbolos, diavolo, è appunto questo: colui che separa, divide, che crea ostacolo (skàndalon); e il primo “luogo” in cui essi possono esercitare questa azione è ovviamente l’interiorità dell’individuo umano.

Il numero 21 è prodotto della moltiplicazione 3 × 7, e gli esagrammi rappresentati da questi ultimi due numeri implicano significati simbolici che si rivelano condizioni necessarie al significato simbolico dell’esagramma 21:

• il 3 è Chun, La Difficoltà iniziale o la Confusione iniziale, così composto:

 

Il segno inferiore, Chên, è l’Eccitante: è diretto verso l’alto; per immagine ha il tuono; il segno superiore, K’an, è l’Abissale, il pericoloso: il suo moto va verso il basso; per immagine ha la pioggia. La situazione indica dunque una pienezza densa, caotica. Tuono e pioggia riempiono l’aria, ma il caos si rischiara. [...] Nel temporale le forze in tensione si scaricano, e tutto respira di sollievo. [...] È come un primo parto. Queste difficoltà derivano dall’affollarsi di ciò che sta lottando per formarsi. [...] Nel caos della difficoltà iniziale, l’ordine è già predisposto. Così il nobile deve, in questi tempi iniziali, suddividere e ordinare la caotica abbondanza.[3]

 

Come in un temporale il tuono e il buio delle nubi precedono la distensione, anche nella sfera umana il tempo dell’ordine è preceduto da un’epoca di caos. [...] Nubi e tuono corrispondono alla struttura del segno. Qui si parla dello stato che precede la pioggia e simboleggia il pericolo. Per superarlo bisogna prima separare e poi unire, come avviene quando il temporale si scarica: dapprima nubi sopra e tuoni sotto, poi tuoni sopra e pioggia sotto.[4]

 

Dal punto di vista dell’ascesi, il caos è, naturalmente, quello interiore, proprio, della persona che si mette sulla via ascetica, e le forze che si scontrano tra loro sono le sue dimensioni psicologiche, emozionali, passionali, ognuna delle quali a sua volta in conflitto con la volontà di distacco dalla dimensione mondana dell’esistenza. Si tratta dunque di strutturare le forze disordinate in un ordine finalizzato.

• il 7 è Shih, l’Esercito, segno formato

 

dai segni primordiali K’an, acqua, e K’un, terra. Così è simboleggiata l’acqua sotterranea, quella che si raccoglie nel sottosuolo. Allo stesso modo si accumula la forza militare entro la moltitudine di un popolo: invisibile in tempo di pace, ma sempre a disposizione come fonte di potenza.

 

Per questo la sua Immagine dice «Nel grembo della terra vi è l’acqua: l’immagine dell’esercito»:

 

L’acqua sotterranea sta invisibile nel grembo della terra. Allo stesso modo la potenza militare di un popolo sta invisibile in seno alle masse.[5]

 

In virtù della coscrizione obbligatoria in uso nell’antichità, i soldati sono presenti nel popolo come l’acqua sotto la terra. Avendo cura della prosperità del popolo, si ottiene un esercito valoroso.[6]

 

Il significato del 7 – la molteplicità preparata per gli eventuali conflitti – è quindi la logica evoluzione del significato del caos atmosferico rappresentato dal 3, tanto più che si tratta di acqua assorbita dalla terra, nelle falde freatiche diremmo oggi: esattamente quello che avviene in natura dopo un temporale; vale a dire, sul piano psicologico-spirituale, le passioni e le forze interiori della persona disciplinate e addestrate alla lotta spirituale (in arabo: jihad) contro le forze avversarie (avversario, in ebraico, è: satan).

Altri due significati simbolici dei numeri 3 e 7 si legano benissimo alla vicenda umana e ascetica del Buddha – e in generale all’ascetismo – e ai legami di questa con la simbologia espressa dall’I Ching:

• 3 sono le razze e le città dei demoni affrontati dal dio indù Shiva in un mito, descritto da Giuseppe Lanza del Vasto (1901-1981), discepolo del Mahatma Gandhi, che ebbe modo di osservarlo rappresentato in un bassorilievo di un tempio indiano:

 

L’arco impugnato dal dio è Vishnu stesso, e la freccia è Brahma. [...] Sciva mira con la freccia il pilastro di faccia, su cui si trovano figurate in bassorilievo le Tre Città: la Città di Ferro, la Città d’Argento e la Città d’Oro, abitate rispettivamente dai demonii del ventre, dai demonii del cuore e dai demonii della testa. E distruggerà le tre città e i demonii che le abitano: è il distruttore delle tenebre, del desiderio e delle illusioni: è il Principe degli Yoği, il Redentore dello spirito.[7]

 

Le Tre Città, ognuna costruita e denominata con un metallo prezioso in progressione – la Città di Ferro abitata dai demonii del ventre; la Città d’Argento abitata dai demonii del cuore; la Città d’Oro abitata dai demonii della testa – possono essere confrontate con le tre tentazioni di Gesù nel deserto, che, prima dell’inizio della sua vita pubblica, mirano a sedurlo proprio dal punto di vista del ventre, del cuore e della testa:

 

Gli si avvicinò il tentatore e gli disse: «Se sei il Figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Allora il diavolo lo condusse con sé nella Città santa e, postolo sul pinnacolo del tempio, gli disse: «Se sei il Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: Darà ordini per te ai suoi angeli perché ti sorreggano sulle braccia, e perché non urti in qualche sasso il tuo piede». Gli rispose Gesù: «Sta scritto anche: Non tenterai il Signore Dio tuo». Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e di qui gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro magnificenza, e gli disse: «Tutte queste cose io le darò a te, se, prostrato a terra, mi adorerai». Allora Gesù gli disse: «Vattene, satana! Sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo presterai culto». Allora il diavolo lo lasciò…[8]

 

L’analogia fra le Tre Città distrutte da Shiva nel mito indiano, e le tre tentazioni affrontate da Cristo è possibile perché gli organi del corpo umano e le funzioni fisiche e psichiche che essi svolgono e rappresentano sono quasi le medesime sia nel caso delle Tre Città, sia nel caso delle tre tentazioni:

- il ventre, punto debole della fame, dei bisogni essenziali ma anche simbolicamente degli istinti e degli impulsi immediati: “ragionare con la pancia” (collegato ai demonii della Città di Ferro);

- il cuore, subito sopra, per molte culture antiche sede dei sentimenti e delle emozioni, quindi anche dell’orgoglio di sé e della soddisfazione personale nel vedersi – nel caso di Gesù – oggetto di un salvataggio miracoloso e spettacolare da parte degli angeli (collegato ai demonii della Città d’Argento);

- la testa, per definizione traslata simbolo del potere, del comando (si pensi alla doppia accezione del termine «capo»), dell’assenza di superiori cui sottostare; e infatti Gesù, in quanto Dio, non può sottostare all’invito di satana e adorarlo (collegata ai demonii della Città d’Oro).

Si sarà notato che la progressione dei metalli preziosi, delle Tre Città che essi definiscono, e delle tre tentazioni di Cristo, è parallela all’ordine delle stesse parti del corpo umane dal basso all’alto, così che in entrambi i racconti – mito indiano ed episodio evangelico – è implicata anche la loro crescente preziosità spirituale.

• 7 luci sono, nella Bibbia, l’attributo tipico di Dio: l’oggetto-simbolo cui si pensa subito al riguardo è la menorah, il candelabro a sette bracci tipico degli Ebrei. L’interpretazione forse più antica della menorah si trova nel libro del profeta Zaccaria:

 

L’angelo che mi parlava venne a destarmi, come si desta uno dal sonno, e mi disse: «Che cosa vedi?». Risposi: «Vedo un candelabro tutto d’oro; in cima ha un recipiente con sette lucerne e sette beccucci per le lucerne». [...] Allora domandai all’angelo che mi parlava: «Che cosa significano, signor mio, queste cose?». Egli mi rispose: «Non comprendi dunque il loro significato?». E io: «No, signor mio». [L’angelo disse quindi] «Le sette lucerne rappresentano gli occhi del Signore che scrutano tutta la terra».[9]

 

Secondo alcune tradizioni, la menorah simboleggia il roveto ardente in cui la voce di Dio si manifestò a Mosè sul monte Horeb; secondo altre rappresenta il sabato (al centro) e i sei giorni della creazione.[10] Il rabbino Simon Philip De Vries scrisse: «Il candelabro è un albero della luce, che si sviluppa nella massima fioritura. La luce risplende fino a Dio, e verso di Lui risplendono tutte le altre luci» (Riti e simboli giudaici [Jüdische Riten und Symbolen, Wiesbaden 1986]).[11] Per altre fonti, «rappresenta la diffusione verso l’uomo della luce della sapienza proveniente da Dio».[12]

 

«Gli sono stati dati tanti bracci – scrive Giuseppe Flavio – quanti sono i pianeti»; è «imitazione terrena», secondo Filone, «della sfera celeste archetipa». Zaccaria ne dà una descrizione mistica che lascia supporre un simbolismo di origine astrale: corrisponderebbe ai sette pianeti e ai sette cieli; le sette lampade sono, per Zaccaria, i sette occhi di Dio (sette è il numero perfetto) che vedono su tutta la Terra. Alcuni scrittori ebraici posteriori, come Filone, Flavio Giuseppe e perfino qualche testimone dell’antico rabbinismo, sviluppano esplicitamente questo simbolismo. Per Filone (Vita di Mosè, 2, 105), il candelabro rappresenta il cielo con il sistema planetario al centro del quale brilla il Sole, di cui il fusto centrale è simbolo. [...] Simbolo della divinità e della luce che essa dispensa agli uomini, la menorah è stata spesso utilizzata come motivo ornamentale, ma ricco di significati, sui muri delle sinagoghe o sui monumenti funerari.[13]

 

Allo stesso modo, Richard Wilhelm, nella sua spiegazione dell’I Ching, in riferimento alla Sentenza dell’esagramma 24, Fu, Il Ritorno, la quale recita: «Al settimo giorno si ha il ritorno», commenta: «il sette è il numero della luce giovane».[14]

[FINE PRIMA PARTE]

 

[SECONDA PARTE]

Tutto ciò che è luminoso e allo stesso tempo a portata di mano, per l’uomo antico si collega all’accensione del fuoco: il numero degli anni del Buddha durante questi primi 21 giorni è il 30, e il numero 30 nell’I Ching è Li, l’Aderente-il Fuoco:

 

Il fuoco non ha una figura determinata, ma aderisce alle cose che ardono e perciò è luminoso. [...] Tutto ciò che splende nel mondo, dipende da qualcosa cui aderisce: così può splendere durevolmente. [...] Così la doppia chiarezza dell’uomo di valore aderisce al giusto e per questo può plasmare il mondo.[15]

 

I corpi sono anch’essi necessari affinché per loro tramite le forze della luce e della vita possano manifestarsi. Lo stesso vale per la vita umana: la natura psichica deve aderire alle forze della vita spirituale per riuscire a trasfigurarsi e a influire sulla terra.[16]

 

A sua volta torna possibile un parallelo con il Cristo, anche lui trentenne: Giovanni Battista disse di lui: «Egli è venuto per battezzare nello Spirito Santo e nel fuoco»,[17] Gesù disse di se stesso: «Sono venuto a portare il fuoco, e come vorrei che fosse già acceso!»,[18] e infine si lasciò attaccare al legno della croce – così come al legno aderisce il fuoco – per essere «luce del mondo» attraverso la sua morte e risurrezione.

Al numero 30, nella periodizzazione della vita pubblica del Buddha in relazione alla sua età,  segue il numero 42: gli anni iniziali della sua predicazione furono dunque 12, da quando ne aveva 30 a quando ne ebbe 42. Dodici anni sono per l’uomo gli anni che trascorrono dal concepimento alla possibilità di generare figli. Iniziare un percorso ascetico e, dopo un determinato tempo, ottenerne i risultati-figli, è un ri-nascere, un ri-generare se stessi, un diventare padre o madre di se stessi: da questo punto di vista si comprende benissimo la frase di Gesù:

 

In verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio. [...] Quel che è nato dalla carne è carne, e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto.[19]

 

Nell’I Ching, l’esagramma 42, è I, l’Accrescimento spirituale, che appunto non avviene subito dopo l’Adesione a ciò che è degno (esagramma 30), ma dopo 12 segni-mutamenti:

 

L’idea dell’accrescimento è qui espressa dal fatto che la linea forte [cioè intera, non spezzata in due segmenti] del trigramma superiore si è abbassata e si è posta sotto il trigramma inferiore. L’idea fondamentale del Libro dei Mutamenti si palesa anche in questa concezione: il vero dominare deve essere un servire. Un sacrificio del superiore, che provoca un accrescimento dell’inferiore, viene chiamato semplicemente accrescimento, con allusione al fatto che solo lo Spirito è in grado di aiutare il mondo. [...]

Il vero accrescimento avviene quando se ne creano in se stessi le condizioni necessarie: apertura e amore per il bene. Così la cosa ambita arriva da sé, per necessità della Legge naturale. Se l’accrescimento viene a trovarsi in piena armonia con le supreme leggi dell’universo, esso non può essere impedito da nessuna combinazione di circostanze.[20]

 

Per questo il Commento alla Decisione recita tra l’altro: «Dall’alto porsi sotto l’inferiore: questa è la via della grande luce. E intraprendere è propizio: centrale, conforme, prospero».[21]

Gli otto anni successivi, dai 42 ai 50, implicano il passaggio dall’accrescimento spirituale (esagramma 42) alla trasformazione dell’energia in azione, cioè in insegnamento e pratica: l’esagramma 50, Ting, il Crogiolo, è allo stesso tempo strumento per la trasformazione e la mescolanza: da questo punto di vista, un “impasto” di divino e umano:

 

Il crogiolo serve per sacrificare a Dio. La più eccelsa cosa terrena deve essere sacrificata al divino; ma ciò che è veramente divino non si mostra avulso dall’umano. La più eccelsa venerazione di Dio sta nei profeti e nei santi. La loro venerazione è la venerazione di Dio. La volontà divina da loro rivelata deve essere accolta con umiltà, e nascono allora l’illuminazione interiore [bodhi] e la vera comprensione del mondo che conducono a grande salute e successo.[22]

 

Il Commento alla Decisione dice infatti: «Grazie alla mitezza, orecchio e occhio diventano acuti e chiari. Il tenero incede e va verso l’alto. Raggiunge il centro e trova corrispondenza presso il solido; perciò vi è sublime riuscita».[23]

Otto come gli anni dal 42 al 50, a loro volta, sono le Nobili Vie di Buddha: «il Santo Sentiero Ottopartito: retta cognizione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto sapere, retto raccoglimento»,[24] nonché le Beatitudini dell’insegnamento del Cristo:

 

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché erediteranno la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.[25]

 

In totale, gli anni della carriera di Buddha paralleli agli esagrammi dell’I Ching sono quindi 20, e nell’I Ching l’esagramma n. 20 è Kuan, la Contemplazione:

 

Il nome cinese del segno ha, con un leggero cambiamento di tono, un duplice significato: da un lato significa il contemplare, dall’altro l’essere visto (come modello). Queste idee vengono suggerite dal fatto che il segno può essere interpretato come una torre quali ne esistevano molte nell’antica Cina. Da queste torri si godeva un’ampia vista e, d’altra parte, una torre simile sopra un monte era visibile da lontano.[26]

 

Il Commento alla Decisione dice infatti: «Una grande visione sta in alto. Devoto e mite, centrale e conforme, egli [il saggio, il mistico] è una visione per il mondo intero. Gli inferiori lo guardano e vengono trasformati. Egli lascia che essi mìrino la divina via [Tao] del cielo…».[27]

 

Inoltre, seguendo ancora il parallelismo con i significati e il numero d’ordine degli esagrammi dell’I Ching, emerge anche che:

● il primo dei cinque periodi, quello di 21 giorni, si rivela un po’ un embrione che contiene tutto lo sviluppo successivo della struttura o della situazione: 21 moltiplicato per 3 dà il risultato di 63, cioè un ciclo completo di tutti i mutamenti degli esagrammi del Libro cinese (escluso l’ultimo, il 64, che è Wei Chi, Prima del Compimento, e indica appunto una situazione in corso, aperta, e da un certo punto di vista rappresenta la possibilità accanto ad ogni esagramma di mutare in un altro), vale a dire una vita umana completa o una completa descrizione del mondo. Ora, 63 diviso per 3, che dà 21, rivela a sua volta gli esagrammi che indicano le tre tappe fondamentali della vita ascetica e dell’evoluzione spirituale:

I – 21: la rottura assoluta con il Male (il Morso che spezza l’ostacolo);

II – 42 (21 × 2): l’accrescimento spirituale, dovuto appunto alla rottura del rapporto con il Male;

III – 63 (21 × 3): Chi Chi, Dopo il compimento, cioè oltre la condizione di vita terrena, sia dal punto di vista biografico, naturale (il trapasso), sia da quello della conoscenza, la quale, in conseguenza dell’accrescimento spirituale, non è più limitata alle dimensioni soltanto tangibili e spazio-temporali:

 

L’esagramma è una derivazione del segno T’ai, La Pace (n. 11). Il passaggio dalla confusione all’ordine è compiuto, e ora ogni particolare è al suo posto. Questo è un aspetto molto favorevole, ma dà anche da pensare: proprio quando si è raggiunto l’equilibrio perfetto, ogni movimento può turbare l’ordine e provocare un ritorno alla disgregazione. [...] L’esagramma allude dunque a una situazione culminante che esige un’estrema cautela.[28]

 

Nell’Immagine infatti si dice: «Il nobile pondera la disgrazia e se ne premunisce per tempo».[29]

La situazione è appunto molto simile a quella di una persona che ha compiuto la propria vita, ma è estremamente esposto ai rischi a causa della propria anzianità.

● Gli anni dal momento della bodhi in poi, se messi in parallelo con gli esagrammi dell’I Ching, vanno dal 30 al 64 e quindi sono 34 o 35, a seconda che si conti a partire dal trentesimo o dal trentunesimo. Gli esagrammi 34 e 35 sono rispettivamente Ta Chuang, La Potenza del Grande, e Chin, Il Progresso, entrambi ben attribuibili a una figura di santità come il Buddha: il primo

 

indica un tempo in cui il valore interiore emerge con impeto e giunge al dominio. [...] Per questo è aggiunta [nella Sentenza] la frase: «Propizia è perseveranza», giacché la potenza veramente grande è quella che non degenera in mera violenza, ma resta interiormente connessa con i principii del diritto e della giustizia. [...] La vera grandezza si basa sulla concordanza con ciò che è retto.[30]

La forza fa sì che l’egoismo degli istinti più bassi si possa vincere; il moto fa sì che si metta in atto la ferma determinazione della volontà. [...] Quando si dice che il grande deve essere retto, si intende che grandezza e rettitudine non sono due cose diverse, e che senza rettitudine non vi è grandezza.[31]

 

Il segno 35, Il Progresso,

 

rappresenta il sole che si leva sopra la terra; è quindi l’immagine del progresso rapido e facile, il quale significa, nel contempo, crescente espansione e chiarezza. La luce del sole che si innalza al di sopra della terra è chiara per natura, ma quanto più il sole si leva, tanto più esce dalla foschia e splende nella sua originaria purezza, in tutte le direzioni. Così la natura dell’uomo è anch’essa originariamente buona, ma è offuscata dal legame con l’elemento terrestre. Richiede quindi una purificazione per poter splendere.[32]

 

Il relativo Commento alla Decisione dice infatti: «Il chiarore si innalza al di sopra della terra. Devoto e aderente al grande chiarore, ciò che è debole progredisce e va verso l’alto».[33]

● Gli anni restanti, una volta chiusi i 20 anni già presi in considerazione, sono 14; nell’I Ching l’esagramma 14 è Ta Yu, Il Possesso grande, che ha quasi sempre i significati precisi di: tesoro spirituale, patrimonio di sentimenti puri, fede nel Divino, amore autentico per qualcuno/a, strettamente e necessariamente legati all’unione tra modestia e elevatezza spirituale:

 

Il possesso grande è determinato dal destino e corrisponde al tempo. A chi è modesto e mite in posizione elevata, a lui ogni cosa appartiene. Il senso del segno concorda con le parole di Gesù: «Beati i mansueti, poiché erediteranno la terra»,

 

fa notare acutamente R. Wilhelm.[34] Nel Commento alla Decisione infatti si dice: «Il suo carattere e saldo e forte, ordinato e chiaro, trova corrispondenza nel cielo e si muove in armonia con il tempo; per questo si dice [nella Sentenza] “Sublime riuscita!”».[35]

Descrizione, quest’ultima, che è quasi un icastico ritratto del Saggio o dell’Illuminato – Buddha, Cristo, un Sufi islamico, Gandhi, un Lama tibetano… – nei suoi tratti caratteristici di legame interiore con il Senso (Tao) profondo e metafisico dell’Universo, quiete, fermezza, profonda comprensione dell’istante e quindi della necessità, o meno, di inserirvisi con la propria azione.

 

Piervittorio Formichetti

 



[1] Prabodh Chandra Bagchi, L’influsso indiano sul pensiero cinese, in Sarvepalli Radakrishnan (a cura di), Storia della filosofia orientale, Milano, Feltrinelli, 1978 (ed. or. London, Allen and Unwin ltd., 1952), tomo II, pp. 730-731.

[2] I Ching. Il Libro dei Mutamenti, a cura di Richard Wilhelm, trad. it. Milano, Adelphi, 1991, pp. 130-131.

[3] I Ching, ed. cit., pp. 66-67.

[4] I Ching, ed. cit., p. 418.

[5] I Ching, ed. cit., pp. 81-82. I regimi politici europei del secolo scorso hanno ricalcato questa realtà nelle politiche demografiche: nel ventre (terra) delle madri (acqua: si pensi al liquido amniotico) i futuri soldati (l’esercito). Emerge anche qui il tradizionale legame simbolico tra Femminile, acqua e terra.

[6] I Ching, ed. cit., p. 482.

[7] Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle Sorgenti. L’incontro con Gandhi e con l’India, Milano, Jaca Book, 1978, p. 38.

[8] Vangelo secondo Matteo, 4, 3-11.

[9] Zaccaria, 4, 1-2, 4-5, 10; cfr. Manfred Lurker, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, Milano, San Paolo, 1990 (ed. or. München 1989), pp. 104-105.

[10]  http://it.wikipedia.org/wiki/Menorah.

[11] Cit. in Hans Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Milano, Garzanti, 1991 (ed. or. München 1989), pp. 86-87.

[12] Scialom Bahbout, Ebraismo, Firenze, Atlanti Universali Giunti, 1996, p. 32.

[13] Jean Chevalier, Alain Gheerbrant (a cura di), Dizionario dei simboli, Milano, BUR Rizzoli, 1986-87 (ed. or. Paris 1969), vol. I, A-K, pp. 183-185.

[14] I Ching ed. cit., pp. 140-141. Non è possibile non pensare al ritorno per eccellenza, quello del Cristo risorto dalla morte, avvenuto appunto al settimo giorno, cioè il primo della settimana ebraica.

[15] I Ching, ed. cit., pp. 159-160. Con «doppia chiarezza», Richard Wilhelm allude alla doppia presenza del medesimo trigramma nell’esagramma cinese (il segno Li ripetuto, da cui l’esagramma prende nome).

[16] I Ching, ed. cit., p. 537.

[17] Matteo, 3, 11.

[18] Luca, 12, 49-50.

[19] Vangelo secondo Giovanni, 3, 3-7.

[20] I Ching, ed. cit., pp. 200-201.

[21] I Ching, ed. cit., pp. 590-591.

[22] I Ching, ed. cit., p. 229.

[23] I Ching, ed. cit., p. 629.

[24] Buddha, I quattro pilastri della saggezza, a cura di K. E. Neumann e G. De Lorenzo, Roma, Newton & Compton, 1993 (ed. or. Leipzig, Reclam, 1921), p. 39.

[25] Vangelo secondo Matteo, 5, 3-10.

[26] I Ching, ed. cit., p. 126.

[27] I Ching, ed. cit., pp. 492-493.

[28] I Ching., ed. cit., p. 274.

[29] I Ching, ed. cit., p. 275.

[30] I Ching, ed. cit., pp. 173-174.

[31] I Ching, ed. cit., p. 554

[32] I Ching, ed. cit., pp. 176-177.

[33] I Ching, ed. cit., pp. 557-558.

[34] I Ching, ed. cit., pp. 105-106.

[35] I Ching, ed. cit., p. 467.

Gesù Cristo e l’esagramma 25 dell’ I Ching: legami e analogie.

Gesù Cristo e l’esagramma 25 dell’ I Ching: legami e analogie

 

PRIMA PARTE

Nel 1923 a Pechino, l’orientalista, teologo e missionario protestante Richard Wilhelm (Stoccarda, 1873 – Tubinga, 1930), amico dei poeti Rabindranath Tagore ed Hermann Hesse, dei filosofi Martin Buber e Carl Gustav Jung, e del missionario luterano in Africa Albert Schweitzer – dopo un lavoro decennale portava a termine la prima traduzione occidentale, in tedesco, dell’antico classico cinese I Ching. Libro dei Mutamenti, probabilmente la migliore traduzione tra quelle in circolazione ancora oggi (almeno stando alla traduzione italiana pubblicata da Adelphi nel 1991). Tra le righe conclusive dell’Introduzione, di Wilhelm stesso, si legge:

La traduzione del Libro dei Mutamenti è stata condotta secondo criteri che sarà bene esporre per facilitare sostanzialmente la lettura. La traduzione del testo è data nella forma più breve e concisa possibile per rendere adeguatamente l’impressione arcaica che si ricava dal cinese. Era quindi tanto più necessario che venisse dato non solo il testo, ma anche un estratto dei più importanti commenti cinesi. Questo estratto è ordinato in modo da permettere il miglior orientamento possibile. Esso contiene una rassegna di ciò che di più importante si è prodotto, da parte cinese, per la comprensione del Libro. Opinioni personali e paragoni con scritti dell’Occidente, spesso molto affini, sono stati ridotti al minimo e sempre segnalati come tali, così che il lettore possa considerare testo e commento come una resa fedele del pensiero cinese. È un punto da sottolineare, perché certi principii coincidono talmente con principii cristiani, da destare spesso addirittura un senso di sorpresa.[1]

Carl Gustav Jung, il celebre psicoanalista, nel 1949 scrisse una prefazione alla edizione inglese dell’I Ching tradotto da Richard Wilhelm; egli, dal suo punto di vista, pose in evidenza i rapporti tra la mente dell’interrogante e il Libro dei Mutamenti.[2]

Si può indicare qualcuna delle analogie tra il Taoismo espresso dall’I Ching da una parte, e il Cristianesimo e l’Ebraismo dall’altra, individuate da Richard Wilhelm stesso:

 

I Ching / Taoismo

Bibbia / Ebraismo e Cristianesimo

«A chi è modesto e mite in posizione elevata, a lui ogni cosa appartiene» (spiegazione della sentenza dell’esagramma 14, Ta Yu, Il Possesso grande) «Beati i mansueti, perché erediteranno (il regno del)la terra» (Gesù; Vangelo secondo Matteo, 5, 5)
«Il grande possesso, per lui [i. e. l'uomo meschino] si risolve in danno perché egli, anziché rinunciare, vuole trattenere» (spiegazione del 9 al terzo posto dell’esagramma 14, Il Possesso grande) «Chi cerca di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà» (Gesù; Vangelo secondo Luca, 17, 33)
«Il nobile riduce ciò che è troppo e aumenta ciò che è poco. Egli pondera le cose e le rende eque» (testo dell’Immagine dell’esagramma 15, Ch’ien, La Modestia) «Tutte le valli siano innalzate e tutte le montagne e le colline siano abbassate; ciò che è accidentato diventi piano, ciò che è scosceso diventi liscio» (Isaia, 40, 4);

«Chi si innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato» (Gesù; Vangelo secondo Matteo, 25, 12);

«Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (Lettera di Giacomo, 4, 6).

«In questo esagramma [il n. 33, Tun, La Ritirata] trova espressione un’idea simile a quella contenuta nelle parole di Gesù: “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio” (Matteo, 5, 39)».
«Siccome vuole ciò che è giusto, ed è determinato nella sua volontà, raggiunge la sua meta» (spiegazione del 6 al secondo posto nell’esagramma 33, La Ritirata, che dice: «Egli lo vincola con giallo cuoio di bue; nessuno è in grado di strapparlo»). «È qui accennata un’idea simile a quella della lotta notturna di Giacobbe con Dio a Penuel: “Io non ti lascerò se prima non mi avrai benedetto” (Genesi, 32, 23 ss.)»
«Un re si avvicina alla propria casata. Non temete. Salute».

Testo del 9 al quinto posto nell’esagramma 37, Chia Jên, La Casata. Wilhelm spiega: «Un re è l’immagine di un uomo paterno, ricco nell’animo. Egli non agisce in modo che si debba temerlo, anzi tutta la famiglia può avere fiducia, perché nei rapporti reciproci regna l’amore», e aggiunge in nota:

«Nell’amore non vi è timore» (I lettera di Giovanni, 4, 18).
«…Si adoperino pure due ciotoline per il sacrificio» (fine della Sentenza dell’esagramma 41, Sun, La Diminuzione). Wilhelm spiega: «Davanti a Dio non occorrono false apparenze. I sentimenti del cuore si possono manifestare anche con mezzi modesti»; e, in nota: «Cfr. l’episodio ["la parabola" nella trad. it. cit.] evangelico dell’obolo della vedova (Luca, 21, 1 ss.)». «Alzàti gli occhi, Gesù vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro [del tempio].Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli, e disse: “In verità vi dico: questa vedova povera ha messo più di tutti; tutti costoro, infatti, hanno deposto come offerta del loro superfluo, lei invece, nella sua miseria, ha dato quanto aveva per vivere.”» (Vangelo secondo Luca, 21, 1 ss.)

 

Oltre a questi esempi, altre concordanze sono riscontrabili anche da parte del lettore che conosca a sufficienza la Bibbia, come nei casi seguenti da parte di chi scrive:

 

I Ching / Taoismo

Bibbia / Ebraismo e Cristianesimo

«Si finisce nella buca. [Ma] Ecco che arrivano tre ospiti non invitati. Onorali, e alla fine viene salute» (ultima linea dell’esagramma 5, Hsü, L’Attesa-Il Nutrimento) «Abramo alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra [...], prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr’egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: “Dov’è Sara, tua moglie?”. Rispose: “È là nella tenda”. Il Signore riprese: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: “Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!”. Ma il Signore disse ad Abramo: “Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio”.» (Genesi, 18, 2 ss).
«Per l’abbondanza del cuore, la bocca parla» (Wilhelm, sul 6 al secondo posto nell’esagramma 15, Ch’ien, La Modestia) «L’uomo buono trae il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo, dal suo cattivo tesoro trae il male; poiché la bocca parla traendo dalla pienezza del cuore» (Gesù; Vangelo secondo Luca, 6, 45).
«Il nobile, al tempo del crepuscolo, rincasa per ristorarsi e riposare» (dall’ Immagine dell’esagramma 17, Sui, Il Seguire). Wilhelm commenta citando Goethe: «È giorno ancora, si muova alacre l’uomo; vien poi la notte, ed ogni oprare è vano» (Goethe, Divano occidentale-orientale, Libro delle Sentenze, v. 30 ss.). «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo, ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce» (Gesù; Vangelo secondo Giovanni, 11, 9-10).
«Chi si accompagna all’uomo forte perde il ragazzino. Seguendo si trova ciò che si cerca» (spiegazione del 6 al terzo posto dell’esagramma 17, Il Seguire) «Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma, divenuto adulto, ciò che era da bambino l’ho abbandonato» (san Paolo, I lettera ai Corinzi, 13, 11).
«All’ignobile va in frantumi la casa» (spiegazione del 9 al sesto posto dell’esagramma 23, Po, La Frantumazione). Wilhelm commenta: «Il male finisce, nelle sue estreme conseguenze, con l’annientare se stesso, poiché dovendo la sua esistenza soltanto alla negazione, non può sussistere di per sé». «Il diavolo è stato omicida fin dal principio, e non ha perseverato nella verità perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla di ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna» (Gesù; Vangelo secondo Giovanni, 8, 44).

(Cfr. la frase con cui, nel Faust di Goethe, si presenta il demonio Mefistofele: «Io sono lo spirito che sempre nega»).

«Il sette è il numero della luce giovane [...] il sei è il numero delle grandi tenebre» (commento alla Sentenza dell’esagramma 24, Fu, Il Ritorno, che include inoltre la frase «Al settimo giorno viene il ritorno»). La menorah, il candelabro ebraico simbolo della luce di Dio, ha sette rami con sette luci; nell’Antico Testamento (Zaccaria, 3, 9) e nel Nuovo Testamento (Apocalisse, 1, 12), si trova la metafora dei «sette occhi del Signore»; Gesù, che è giovane e «luce vera» (Giovanni, 1, 9) muore e risorge (il massimo ritorno!) il settimo giorno. Viceversa, nell’Apocalisse il 666 è il numero dell’Anticristo e della sua Bestia che traviano l’Umanità più gravemente che mai perché alle soglie della fine del mondo, quindi un tempo di «grandi tenebre» moltiplicate.
«La luce si è immersa nella terra: l’immagine dell’ottenebramento della luce. Così il nobile vive tra la grande moltitudine: egli vela il suo splendore, pur rimanendo chiaro» (l’Immagine dell’esagramma 36, Ming I, L’Ottenebramento della Luce). «La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta [ma anche: «non l'hanno coperta, sopraffatta»]. È venuta nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo, eppure il mondo non la riconobbe» (Vangelo secondo Giovanni, 1, 5; 9-10).
«Ella [la donna] è la dovizia della casa. Grande salute!» (spiegazione del 6 al quarto posto dell’esagramma 37, Chia Jên, La Casata). «Una donna perfetta: chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Essa gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Ella è simile alle navi di un mercante, fa venire da lontano le provviste. Si alza quando ancora è notte, prepara il cibo alla sua famiglia e dà ordini alle sue domestiche. Pensa ad un campo e lo compra, e con il frutto delle sue mani pianta una vigna. Si cinge con energia i fianchi e spiega la forza delle sue braccia. È soddisfatta, perché il suo traffico va bene, neppure di notte si spegne la sua lucerna. Stende la sua mano alla conocchia e mena il fuso con le dita. Apre le sue mani al misero, stende la mano al povero. Non teme la neve per la sua famiglia, perché tutti i suoi di casa hanno doppia veste. Si fa delle coperte, di lino e di porpora sono le sue vesti. Suo marito è stimato alle porte della città, dove siede con gli anziani del paese. Confeziona tele di lino e le vende e fornisce cinture al mercante. Forza e decoro sono il suo vestito, e se la ride dell’avvenire. Apre la bocca con saggezza, e sulla sua lingua c’è dottrina di bontà. Sorveglia l’andamento della casa; il pane che mangia non è frutto di pigrizia. I suoi figli sorgono a proclamarla beata, e suo marito a farne l’elogio: “Molte figlie hanno compiuto cose eccellenti, ma tu le hai superate tutte!”. Fallace è la grazia e vana è la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Datele del frutto delle sue mani, e le sue stesse opere la lodino alle porte della città».

(Proverbi, 31, 10 ss.).

«Se smarrisci il tuo cavallo, non rincorrerlo: tornerà da sé» (spiegazione della prima linea dell’esagramma 38, K’uei, La Contrapposizione) «Getta il tuo pane sulle acque, perché con il tempo lo ritroverai. [...] Chi bada al vento non semina mai, e chi osserva le nuvole non miete» (Qohelet, 11, 1-4).

 

Particolarmente interessante è infine il caso dell’esagramma 46, Shêng, L’Ascendere, che letteralmente “anticipa” l’esagramma 25 di cui stiamo per occuparci:

 

I Ching / Taoismo

Bibbia / Giudaismo e Cristianesimo

Se consideriamo come mutanti tutte e sei le linee dell’esagramma 46 e sommiamo il loro valore dal basso verso l’alto:

6+9+9+6+6+6

otteniamo il totale di 41. Nella Bibbia, Mosè ascese alla vetta del monte Sinai durante 40 giorni di digiuno, alla fine dei quali, il quarantunesimo giorno, udì la voce di Dio «nella nube oscura»; la prima parte della spiegazione dell’ultima linea dell’esagramma 46, grazie alla quale è possibile il risultato di 41, dice: «Ascendere nel buio».

Inoltre, se – passando dall’ipotesi al caso concreto – tutte e sei le linee dell’esagramma 46 mutano, l’intero esagramma si trasforma esattamente nell’esagramma 25, Wu Wang, L’Innocenza, che come stiamo per vedere risulterà legatissimo alla figura di Gesù Cristo, così che l’ascesa di Mosè per ricevere la Legge di Dio per il popolo ebraico, si rivela l’anticipazione e la condizione necessaria per la seguente discesa di Gesù che diffonde la Legge di Dio in tutto il mondo.

A sua volta, Gesù percorse il deserto per quaranta giorni – nel suo caso fu un’ascesa interiore, anziché sulle balze di una montagna – e il quarantunesimo giorno fu tentato dal diavolo. In parallelo, l’ultima linea dell’esagramma 46 è spiegata, nella sua seconda parte, con la frase: «Propizio è essere incessantemente perseveranti».

Mosè:

Esodo, capitoli 19 e 32;

Deuteronomio, 9, 9-29: «Quando io [Mosè] salii sul monte a prendere le tavole di pietra, le tavole dell’alleanza che il Signore aveva stabilita con voi, rimasi sul monte quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane né bere acqua; il Signore mi diede le due tavole di pietra, scritte dal dito di Dio, sulle quali stavano tutte le parole che il Signore vi aveva dette sul monte, in mezzo al fuoco, il giorno dell’assemblea. Alla fine dei quaranta giorni e delle quaranta notti, il Signore mi diede le due tavole di pietra, le tavole dell’alleanza. Poi il Signore mi disse: “Scendi in fretta di qui, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dall’Egitto, si è traviato; presto si sono allontanati dalla via che io avevo loro indicata: si sono fatti un idolo di metallo fuso”. Il Signore mi aggiunse: “Io ho visto questo popolo; ecco, è un popolo di dura cervice; lasciami fare; io li distruggerò e cancellerò il loro nome sotto i cieli e farò di te una nazione più potente e più grande di loro”. Così io mi volsi e scesi dal monte, dal monte tutto in fiamme, tenendo nelle mani le due tavole dell’alleanza. Guardai ed ecco, avevate peccato contro il Signore vostro Dio; vi eravate fatto un vitello di metallo fuso; avevate ben presto lasciato la via che il Signore vi aveva imposta. Allora afferrai le due tavole, le gettai con le mie mani e le spezzai sotto i vostri occhi. Poi mi prostrai davanti al Signore, come avevo fatto la prima volta, per quaranta giorni e per quaranta notti; non mangiai pane né bevvi acqua, a causa del gran peccato che avevate commesso, facendo ciò che è male agli occhi del Signore per provocarlo. Io avevo paura di fronte all’ira e al furore di cui il Signore era acceso contro di voi, al punto di volervi distruggere. Ma il Signore mi esaudì anche quella volta. Anche contro Aronne il Signore si era fortemente adirato, al punto di volerlo far perire; io pregai in quell’occasione anche per Aronne. Poi presi l’oggetto del vostro peccato, il vitello che avevate fatto, lo bruciai nel fuoco, lo feci a pezzi, frantumandolo finché fosse ridotto in polvere, e buttai quella polvere nel torrente che scende dal monte. [...] Io stetti prostrato davanti al Signore, quei quaranta giorni e quelle quaranta notti, perché il Signore aveva minacciato di distruggervi. Pregai il Signore e dissi: “Signore Dio, non distruggere il tuo popolo, la tua eredità, che hai riscattato nella tua grandezza, che hai fatto uscire dall’Egitto con mano potente.”». (Vedi anche Deuteronomio 10, 1-5 per quanto riguarda la ricezione delle nuove tavole della Legge).

Gesù:

• «Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti  sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo». Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto». Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano» (Vangelo secondo Matteo, 4, 1-11).

 

FINE PRIMA PARTE

 

SECONDA PARTE

I – Si era nel dicembre del 2008 quando mi accorsi delle prime analogie con la figura di Gesù Cristo implicite nell’esagramma 25, Wu Wang, L’Innocenza, che risulta composto dai due trigrammi Ch’ien, il Creativo, il Cielo, il Padre, la Luce (tutte qualità di Dio), e Chên, il Tuono, il Primogenito, il Giovane, «il segno in cui Dio si manifesta». .Il simbolismo di quest’ultimo trigramma è ben rappresentato nell’omonimo esagramma 51, Chên, l’Eccitante (il Tuono, lo Scuotimento), che è appunto il raddoppiamento di questo trigramma e «significa l’apparire di Dio, il risveglio della forza vitale».[3] L’esagramma 25, infatti, è descritto così dalla sua stessa Immagine:

Sotto il cielo passa il tuono: tutte le cose acquistano lo stato naturale dell’innocenza.

Così gli antichi re curavano e nutrivano, ricchi di virtù e in armonia con il tempo, tutti gli esseri.

 

Tutte queste qualità ben si attagliano alla figura di Gesù Cristo: anch’egli “passava sotto il cielo” curando gli infermi e beneficando ai poveri, ma anche «parlando le parole del Padre»,[4] il Quale, secondo la Bibbia, ha voce come di tuono (cfr. Esodo, 19, 16-19; Apocalisse, 10, 3-4), ed «insegnando come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Matteo, 7, 28-29). Gesù che soprannominò «figli del tuono» due dei suoi apostoli, i fratelli Giacomo e Giovanni. Di costoro, Giovanni anni dopo scrisse – o fece scrivere – che, nel momento in cui il suo Maestro entrava in Gerusalemme,

 

venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e ancora lo glorificherò». La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato».[5]

 

Va notata anche la coincidenza, almeno apparente, nella somiglianza tra i nomi dei due esagrammi; cosa però che necessiterebbe della competenza di un sinologo che ne conosca l’esatta pronuncia, e tenendo conto del fatto che tale apparente similarità si ha nella traslitterazione wade dall’alfabeto cinese a quello latino – che è quella seguita da Wilhelm e dalla traduzione italiana di cui ci si sta servendo – ma si perde nella traslitterazione pinyin, con la quale, anziché Ch’ien e Chên, i due nomi si ottengono traslitterati rispettivamente come Qian e Zhen.

Come accennato precedentemente, in ogni esagramma dell’I Ching la quinta linea partendo dal basso è sempre «il posto del sovrano», «il luogo del re», «il signore del segno». Nel caso dell’esagramma 25, L’Innocenza, il testo relativo al mutamento della quinta linea (9 al quinto posto) dice:

 

In caso di malattia senza colpa non adoperare farmaci. Passerà da sé.

 

e – parafrasa efficacemente Wilhelm –

 

la linea è per natura immune da malattie, ma la sua naturale tendenza a prendere su di sé le malattie degli altri è dovuta alla sua posizione centrale, conforme, dominante.[6]

 

Il parallelismo con il ruolo di Redentore innocente di Gesù Cristo è evidente:

 

«Egli si è caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i nostri dolori, è stato trafitto per i nostri delitti e schiacciato a causa delle nostre iniquità» (Isaia, 53, 4-5);

«Pur essendo di natura divina, uguale a Dio, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, e umiliò se stesso fino alla morte in croce» (san Paolo, Lettera ai Filippesi, 2, 6-8);

«Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri [cioè del popolo ebraico], ma anche per quelli di tutto il mondo» (I Lettera di Giovanni, 2, 2).

 

Anche ciascuno dei tre attributi caratteristici della posizione della quinta linea può essere collegato a tre precise qualità di Cristo:

 

Centrale

in quanto seconda Persona della Trinità di Dio «Io sono nel Padre, e voi in me, e io in voi» (Vangelo secondo Giovanni, 14, 20); «[Gesù] Centro nel cuore di un sistema di  centri» (Pierre Teilhard de Chardin, Il Fenomeno umano, tr. it. Brescia, 1995, p. 244).

Conforme

in quanto conforme alla volontà di Dio «Padre, se è possibile, passi lontano da me questo calice; ma sia fatta la tua volontà, non la mia» (Vangelo secondo Luca, 22, 42).

Dominante

in quanto unico Maestro (nella sua natura umana) e unico Signore (nella sua natura divina) «Io Sono» (Vangelo secondo Giovanni, 8, 58; cfr. con Esodo, 3, 14); «Tu mi hai dato potere sopra ogni essere umano» (Giovanni, 17, 2); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Vangelo secondo Matteo, 28, 18).

 

È rilevante che, quando la stessa quinta linea – il «signore del segno» – muta, l’esagramma 25 si trasforma nell’esagramma 21, Shih Ho, Il Morso che spezza, che rappresenta la Legge che vince sui «turbamenti della convivenza armoniosa provocati da criminali e calunniatori», poiché «l’unità non si può stabilire là dove è sempre compromessa da delatori e traditori, da qualcuno che ostacola e impedisce».[7] Tutto ciò non può non far pensare alla sconfitta del Maligno da parte di Cristo stesso, tanto più che il termine «calunniatore» potrebbe essere benissimo tradotto in greco con «diàbolos» (da cui il nostro «diavolo»), colui che calunnia e ostacola, l’avversario/nemico (in ebraico satan).

Alla luce di tutto questo, è come se il trigramma Chên, che può rappresentare Cristo, si riassumesse tutto nella linea (seconda e centrale dell’esagramma superiore) di Ch’ien (Dio Padre), così che Chên risulta analogo a Gesù Cristo quale uomo storico, mentre la quinta linea di Ch’ien ha il ruolo della Persona divina (Dio Figlio) della Trinità di Dio.

 

II – Quasi un anno dopo, a ottobre del 2009, avrei scoperto altri sorprendenti parallelismi (forse molto più di casuali analogie). Leggendo il numero della rivista “Confronti – Quaderni” del passato settembre 2008, a pagina 25 m’imbattei in quanto segue:

 

Re (Wang), scritto con tre tratti orizzontali che rappresentano, secondo gli etimologi, il Cielo, l’Uomo e la Terra, uniti da un tratto verticale individuato come il re, colui che ha il compito di unire i tre livelli. Compito del sovrano era infatti quello di trasmettere la volontà celeste, di cui egli stesso era il portatore, e spettava a lui solo presiedere il sacrificio al Cielo e alla Terra. Il sovrano doveva essere un modello di virtù per svolgere le sue funzioni regali.[8]

 

La parola cinese wang, «re», è dunque molto simile al trigramma superiore (Ch’ien, il Creativo, il Padre, il Cielo) dell’esagramma 25 dell’ I Ching, e questo esagramma è l’unico, in tutto il Libro dei Mutamenti, a includere nel proprio nome la parola wang (re). In questo senso, l’esagramma si può leggere ancora come una sorta di sorprendente sintesi: l’Innocente, il Re, il Sacrificio e la Legge riuniti tutti in una sola figura di persona, che sarebbe il Cristo.

Vale la pena di considerare anche i suggerimenti offerti dall’aspetto grafico e geometrico del segno. La parola wang assomiglia molto, oltre che al trigramma cinese Ch’ien, al simbolo egizio della Colonna Zed, interpretato come Asse del Mondo e del Tempo, colonna vertebrale di Osiride (dio del mondo terreno e ultraterreno, raffigurato di colore verde, come il verdastro dei cadaveri ma anche come la Natura fertile), segno dell’equilibrio cosmico incarnato e garantito sulla terra dal Faraone regnante, e per questo – forse – struttura centrale, e nascosta, della Grande Piramide di Cheope nella piana di Giza. A sua volta, lo Zed e la parola wang sono simili alla croce cristiana, sia greca (cioè con entrambi i bracci di eguale lunghezza) sia latina (cioè con il braccio verticale più lungo di quello orizzontale. La parola cinese è composta infatti dal tratto verticale (in greco stauron, in latino stipes, da cui il nostro «stipite» e il romeno tepes, «palo»), che attraversa tre tratti orizzontali che possono essere collegati ai tre elementi orizzontali della croce:

 

 cartello con il titulus «Gesù Nazareno Re dei Giudei»;

il patibulum, braccio orizzontale della croce, per inchiodare le braccia;

 

la tavoletta cui erano talvolta inchiodati i piedi del condannato, in modo da piegare le ginocchia e allungare così il tempo del supplizio.

 

 

 

 

La croce con il condannato Gesù Cristo, Re Innocente, è leggibile anch’essa come una “colonna regale” anche senza un confronto obbligato con il segno cinese wang:

 

 

 

(immagine: particolare da Andrea Mantegna, Crocifissione, 1457, Parigi, Louvre)

 

Punto spaziale

 

Realtà cosmica

 

Realtà anatomica

 

Apice

Cielo

Testa

Centro

Uomo

Cuore

Base

Terra

Arti

 

Con un’operazione originale, il Crocifisso si può persino stilizzare e geometrizzare: ponendolo su un ipotetico piano orizzontale, unendo le parti anatomiche indicate come nella tabella sopra, e introducendo il movimento verso l’alto, esso si “trasforma” in una sorta di struttura a tenda o, meglio, a piramide, una “casa regale”. Nell’antica lingua egizia, «grande casata» si diceva pher’ao, da cui deriva il termine «faraone», che designa appunto l’uomo che è allo stesso tempo Re (in cinese wang), Dio e Legge cosmica perenne. Per questo, anche la piramide può accostarsi, in senso lato, al tempio quale casa del Dio; nel Cristianesimo, Gesù Cristo è unico Re e definitivo Sacerdote tra l’Umanità e Dio; e la «casa di Davide», annunciata nell’Antico Testamento, si concretizzò infatti sia nello spazio, nella costruzione del Tempio del re Salomone (figlio di Davide), sia nel tempo, nella discendenza di Gesù proprio da parte di uno dei molti rami della stirpe di Davide (cfr. I Libro di Samuele, cap. 7; I Libro delle Cronache, cap. 7; Lettera agli Ebrei, 3, 4-6).

La struttura geometrica che risulta dallo sviluppo verticale del Crocifisso posto in posizione orizzontale è quindi quella indicata nella tabella seguente. La “costruzione” di tale struttura è dovuta essenzialmente a tre fasi: Convergenza (A), Centratura (B), e Vettorialità (C), che avvengono in ordine cronologico e, dal punto di vista spaziale, implicano un movimento coestensivo dal basso verso l’alto (come lo sviluppo degli esagrammi dell’I Ching, ma anche come l’evoluzione naturale degli esseri senzienti, dall’Anfibio strisciante alla stazione eretta propria dell’Uomo) e restano corrispondenti alle realtà spaziali e anatomiche considerate:

 

 

Vettorialità

(C)

Apice

Cielo

Testa

Centratura

(B)

Centro

Uomo

Cuore

Convergenza

(A)

Base

Terra

Arti

 

In questo modo si nota ancora che il movimento ascendente è lo stesso movimento dell’intera evoluzione del cosmo verso una meta alta, il «Punto Omega» presentato da Pierre Teilhard de Chardin, per il quale il Motore Primo e la Meta Ultima di tutto l’Universo sono proprio lo stesso Gesù Cristo, insieme Dio coestensivo all’universo e vero uomo storico. Si nota anche, anzi soprattutto, che il punto cui convergono i quattro punti base, e dal quale l’elevazione inizia, è il cuore/centro e non la testa/apice (che in questa struttura assonometrica diventa infatti uno dei quattro punti base), in sintonia con le metafore poetiche di molte culture umane passate e presenti, in parallelo ad alcuni moderni indirizzi scientifici secondo i quali il motore principale di ogni azione umana risiede nel suo patrimonio emotivo-sentimentale, più che in quello puramente razionale e cognitivo, e ad alcune ipotesi secondo le quali il cuore sarebbe dotato di un proprio sistema nervoso autonomo da quello del cervello, e addirittura di un proprio campo magnetico…!

Si possono citare ancora due parallelismi (ma forse più che semplici parallelismi!). Il ricorrere della centralità dell’Uomo tra la Terra e il Cielo, e del cuore tra gli arti e la testa, ricorda questa frase tratta dall’appassionato discorso che il personaggio di Maria rivolge agli operai-schiavi nel romanzo Metropolis, scritto nel 1912 da Thea von Harbou (moglie del regista Fritz Lang, che ne trarrà il famoso film espressionista del 1926):

 

Il Cervello e le Mani hanno bisogno di un mediatore.

Il Mediatore tra il Cervello e le Mani deve essere il Cuore.[9]

 

Frase riferita alla costruzione della Torre di Babele – e in generale alla costruzione di ogni monumento grandioso della storia umana – ma quanto più valida se relativa alla “costruzione” dell’individuo umano…! Frase che si trova, nel romanzo, al capitolo 5; il numero 5 – altro parallelismo – numero chiave nella comprensione e nell’attuazione delle attività “paranormali” da parte del famoso sensitivo torinese Gustavo Adolfo Rol, che in molte delle sue sedute si concentrava ripetendo a se stesso «Je suis le numéro cinq» (io sono il numero cinque).[10] Forse e soprattutto perché, come egli scrisse nel suo diario nel 1927 a Parigi, aveva «scoperto una tremenda legge che unisce il colore verde, la quinta musicale ed il calore». Compare il ruolo… centrale del colore verde, che a sua volta, nello spazio, è letteralmente centrale tra la terra e il cielo, proprio come l’Uomo stesso e come Gesù Cristo tra l’Umanità e Dio; santa Ildegarda di Bingen, nel XII secolo, figura eccezionale di donna medievale, scrisse che l’Universo, che è in Cristo il quale è in Dio, è creato, conservato e avviato in evoluzione da Dio attraverso tre forze: la vis (energia), la virtus (potenza positiva) e – singolarmente – la viriditas, cioè «l’eterno verde germogliare del Cosmo».[11]

 

III – Un altro collegamento, successivo e inaspettato, tra l’esagramma 25 e la figura di Gesù Cristo è quello che ho poi potuto congetturare alla fine dell’estate del 2010, imbattendomi in questa tabella esemplificativa (da me copiata) della scrittura ideografica cinese nei suoi caratteri antichi e moderni, a p. 134 del volume XI dell’Enciclopedia Universo (Novara, De Agostini, 1962), alla voce “Scrittura”:

 

 

Come si vede, sia nell’ideogramma antico, sia in quello moderno, per la parola che significa sia «pecora» (yáng) sia «capra» (shānyáng) sono riconoscibili le due corna stilizzate in cima al segno, più marcate in quello antico, nel quale ricordano sia le corna dello stambecco, sia – se prolungate idealmente verso il basso – quelle dell’ariete. Nella forma moderna dell’ideogramma ritroviamo tuttavia le tre righe orizzontali unite dalla riga verticale, che designavano il termine «re» (wang) e che nell’I Ching costituiscono il trigramma Ch’ien (Dio, il Creativo, il Cielo, il Padre) e che è il segno superiore nell’esagramma 25, Wu Wang, L’Innocenza, collegabile – come si è visto – a Cristo Re innocente e alla croce. Ora l’ideogramma cinese per «pecora» e «capra» permette un altro collegamento alla simbologia giudaico-cristiana e quindi alla successiva iconografia cristiana: il Cristo quale «agnello di Dio», portato al sacrificio senza che dalla sua bocca esca un solo lamento (cfr. Isaia, 53, 7), l’agnello trafitto per cancellare i peccati del mondo (cfr. Vangelo secondo Giovanni, 1, 29), e tuttavia risorto e vivente (cfr. Apocalisse, capitoli 5-8, 14, 17, 21-22), e infine anche Agnello mistico, come ricorda il celebre dipinto dei fratelli van Eyck.

Concludo con una ennesima coincidenza riscontrabile tra l’esagramma 25 dell’I Ching, implicante il legame tra Dio Padre/Ch’ien e Dio Figlio/Chên, e il fatto che quest’ultima parte del mio articolo implica a sua volta un rapporto tra padre e figlio. Infatti, fino al mese di maggio del 2010, il volume citato dell’Enciclopedia Universo era uno dei tre volumi finali dell’opera ancora assenti da casa nostra, in quanto nei primi anni ’80 mio padre ne aveva interrotto l’acquisto al volume IX (il nono). Soltanto a maggio del 2010 io avevo imprevedibilmente trovato in un mercatino dell’usato di Torino al confine con Grugliasco, in cui peraltro mettevo piede per la prima volta, la medesima enciclopedia (vecchia di più di quarant’anni, perciò abbastanza rara), completa però di tutti i dodici volumi e invenduta da tempo; anche per questo, uno dei gestori mi aveva lasciato scegliere i volumi mancanti da acquistare a un prezzo simbolico (appunto gli ultimi tre che mancavano a casa nostra). Dopo quasi trent’anni, l’enciclopedia era così completata, e mi permetteva di aggiungere in conclusione questi collegamenti ulteriori riguardo l’esagramma 25 dell’I Ching, grazie a una scoperta inaspettata avvenuta nel mese di maggio, il mese numero 5 del nostro calendario, che moltiplicato per se stesso dà proprio 25.

 

Infine, delle tre fasi in cui le circostanze hanno fatto sì che si realizzasse questa mia ricerca, quella decisiva – la seconda e centrale – si è svolta, come detto, nel 2009: l’anno in cui io stesso avevo 25 anni.

 

Piervittorio Formichetti

 

 

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Fonti per le immagini:

 

• Colonna Zed: parete della Stanza degli Avi del faraone Tutmosi III (XV secolo a. C.), ricostruzione al Louvre, Parigi (da www.gaeword.it).

• Croce ortodossa: Occultismo, mistero e magia, Grandi temi De Agostini, Novara, 1976, p. 11.

• Andrea Mantegna, Crocifissione, 1457, Parigi, Louvre (da www.artleo.it).

• Jan van Eyck e Hubert van Eyck, particolare dal Polittico dell’Agnello mistico, 1426-1432, Gand, cattedrale (da wikipedia.org).

    

 



[1] I Ching. Il Libro dei Mutamenti, a cura di Richard Wilhelm, prefazione di Carl Gustav Jung, Milano, Adelphi, 1991, pp. 50-51.

[2] I Ching. Il Libro dei Mutamenti cit., pp. 15-33.

[3] I Ching. Il Libro dei Mutamenti cit., p. 634.

[4] Vangelo secondo Giovanni, 3, 34, cit. in Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II Sulla divina Rivelazione.

[5] Vangelo secondo Giovanni, 12, 28-29.

[6] I Ching. Il Libro dei Mutamenti cit., pp. 516-517.

[7] I Ching. Il Libro dei Mutamenti cit., p. 130.

[8] Debora MARZI, La natura nel pensiero cinese, “Confronti – Quaderni”, n. 9 / settembre 2008, p. 25. Soltanto trascrivendo mi accorgo che anche la pagina su cui ho letto ciò è appunto la numero 25; si tratta di un altro dettaglio numerologico incredibilmente correlabile con il contenuto delle osservazioni che seguiranno.

[9] Thea VON HARBOU, Metropolis, Roma, Compagnia del Fantastico- Gruppo Newton, 1996, p. 39.

[10] Maurizio TERNAVASIO, Gustavo Rol: la vita, l’uomo, il mistero, Torino, Lindau-L’età dell’Acquario, 2002, p. 71. Soltanto nel cercare il presente riferimento bibliografico, scopro che Rol, anche sul citofono della sua abitazione a Torino, aveva applicato al posto del proprio cognome, la parola «Cinque»: Catterina FERRARI (a cura di), “Io sono la grondaia”. Diari, lettere, riflessioni di Gustavo Adolfo Rol, Firenze, Giunti, 2000, p. 15 (in questo libro, tra le molte parole di Rol citate, si fa anche opportunamente presente che il colore verde – vedi le righe successive di questo saggio – è centrale anche nello spettro cromatico – l’arcobaleno – percepito dall’occhio umano).

[11] Il grande libro dei Santi, a cura di Claudio LEONARDI, Andrea RICCARDI, Gabriella ZARRI, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, vol. II, p. 1112 ss..

LA MITOLOGIA DI CIRCE

La mitologia di Circe

 

La maga Circe è colei che nel mito conduce al mondo dell’oltretomba. E’ questa la mitologia a cui spesso sono legate le antiche religioni. Anche il culto della fertilità può dirsi legato al mondo dell’oltretomba, poiché nella circolarità delle stagioni è sotteso il principio di morte e rinascita ciclici, il cui potere sta in mano alla terra.

Circe in effetti vuol dire ruota, cerchio, circolarità della vita. Nel buddismo c’è la ruota del samsara o ruota dell’esistenza intesa come prima e dopo la vita. Gli etruschi parlano di pre – vita e di post – vita. Circe appartiene ad una religione precedente a quella di Ulisse, in cui si conosceva il mondo prima e dopo la vita ovvero l’oltre vita.

Il neolitico è l’epoca della grande madre, perché è l’epoca dell’agricoltura, quando comanda la donna, mentre l’uomo si dedica alla caccia. In questo periodo nasce la dea madre che, inizialmente, è un animale. Narrandola in questo modo la dea madre non rappresenta un fatto etico religioso innato nell’uomo, ma è un  fatto culturale, prodotto di una epoca. Questa è una prospettiva assolutamente diversa da quella evidenziata da Maria Gimbutas e dai suoi seguaci, in  quanto si basa  su una serie di eventi storici o protostorici, e non su un innato sentire religioso. Ciò che l’uomo trova in se stesso attraverso l’ascolto della propria spiritualità non sarebbe pertanto un sentimento religioso innato, ma la consapevolezza di uno sedimento antico della propria filogenesi e della propria storia.

E cosa ci dice Circe rispetto a questo? Lei parla della trasformazione dei maschi umani in animali. Circe è legata alle stagioni e alla fertilità. Ma è anche legata all’astronomia quindi alla circolarità della comparsa degli astri nella volta celeste. E’ colei che compie il passaggio dalla religiosità di natura femminile, costituita da dee e sacerdotesse, fino alla religiosità di tipo maschile, trasformando il maschio in animale sacro.

Cibele, la maga Circe, e alcuni culti femminili italici

Virgilio nell’Eneide descrive la maga Circe come una seduttrice, una femme fatale. E’ possibile che il luogo natio della maga Circe sia il monte Circello, il quale forse prese il nome dalla maga seduttrice. Anticamente è possibile che il monte Circello fosse un’isola, quell’isola di Eea (anche se altre ipotesi dicono rispondente forse all’odierna isola di Zannone), lontana,  descritta nel libro X dell’Odissea, come assai distante da qualsiasi continente. Quel monte probabilmente era il luogo nel quale abitava la maga Circe, un monte attualmente collegato al continente e posto all’interno dell’odierno promontorio, nel quale si trova il monte Circello.

Nel settimo libro dell’Eneide, Virgilio parla di Circe e le sue scritture fanno riflettere anche sulla antica madre Cibele, il cui culto è diffuso in molte zone della penisola italiana. Come ad esempio testimonia il pozzo chiamato La magna madre, che è il pozzo più vecchio di Roma. Omero e Virgilio descrivono entrambi la maga Circe, ma in maniera differente, Virgilio, nell’Eneide, scrive che gli uomini vengono da lei trasformati in varie specie animali, nell’Odissea Omero narra invece che tutti i compagni di Ulisse vengono trasformati in porci. La dea Cibele è simile, per tante definizioni date dai due antichi narratori, alla dea Circe, ma assai distante geograficamente e culturalmente dalla terra nella quale si narrano storie della maga Circe.

La dea Cibele è originaria molto probabilmente della penisola anatolica, come gli etruschi, originari anch’essi di quella terra. I veneti, provenienti dalla Siria, che si trovano a vivere nell’Anatolia durante la guerra tra Troia e la Grecia, offrendo un improvvisato aiuto ai troiani nell’ultima parte della guerra, passato quel breve momento che termina con la conquista di Troia da parte dei greci, vengono lasciati liberi di continuare il loro viaggio che li porterà a spostarsi fino a giungere nella penisola italiana, come narrato nel mito degli Argonauti. Anche constatando la lontananza geografica e culturale tra i popoli che professano le religioni delle due deità, si associa forse una comune origine tra la dea madre definita Cibele e la maga Circe, entrambi forse hanno l’antico ruolo di signore degli animali e appartengono all’epoca pre-neolitica, nella quale venivano praticate la caccia e la raccolta, un epoca dove la caccia veniva praticata dai maschi e la raccolta dalle femmine ed il fatto che entrambi le donne mitiche non fossero sposate sottolinea che non dipendessero da famiglie e uomini, ma appartenessero alla sfera sacerdotale.

Nel mito di Circe narrato da Omero, all’interno del decimo canto dell’Odissea, si racconta che, nell’isola Eea, a guardia delle case della maga Circe, figlia del sole, c’erano lupi montani dalle forti unghie e leoni, che grazie ai filtri maligni dati loro erano scodinzolanti come docili cani di fronte al gruppo dei marinai, che si erano avventurati nella remota isola immersa nel mare e distante assai dalle altre terre. Circe trasforma i compagni di Ulisse in porci con un filtro, mentre egli viene protetto dal farmaco procuratogli da Ermete e ricavato da una pianta dalle nere e solide radici e dai fiori bianchi come il latte. Così protetto dall’antidoto, nulla possono il beverone ed il farmaco offerti da Circe ad Ulisse.

I leoni sono anche gli animali sacri della grande madre mediorientale Cibele, importata nell’antichità a Roma e  decantata nel capitolo settimo o dodicesimo dei canti di Ovidio. Ella, nata nel monte Ida, viene definita “grande idea”, cioè “dea di Ida”, dal cantore Ovidio. Gli animali selvatici sono quelli che la hanno allattata su quel monte e lei probabilmente riveste il ruolo, nella cultura classica, di “signora degli animali”, cioè la dea delle società pre-neolitiche, prima dell’avvento dell’agricoltura, che probabilmente nasce a causa del veloce surriscaldamento terrestre che distingue la  post-epoca glaciale del Riss-Wurm, iniziata circa diecimila anni fa.

La maga Circe è colei che nel mito conduce al mondo dell’oltretomba. E’ a questa mitologia che spesso sono legate le antiche religioni. Come abbiamo già visto, anche il culto della fertilità può dirsi legato al mondo dell’oltretomba, poiché nella circolarità delle stagioni è sotteso il principio di morte e rinascita ciclici, il cui potere sta in mano alla terra.

Circe inoltre nutre l’ospite con cibi quali il miele la farina d’orzo e il formaggio, che sono cibi che si ritrovano anche tra le divinità femminili  etrusche e venete, e lo disseta con vino. Questo è il cibo di cui nutre Ulisse quando esercita i propri poteri magici, se poi guardiamo alle fasi successive del racconto, essa offre abbondante carne ad Ulisse ed ai suoi compagni, invitandoli addirittura a sacrificare, sgozzandoli, i migliori animali. Ma in questa fase è concluso l’effetto del farmaco e i porci son tornati uomini, è una Circe già passata ai culti religiosi maschili, legati alla cacciagione.

A casa di Circe lavorano come domestiche quattro ancelle, nate da fonti, da boschi e da fiumi sacri, esse preparano il cibo e lavano gli ospiti con acqua bollita, molto somigliano alle divinità femminili etrusche e venete.

Infine Circe conduce all’Ade, lungo un viaggio che solo lei può propiziare attraverso i profondi gorghi di Oceano, prima che Ulisse possa rientrare a casa. Così come le suddette divinità compiono ciclici e simbolici passaggi al mondo dell’oltretomba attraverso sorgenti d’acqua  ed anfratti nascosti tra fitti boschi.

In Virgilio si dice che Circe trasformasse gli uomini in vari animali, leoni, orsi, lupi, porci, nell’Odissea si narra invece che tutti i compagni di Ulisse siano stati trasformati in porci. Nel libro settimo dell’Eneide, in cui Virgilio narra di Circe, si parla dell’ <<antica madre>> Cibele, il cui culto, proveniente dall’Anatolia, è diffuso in varie zone d’Italia. Cibele era una divinità Vergine, non nel senso che rinunciasse all’accoppiamento, ma perché non era sottoposta all’uomo. Questo è il senso antico del concetto di “vergine”, diffuso nell’area asiatica e mediterranea. Virgo appartiene alla casta delle sacerdotesse, non appartiene ad alcune famiglia, nemmeno a quella dominante. Le famiglie sono di carattere maschile (dea della caccia).

Note sulla Grande Madre

Il legame tra il culto di San Michele Arcangelo e il culto della “Grande Madre”.

Il culto di San Michele Arcangelo è sempre localizzato in ambiti in cui è necessario opprimere presenze e credenze pagane. E’ altresì un culto legato al potere catartico delle acque, come San Giovanni Battista, che battezzò Gesù Cristo con l’acqua, cui egli rispose che come Giovanni avrebbe battezzato con l’acqua, egli avrebbe battezzato con lo spirito.

L’Arcangelo Michele è molto vicino a San Giovanni Battista, colui che battezza con l’acqua il figlio di Dio e che annuncia la nascita di Cristo. Anche l’Arcangelo Michele è estremamente collegato con le acque sacre e pure lui annuncia la nascita del Salvatore. San Michele Arcangelo è un santo escatologico e catarchico, per questo è collegato alle acque, che nel simbolismo cristiano ed ebraico sono sia acque punitivo-escatologiche, che acque catarchiche e quindi di salvezza. I due opposti, la morte terrena e la vita eterna, in San Michele Arcangelo si toccano profondamente.

Al di la del forte legame con il simbolismo delle acque, molto evidente nell’iconografia, nell’architettura sacra e negli scritti religiosi su San Michele Arcangelo, è potente la presenza del santo anche in luoghi di morte e rinascita, infatti il suo legame con le acque è potente proprio per questo motivo, un motivo legato alla caratterizzazione di San Michele Arcangelo a quella che è la sua missione, essere l’elemento primario dell’apocalisse. lnfatti lo troviamo come personaggio fondamentale nell’Apocalisse di San Giovanni e a questo proposito, anche nel comune dell’Aquila, ad Amiternum, nella chiesa dedicata appunto a San Michele Arcangelo, la quale fu eretta nel VI secolo, sopra alcune catacombe paleo-cristiane. Per un motivo analogo, nella Basilica di San Apollinare in Classe a Ravenna eretta nel 546 d. C. il celeberrimo abside presenta le figure a mosaico degli Arcangeli Gabriele e Michele a protezione della cristianità contro il culto Ariano; dove ora vi è la Basilica, precedentemente gli ariani avevano il proprio luogo di culto.

Questo lega molto il Santo Arcangelo Michele alla Dea Madre, anch’essa, come il Santo dell’apocalisse e dell’escatologica catartica salvezza, era suddivisa nei culti preistorici addirittura precedenti al neolitico in tre sotto-divinità, la divinità della nascita, la divinità della vita e la divinità della morte. Sia San Michele Arcangelo che la Grande Madre sono i primi battezzatori dell’umanità e le prime figure escatologico-catarchiche. Le tre moire della mitologia greca si rifanno appunto a queste tre divinità che nate probabilmente in un periodo ancora precedente a quello della grande Madre, di cui già si nota l’esistenza nelle immagini religiose di 15ooo anni fa, si trasformarono in personaggi divini che costituivano l’identità monoteista della Grande Madre.

Il culto di San Michele Arcangelo è possibile che abbia trovato diffusione nelle aree della penisola occupate dai Longobardi nel periodo a partire dal 500 d.C. I Longobardi dapprima erano pagani, poi divennero cristiani.

A Novi di Modena per esempio vi è una Pieve romanica del XII sec. dedicata a San Michele Arcangelo, che sorge sopra una pieve preromanica del IX sec. (gli absidi sono sovrapposti) dedicata a Santa Maria Maddalena. In un terzo tempo, nel XVI sec. fu costruita e sovrapposta una nuova pieve dedicata sempre a San Michele Arcangelo. Ciò avvenne per paura del diffondersi dei movimenti eretici. Le precedenti costruzioni probabilmente furono abbattute a causa di inondazioni. Recentemente sotto l’abside preromanico sono stati scoperti resti di età romana, manufatti prodotti da una fornace e forse un altro abside. E’ importante notare che il basamento preromanico è costruito con sassi fluviali e in un secondo tempo con mattoni.

Per quanto riguarda la presenza nel Veneto, ne parlano Paolo Diacono e Ariperto I. Questi autori offrono anche testimonianze sugli antichi alvei dei fiumi che hanno formato la laguna prima della grande alluvione descritta da questi autori avvenuta nel 586 d.C. (Brenta, Muson, Marzenego e Sile). Brenta e Muson portano ancora testimonianze del culto di San Michele Arcangelo. A Venezia esistono tre siti dedicati a questo culto: San Michele in Isola (l’attuale cimitero) sede di una antica biblioteca camaldolese in parte custodita ora a Camaldoli e in parte alla Biblioteca Marciana di Venezia, e luogo dove operò anche il cartografo fra’ Mauro, che la leggenda vuole visionario e ispirato dal diavolo;  San Michele degli zoppi, chiesa rasa al suolo da Napoleone, di cui pare non si sia salvato nulla, resta solo un attiguo vecchio oratorio e il nome del campo, Campo San Angelo; San Michele delle polveri o San Michele di Contorta, che ospitò un convento di monache “corrotte”. Se osserviamo la presenza di luoghi religiosi dedicati a San Michele Arcangelo, ma anche a San Giorgio, santo anch’egli di carattere escatologico-catarchico, lungo il Canal Grande a Venezia, possiamo capire come mai in questi luoghi dove è forte la presenza dei due santi citati, si situino due luoghi negativi tristemente famosi, Palazzo Dario per la morte violenta di ogni suo proprietario e Palazzo Mocenigo dove Giordano Bruno il quale confidò a Cagliostro le sue arti di stregoneria nell’ultimo tentativo di salvarsi. Ma anche nell’isola di Burano vi è una zona si dice del diavolo e una zona d’acqua dalla quale pare esca del gas metano. Questi luoghi nei quali venivano vissute situazioni peccaminose, tra le quali quelle di carattere stregonico sopra dette, avevano bisogno dell’intervento di questi due santi nell’immaginario della città di Venezia.

 Le sacerdotesse nelle antiche religioni di area veneta

Qui si pone la domanda se le antiche religioni di area veneta siano o meno legate al culto della Grande Madre. Vi è l’influsso dell’Ecate greca nella simbologia delle antiche religioni di area veneta, in particolar modo euganea. E vi sono similitudini con la simbologia etrusca: per esempio piccole edicole appese agli alberi o oggetti votivi o cibo sempre appesi agli alberi, per ingraziarsi le cornacchie.

Altre tracce si trovano nei riti delle sacerdotesse paleo – venete. Il Santuario situato nella località Meggiaro a Este (V – IV sec. a. C., andò abbandonato nel I sec a.C.) e scoperto a partire dal 1999 presenta similitudini con i santuari di Cosa (Ansedonia – Orbetello), Forentum (provincia Potenza), Marzabotto (Bologna) e Bantio (tra Apulia e Lucania): sono santuari del tipo cosiddetto “templum in terris”. A Meggiaro sono stati ritrovati circa 8000 resti ossei di animali, in prevalenza giovani e di genere femminile, di cui quasi la metà sono di scrofe e feti, il che fa supporre al sacrificio di scrofe gravide. E’ stato ritrovato anche un pozzo, che fu costruito in un secondo momento e sono stati ritrovati anche reperti che riconducono a libagioni. Questa tipologia di santuari è legato ai miti di fondazione così come li descrive Virgilio nel I libro dell’Eneide alludendo alla fondazione di Cartagine ad opera di Didone con un tempio dedicato a Giunone.

L’aspetto linguistico in area euganea ci associa al legame tra indoeuropei e preindoeuropei, infatti la lingua veneta è un incrocio c tra lingue locali e lingue che sono venute attraverso le migrazioni indoeuropee. Attraverso lo studio delle lingue si può scoprire la relazione tra popoli preindoeuropei e quelli indoeuropei di provenienza aria. Il termine Euganeo deriverebbe dal greco e significa di nobili stirpe, ma potrebbe essere collegabile con gli Ingauni antichi abitanti della Liguria, quindi di probabili origini preindoeuropee. Studiosi come Giovenale Marziale Comelisio Italico e Lucano usano il termine euganeo per definire all’epoca di Roma imperiale l’Italia nord orientale.

La lingua paleoveneta sarebbe invece originaria delle popolazioni indoeuropee che si sono stanziate nel nord della penisola. Gli indoeuropei si sono stanziati nel nord est della penisola italica attorno al VI sec. a.C. e con l’arrivo dei romani nel II sec. a.C,. si sono inglobati con loro. Precedentemente hanno avuto rapporti con gli etruschi. Si suppone che con l’arrivo dei veneti, gli euganei si siano spostati dai colli euganei verso le prealpi. Le iscrizioni paleovenete si trovano su ceramiche, vasi e monumenti funerari, sono spesso iscrizioni votive.

Secondo alcuni studiosi il veneto più puro anzi il paleoveneto più puro chiamato anche venetico, sarebbe quello della parlata slava, lo slavo insomma sarebbe una lingua in parte di origine veneta indoeuropea. Ma è vero anche che all’epoca dei castellieri popolazioni istriane si spinsero fin dentro il veneto al confine tra le attuali provincie di Belluno e Treviso costituendo enclavi linguistiche antropologiche resistenti fino ai nostri anni, tanto che fino a pochi anni fa in quelle zone si riconoscevano nuclei fisionomici e tradizioni di derivazione istriana.

Vi sono poi similitudini tra il linguaggio scritto etrusco ed euganeo e venetico. Secondo alcuni autori le varie popolazioni presenti in area venetica erano in origine Ari, o comunque provenienti da quell’area. Gli euganei erano il nucleo originale ed erano probabilmente di diversa origine. Lo afferma anche Tito Livio (padovano di origine). Virgilio parla invece di Antenore, principe troiano che venne in Italia attraverso la Croazia a capo di una schiera di Eneti (o Veneti), e fondò Padova.

 Il culto del serpente

Anche il culto del serpente ci riporta alla connessione tra indoeuropei e preindoeuropei,  come infatti è possibile notare nelle immagini che raffigurano la donna con mani e gambe a forma di serpente e in posizione che odiernamente sarebbe definita ypogica, essa appartiene alla cultura preindoeuropea. Lo stesso mito serpentario lo ritroviamo nel racconto biblico che è anch’esso preindoeuropeo. Nella tradizione indoeuropea il serpente è invocato in senso nefatico, ma è sempre presente nelle tradizioni mitologiche.

Nella Bibbia e nell’Eneide si parla del culto della Grande Madre, simboleggiata dal serpente, che è legato alla terra. Il demonio è legato al serpente, così come il drago. Chi ammazza un drago è sempre un santo. Nell’isola di Malta è molto presente il culto del serpente legato al culto di san Paolo, in Svizzera il serpente è chiamato arcobaleno, mentre tra gli indiani il serpente scaccia il fulmine. Quindi il serpente è legato all’acqua. Nell’Eneide gli animali di colore nero venivano sacrificati da Enea per propiziare la pioggia. Gli sloveni hanno il culto della vacca nera che viene sacrificata e l’usanza del sacrificio animale è ancora molto diffusa nelle zone tra il Kosovo e la Macedonia. Il fiume Timavo citato da Virgilio quando parla del mito di fondazione della città di Padova, è un fiume che nasce in Croazia, si sviluppa in Slovenia e sfocia nei pressi di Trieste, il cui percorso in parte sotterraneo è ancora sconosciuto, avvolto nell’enigma.

La Grande madre prima nasce dalla terra, poi nasce il serpente e succhia la terra, così nasce il demonio. Poi la Grande Madre diviene animale nero cosicché l’animale viene ammazzato per propiziare la pioggia (il serpente arcobaleno per far piovere). Dalla pioggia nasce l’anima. Enea ammazza ancora animali per propiziare la pioggia. Infine dall’anima nasce la concezione di un Dio  – Zeus che determina la pioggia e la terra. Così dalla Grande Madre si arriva al Dio astratto: questa è l’ipotesi positivista – funzionalista.

 Sui Serpari di Cocullo (testimonianza orale, agosto 2016)

Mi trovo nel paese di Filetto mt 1090 sul l. m., vicino alle frazioni di Camarda e Paganica (Jovi Paganico Sacro) nel Comune dell’Aquila, sulle pendici del Gran Sasso verso Campo Imperatore. La località anticamente in un territorio di confine tra i popoli dei Sabini e dei Vestini.

Chiedo ad un anziano se nei pressi vi siano località o tradizioni dedicati ai serpari. Risponde che solo a Cocullo esiste questa tradizione. Mi descrive la strada per arrivarci ed aggiunge “Ma ora nun è stagione”. Gli suggerisco che la stagione è maggio, il primo di maggio. Egli afferma “Quando si svegliano”. Provo a farmi spiegare cosa voglia dire questa affermazione. Egli continua a ripetermi “Quando si svegliano”. Penso che si riferisca ad una sorta di letargo invernale, ma non capisco. Egli col viso e col corpo fa un cenno di fastidio, più volte, e aggiunge “Ma come fanno a metterli sul collo?” Mi mostra come, a mo’ di sciarpa. “Ma come fanno, sembrano addormentati” ribadisce. Gli dico che forse sono ubriacati o drogati, egli fa un altro cenno di fastidio e repulsione. Intuisco che questo argomento lo infastidisca, infatti mi saluta ed entra nel portone di casa.

 La madre terribile 

La Grande Madre chiamata anche madre terribile era nata in Mesopotamia, era la grande madre Tiamat ovvero l’oceano primordiale. Era vicina come simbolismo a Saturno, che in greco è Kronos, il tempo non cronologico, Saturno e la Grande Madre sono simili archetipicamente.

Faccio spesso il paragone tra le “facce” nere che sono mesopotamiche e gli egiziani preclassici. Sono molto differenti: la grande madre è mesopotamica, mentre in Egitto comandano il dio Epafo figlio di Io – Iside, sacerdotessa di Era. Io fu trasformata in vacca da Era per gelosia ma, liberata da Ermes su richiesta di Zeus, fu di nuovo perseguitata da Era, e andò vagando per molti luoghi fino a giungere in Egitto. Ritornata nelle vesti di donna divenne moglie di Osiride, che è un dio che ogni anno muore e ogni anno rinasce attraverso l’accoppiamento. Sono molto vicini al culto ebraico e successivamente cristiano, infatti la vacca è la dea della fertilità per gli egizi e si trova anche nel racconto della nascita di Gesù, insieme all’asino che è un simbolo, il dio asino, di cui parla il re sapiente Salomone.

Le dee avevano la coda di coccodrillo, leone, ippopotamo come la Tueret egizia perchè erano dell’età dei cacciatori, paleolitico inferiore, che precede la cultura della rivoluzione agraria del neolitico, erano le dee gravide. Gli ebrei possono aver attinto dal mito di Didone perché la Fenicia, e Didone è fenicia, è confinante col loro regno.

La dea gravida veniva chiamata “donna gravida”, era la Grande Madre. In Mesopotamia ci sono la dea benevola e la dea malevola. La dea benevola è chiamata Tiamat, mentre la dea malevola è chiamata Istar. Inanna – Istar coincide con Urano (il cielo), è figlia del Cielo o della Luna e sorella del Sole. La dea benevola accettava il movimento dei figli, e dunque accettava il divenire temporale. La dea malevola invece si arrabbiava quando i figli si muovevano, voleva che stessero fermi, e li uccideva: in ciò era simile a Saturno. Questa divinità non accettava il divenire e quindi il tempo.

Il Caos, il mare in Mesopotamia, genera Tiamat, la dea che pure ammazza i figli, tranne due. Tiamat è la divinità femminile che nasce dal mare, essa viene assorbita nella cultura dei Greci divenendo Afrodite. Urano – Kronos – Zeus secondo Esiodo sono i tre stadi della teogonia. Urano e Gea vengono dal Caos, sono l’ultima coppia dei figli di Caos. Tiamat, il Caos, ha anch’essa vari figli che uccide, tranne due.

In Italia i precristiani e i preindoeuropei fondano il paese di Saturnia e insegnano a lavorare la terra. Ma in alcuni culti l’agricoltura è un’arte femminile, insegnata delle deità femminili. Ciò appartiene alla religione della Grande Madre. Tiamat è entrambe le cose, Urano e Kronos. Da Kronos successivamente nasce Zeus e da questi nasce Venere, che in realtà però di Zeus sarebbe la sorella. Dalla Venere preindoeuropea, cioè Tiamat mesopotamica, che è appunto simboleggiata dalle stella ad otto punte che rappresenta il pianeta Venere, si passa alla Venere greca che è figlia sorella di Zeus.

Tifone, il drago, il serpente, è stato creato da Rea, la quale voleva uccidere Zeus, il quale aveva mandato sotto terra i Titani, figli di Rea. Zeus va in Egitto. Dalla cenere di Dioniso e dei Titani nasce l’uomo. Le religioni patriarcali sono centrate sul potere degli dei, mentre le religioni matriarcali sono centrate sulla fertilità. Esse inoltre sono diverse per il culto delle acque dove l’acqua è quella che dà fertilità e fa crescere la possibilità di trovare marito, fa venire il latte e questo uso delle acque paragona la pianta all’uomo.

Marco Viti, Stefania Pomiato

ACQUE CATARCHICHE ED ESCATOLOGICHE

ACQUE CATARCHICHE ED ESCATOLOGICHE

 

C’è un passo evangelico, nel quale Gesù Cristo dice che Giovanni Battista lo ha battezzato con l’acqua e che lui battezzerà con lo Spirito Santo. Questo passo apre a un interessante collegamento tra il cristianesimo e le religioni pre­cristiane, tra le quali quella che nella religione wicca è definita “vecchia religione”, termine dato da Margareth Murray, un’egittologa inglese, studiosa di antiche religioni. Tra queste religioni, ad esempio, c’è quella, di cui sono deità le tre Moire, una religione probabilmente legata alla Grande Madre.

Altre figure, probabilmente definite da Margareth Murray, all’interno della “vecchia religione”, sono le fate dei racconti ladini e le ondine dei racconti tedeschi del Tirolo, le quali possiedono il dono della chiaroveggenza e vivono nelle grotte, da cui sgorgano acque di sorgente. Queste figure mitiche fanno pensare alle deità greche, come le Moire, ad esempio, che vivevano nelle grotte, dove si trovavano fonti di acque dolci e nei luoghi acquei dolci, che avevano forse origini legate ai culti matriarcali. Queste deità probabilmente adoravano i serpenti, culti dei quali si constata ancora oggi la sopravvivenza nella festa detta dei Serpari di San Domenico, celebrata a Cocullo, in Abruzzo, dove vengono catturati i serpenti nei boschi e portati nel paese, il giorno della celebrazione, per poi essere lì liberati. Le deità primadette, legate ai culti matriarcali pre­cristiani, come le ninfe, le egerie, le naiadi, erano molto probabilmente le guardiane dell’acqua, esse forse erano le antropomorfizzazioni dei serpenti, che vivevano nei pressi degli stagni, che nella religione della Grande Dea erano considerati animali mitici. Le ninfe sono simboleggiate da un animale che ama nell’immaginario culturale greco, stare attaccato al suolo terrestre, il serpente. Questa è una delle figure simboliche più potenti, relativamente alla divinità della Grande Madre.

Le ninfe talvolta sono esse stesse antropomorfizzazioni di serpenti, molto probabilmente, infatti, si diceva che stessero a guardia delle fonti. Anche la figura mitica dell’anguana, presente nell’area piemontese, lombarda e soprattutto veneta, talvolta è legata a questo genere di antropomorfizzazioni. Se ci soffermiamo a considerare l’etimologia della parola anguana, scopriamo come questo termine derivi dal latino aquana, ninfa, creatura delle acque, ma l’etimologia popolare la associa all’etimologia della parola anguilla, dal latino anguilla, diminutivo di anguis, serpe. E’ molto singolare che la parola veneta bisatto, indicante l’anguilla, derivi da biscia, a sua volta derivante dal latino bestia, che dal V° sec. d.C. comincia ad indicare il serpente. Se poi si guarda alle caratteristiche di questo pesce, si scopre come esse siano simili a quelle attribuite all’anguana. L’anguilla è’ un pesce di abitudini notturne, che si muove in prevalenza con l’assenza di luna, poiché esso è lucifugo e possiede caratteristiche simil­anfibie, poiché si muove anche sul terreno al di fuori dei corsi d’acqua ed è amante del fango, dove ama cacciare e dove anche può sopravvivere a lungo. Altre sue caratteristiche lo pongono anche in diretto contatto col mistero e la morte. Per esempio è ancora poco chiaro il suo ciclo riproduttivo, per lungo tempo del tutto avvolto nel mistero. L’anguilla parte per un lungo viaggio, di cui si sa ancora poco con certezza, così come l’anguana, nelle tradizioni orali, ciclicamente si reca in luoghi solo a lei conosciuti. L’anguilla infine ha capacità necrofaghe e saprofaghe, amando cibarsi di animali morti. Le anguille, come rappresentazioni delle anguane e probabilmente in seguito, delle ninfe, delle moire e di molte altre figure mitiche femminili pre­cristiane, si rifugiano spesso nelle grotte d’acqua dolce e ogni anno forse, secondo le culture pre­cristiane, andavano oltre il concepibile, cioè in luoghi geografici immaginari, paragonabili al luogo dell’oltrevita.

La figura mitologica dell’anguana prevalentemente è vestita di bianco, che simbolicamente per certe culture è il colore dell’aldilà ma, a volte, nelle narrazioni di tradizione orale del Veneto, del Trentino e del Friuli, si racconta che essa indossi abiti colorati, rossi, neri o verdastri e assuma le sembianze proprie dell’anguilla femmina. A volte infatti l’anguana nelle narrazioni delle culture orali venete, è descritta con la coda di pesce, attorno alla quale si avvolgono i lunghi capelli, in effetti l’anguana ricorda molto quell’animale mezzo pesce e mezzo serpente, che nell’immaginario popolare è l’anquilla. Altre volte invece è raffigurata con i piedi di capra,come in un disegno attribuito a Tiziano Vecellio, il grande pittore cadorino. È un’ipotesi e forse un paradosso, da paradoxa, opinione oltre la verità, ma i colori dell’anguana suscitano simbolismi legati al rapporto tra i colori e un’immaginario popolare arcaico, forse pre­cristiano, tanto da dovere essere definito come forma archetipale. I colori in esame sono il nero, il rosso e soprattutto il bianco, rappresentato nell’immaginario popolare e nell’arte medioevale, sopratutto veneta, dal colore delle vesti dell’anguana. Il nero la può ricollegare al mondo dei morti, il rosso alla fecondità, il verdastro al suo contatto con l’acqua e con la terra.

Le anguane in alcuni accezioni dei dialetti veneti e trentini sono chiamate vane. Questo ci apre a una fantasia interpretativa interessante, è possibile infatti che le vane siano collegate alle popolazioni pre- indoeuropee e matriarcali di origine germanica, i Vani. Questi erano una delle poche popolazioni pre- indoeuropee, ancora memoria storica dell’occidente, la cui lingua ancora oggi è parlata in una delle poche aree che gli Asii non poterono invadere.  Nel periodo post­glaciale, che probabilmente suscitò la ricerca da parte degli indogurganici di nuovi territori da colonizzare, la zona abitata dai Vani, che si colloca nell’attuale Finlandia, era troppo fredda per loro, che venivano in Europa da zone molto più calde. Questo mi fa supporre il motivo per cui in Finandia, ancora oggi c’è probabilmente il ceppo linguistico dei Vani. Nella loro lingua, insieme a quella dei baschi, ancora oggi persiste un nucleo linguistico pre- indoeuropeo.

La ridefinizione veneta, trentina e ladina delle anguane, con il termine vane, può derivare da un sincretismo linguistico germanofilo. Tale germanismo, è presente in due culture: in quella connotata dal dialetto veneto e trentino, linguisticamente nel contempo germanico e italico e in quella connotata dalla lingua ladina, più specificamente, quella riguardante il dialetto ladino della val di Fiemme, uno dei quattro dialetti ladini di questa antichissima lingua italico­germanica, parlata da una popolazione di origine retica, proveniente dall’area germanica orientale, che incontrandosi con la cultura italica, durante la colonizzazione romana, prese il nome odierno di ladina. Anche simbolicamente le anguane sono legate alla vita e alla morte, così come alla purificazione. Pensare che lavare la biancheria, tipico di queste figure, era un lavoro che un tempo si svolgeva in primavera ed in autunno, al risveglio della vita e all’arrivo della morte. Ma si faceva anche in altre situazioni, alla nascita, durante il puerperio, durante la vecchiaia (pensiamo ai panni dei neonati e dei bambini, così come ai panni di un anziano). Si lavava poi tutta la biancheria di un morto subito dopo il funerale; così come si lavava il sangue mestruale. Tutto il resto poteva attendere il cambio delle stagioni, questi panni invece andavano lavati subito. Ma le donne gravide e le puerpere non potevano lavare, rischiavano la loro vita, così intervenivano le fate e le anguane, costituite in quell’immaginario culturale, spesso da donne morte di parto, da fanciulle e bimbe morte prematuramente o addirittura abortite, ancora avvolte nel sacco.

Queste figure antiche rappresentano, in tale immaginario tradizionale, il veicolo psicopompo tra il luogo della vita e il luogo dell’oltretomba, la morte, rappresentano il veicolo comunicazionale, all’interno delle ritualità stagionali delle antiche religioni, tra la primavera e l’autunno, tra spirito e carnalità. Nella loro essenza vive il serpente, e l’etimologia dei loro nomi ne è testimonianza. Sarebbe interessante interpellare anche la biologia, che ci insegna come il grado di salinità del sangue umano sia uguale al grado di salinità dell’acqua marina, retaggio della nostra primitiva origine. Mi piace fare questo parallelismo, seppure fantasioso, però considero bello pensare che le anguane, come le anguille che si riproducono in un mare salino per poi emigrare verso le acque dolci dei fiumi, immaginare che le anguane, appunto, siano figure, che attraverso l’acqua, siano veicolo di un lungo cammino che riconduce a dimensioni antiche e soprannaturali.

Da questa supposizione ne scaturisce un’altra: anche i serpenti e le apparizioni dei serpenti, che fanno la guardia ai tesori nascosti sotto terra, come nel caso della leggenda del cacciatore che si rifugia in una notte di pioggia in una grotta presso San Rabano e trova la gallina d’oro, che lo porta a scoprire dove è nascosto il tesoro, al quale però fa la guardia il serpente che gli impedisce di appropriarsene. Sembra che la figura mitica del serpente sia una antropomorfizzazione di deità femminili,come le egerie, le ninfe, le naiadi, probabilmente appartenenti al culto legato alla grande Madre, culto che verrà inglobato dalla religione cristiana.

Nella leggenda maremmana del cacciatore che scopre il tesoro posto dentro alla grotta nel bosco, dove si trova l’Abbazia di San Rabano, il serpente non è simboleggiato, è un protagonista vero e proprio della narrazione di tradizione orale e sta a guardia del tesoro, impedendo al cacciatore di appropriarsene. La figura del serpente, in questa narrazione, potrebbe teoricamente essere rappresentato anche da San Michele Arcangelo o essere la sua rappresentazione, come lo è probabilmente rispetto alle naiadi, alle egerie, alle moire, alle ninfe greche e romane, alle fate venete, friulane e trentine e alle ondine tirolesi. Infatti, sia lui, che San Domenico, sono legati entrambi alla figura serpentaria. San Domenico, celebrato in una festività a lui dedicata, in un paese del centro Italia e che ho già citato, è un santo serpentario, in onore del quale vengono catturati i serpenti per essere poi esposti e liberati in paese, durante la celebrazione a lui dedicata.

Sia San Domenico, che San Michele Arcangelo, sono probabilmente delle figure sostituitrici di deità pre­cristiane legate al culto del serpente, una religione probabilmente appartenente alla cultura matriarcale della Grande Madre. Quindi San Michele Arcangelo e San Domenico, sarebbero sostituzioni cristiane di figure divine legate alla Grande Madre e le celebrazioni laiche fatte nei racconti a veglia, nei tempi in cui non esisteva ancora la cultura scritturale e vigeva la tradizione orale, come modalità di continuità sociale e trasmissione delle conoscenze, che usava i racconti di tradizione orale, trasmessi durante le veglie, nelle quali venivano tramandati, in un ordine sociale di carattere gerontocratico, la memoria storico­culturale e religiosa che raccoglieva in se tutto, anche le competenze tecniche lavorative, ad esempio. La trasmissione attraverso le narrazioni di tradizione orale, delle competenze di ogni genere, ad esempio quelle professionali, all’interno di una memoria storico­culturale di carattere implicitamente religioso, nel senso di religere, unire l’uno alla molteplicità, l’individuo al kosmos, sarebbe legata a celebrazioni religiose antichissime, alle quali esse sono pervenute e nelle quali gli antichi rituali religiosi, dei culti legati alla Grande Madre, sarebbero semplificati proprio grazie alla immissione nei racconti di tradizione orale, apparentemente laici, giunti fino a noi, oggi.

Così, quando in queste narrazioni si parla del serpente che fa la guardia al tesoro posto dentro a grotte, in realtà si rinnovano le ritualità di simbolismi religiosi antichissimi, di culti oramai perduti e inglobati nella religione cristiana. San Michele sarebbe quindi l’antropomorfizzazione divina della figura sacra del serpente, figura liturgica legata a una precedente religione? La risposta non è certo definitiva, ma riallacciandomi alla narrazione di tradizione orale del cacciatore che scopre il tesoro di San Rabano, narrazione, la quale, pur non essendo legata all’acqua, è comunque una leggenda legata cripticamente alle divinità femminili delle religioni arcaiche matriarcali, in quanto il serpente è raffigurato nei miti delle acque dalle deità femminili e come le naiadi fa la guardia alle fonti, il serpente di San Rabano e San Michele Arcangelo, fanno entrambi la guardia a ciò che di sacro contiene la grotta: l’uno il tesoro, l’altro la sacra acqua miracolosa. Tra l’altro la leggenda di San Rabano ubbidisce ai quattro canoni che costituiscono la similarità tra le grotte che possiedono acque terapeutiche:

1° sta in zone boscose e lontane dalla presenza umana,

2° sta in grotte profonde, infatti la parte più importante della narrazione del tesoro di San Rabano, si sviluppa nel luogo dove sta nascosto il tesoro, proprio in una grotta profonda.

3° si trova sopra monti o rialzamenti di terreno,

4° l’avere al proprio interno un tesoro sacro, sacro come le acque considerate miracolose, entrambi tesori, nel caso di San Rabano, letterale e nel caso di San Michele Arcangelo, metaforico nel caso di San Michele Arcangelo.

La figura protettrice è espressa letteralmente ed il tesoro, costituito dall’acqua, espresso metaforicamente, nel caso invece della narrazione di San Rabano, la figura protettrice è espressa metaforicamente ed il tesoro espresso letteralmente. Questa dualità diametralmente opposta, che raffigura immaginari simili è, a mio parere, un dato fondamentale, dal quale si può immaginare più da vicino la contiguità tra l’arcaica religione matriarcale e quella più recente del cristianesimo. Nelle grotte dedicate a San Michele si trova l’acqua sacra, un tesoro metaforicamente definito e nella grotte di San Rabano, protetta dal serpente, di cui sono antropomorfizzazioni le deità femminili precristiane, si trova un tesoro letteralmente definito. Ci sono i riallacciamenti alle acque sacre, al serpente, similarità molto forti, che mi fanno pensare al legame con i culti pre­cristiani, ai quali con una certa probabilità i due argomenti erano legati.

Penso che possa esserci un legame tra le religioni matriarcali legate alla Madre Terra e le credenze popolari nelle acque miracolose delle fonti lattaie e di altre sorgenti curative, come ad esempio quelle che si trovano in Sardegna, le quali hanno origine nelle loro caratteristiche cultuali dai santuari dell’antica Fenicia e dai punici, da cui deriva la cultura sarda.

Stefania Pomiato, Marco Viti